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DIMENTICARE NICOLA CHIAROMONTE PER MALAFEDE

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Scrivo questa “lettera” nella sede Rai di Viale Mazzini a Roma. Proprio qui, in uno di questi ascensori, morì di colpo, a causa di un infarto, il filosofo e critico letterario Nicola Chiaromonte (1905-1972), originario di Rapolla. Lo ricordo spesso, Chiaromonte, perché mi addolora molto che l’intellettuale lucano più studiato al mondo sia pressoché sconosciuto nella sua terra. E i motivi di questa disattenzione sono abbastanza evidenti: perché Charimonte non appartenne a nessuna delle tre principali galassie (fascista, comunista e cattolica) del pensiero politico novecentesco, essendo stato un liberalsocialista libertario, atlantista e anti-comunista. Gli scrittori e intellettuali coi quali dialogò alla pari furono personaggi del calibro di Hannah Arendt, George Orwell e Albert Camus, con il quale ebbe un carteggio di grande importanza, pubblicato integralmente nel 2019 dal prestigioso editore Gallimard. Chiaromonte conobbe Camus durante un viaggio del 1941 e, da allora, i due rimasero per sempre legati affettivamente e culturalmente. In comune avevano una spontanea rivolta contro i sistemi chiusi e un impulso “meridiano” a far prevalere una filosofia dell’umano, ovvero della fraternità – in maniera più solare Camus, in modo più umbratile Chiaromonte. Nel 1953, in piena Guerra fredda, Chiaromonte pubblicò la raccolta di articoli “Il tempo della malafede”, dove emerse definitivamente la sua lettura del comunismo come “falsa religione”. E, dopo aver misurato la distanza con la rivista “Nuovi Argomenti”, allora diretta dall’amico fraterno Alberto Moravia, maturò il bisogno di fondare una rivista indipendente e distante dall’egemonia catto- comunista: nacque così nel 1956 “Tempo presente”, che diresse fino al 1966 con Ignazio Silone, sicuramente uno dei nomi più autorevoli a livello mondiale dell’antistalinismo – insieme a Gide, Spender e Koestler.

diconsoli@lecronache.info

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