OMICIDIO DI LIDIA MACCHI, UN VECCHIO ARTICOLO AL GIORNO IN ATTESA DELLA CASSAZIONE (4ª parte): SCONTRO TRA GRAFOLOGHE, SUSANNA CONTESSINI PER LA PROCURA E CINZIA ALTIERI PER LA DIFESA
Per loro, posizioni assolutamente antitetiche
UN CASO ALLA VOLTA FINO ALLA FINE
OMICIDIO DI LIDIA MACCHI, UN VECCHIO ARTICOLO AL GIORNO IN ATTESA DELLA CASSAZIONE (4ª parte): SCONTRO TRA GRAFOLOGHE, SUSANNA CONTESSINI PER LA PROCURA E CINZIA ALTIERI PER LA DIFESA
Il 5 gennaio 1987, Lidia Macchi, una studentessa universitaria di 21 anni, viene uccisa con 29 coltellate nel bosco di Cittiglio (Varese). Stefano Binda, un conoscente della Macchi, 19enne all’epoca dei fatti, viene arrestato il 15 gennaio 2016, condannato all’ergastolo in primo grado dalla Corte d’Assise di Varese nell’aprile 2018 e poi assolto dalla Corte d’Appello di Milano, il 24 luglio 2019.
Hanno sostenuto l’accusa con le loro consulenze la psicologa Vera Slepoj, il criminologo Franco Posa e la grafologa Susanna Contessini.
Secondo la Procura l’assassino avrebbe scritto IN MORTE DI UN’AMICA, una lettera che era stata recapitata a casa Macchi all’indomani dell’omicidio.
Secondo la grafologa Susanna Contessini quella lettera era stata scritta da Stefano Binda.
La consulente della difesa, la grafologa Cinzia Altieri, ha da sempre contestato le conclusioni della collega.
All’indomani della condanna di primo grado gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli hanno chiesto una consulenza alla criminologa Ursula Franco che ha escluso che l’assassino avesse scritto IN MORTE DI UN’AMICA.
Ad oggi le motivazioni della sentenza di secondo grado hanno dato ragione alla difesa di Stefano Binda.
Abbiamo deciso di pubblicare un vecchio articolo al giorno sul caso Macchi, lo faremo fino al 26 gennaio 2021
Il 27 gennaio 2021 infatti si esprimeranno i giudici della Suprema Corte.
Il 27 ottobre 2017 Gabriele Moroni ha scritto su “Il Giorno”:
“Omicidio Lidia Macchi, in aula le grafologhe sulla lettera anonima
Il confronto tra Susanna Contessini e Cinizia Altieri anche su un foglio trovato a casa di Stefano Binda
Varese, 27 ottobre 2017 – Si torna in aula per il processo sull’omicidio di Lidia Macchi.
Oggi, in aula, si è tenuto il confronto tra Susanna Contessini e Cinzia Altieri, rispettivamente consulenti grafologhe dell’accusa e della Procura generale.
Per loro posizioni assolutamente antitetiche.
L’accusa attribuisce alla mano di Stefano Binda sia la prosa anonima ‘In morte di un’amica’, recapitata recapitata alla famiglia della vittima il 10 gennaio 1987, cinque giorni dopo il delitto e poco prima dei funerali, sia la frase ‘Stefano è un barbaro assassino‘, scritta dietro una versione di greco, trovata a casa di Binda durante una perquisizione.
Secondo Contessini, che ha depositato un nuovo documento, supplementare alle altre relazioni, le scritture di questi documenti appartengono all’imputato.
La grafologa, infatti, fa notare come siano simili la dimensione e la conformazione delle lettere, anche nel modo in cui si adagiano al foglio. Non meno, la pressione esercitata nello scrivere.
Contessini ha commentato:
“Sono meravigliata che la collega abbia addirittura attribuito a tre diverse mani la scrittura di questi testi: una che redige le prime due strofe della prosa, un’altra che la termina e un’altra ancora che ha scritto sulla busta”
Alla consulente dell’accusa, “questa sembrerebbe dare l’immagine di una sgangherata banda di anonimi che procedono in ordine sparso”
Ovviamente opposta la valutazione di Cinzia Altieri.
“Chi ha parlato di più mani“, ha esordito.
E ancora: “Ho parlato di diversi tempi di scrittura. Ci sono certamente analogie fra questi documenti e la scrittura di Stefano Binda. Ma – ha sottolineato – la consulente dell’accusa non ha considerato invece le evidenti differenze”
Qui, è intervenuto il sostituto procuratore Gemma Gualdi, che ha fatto notare che il foglietto è stato trovato e sequestrato a casa di Binda.
Queste ultime parole hanno scatenato una reazione nell’imputato, che ha provato a dire la sua.
Subito è stato redarguito:
“La invito a parlare quando ne avrà facoltà”
Una volta terminato l’intervento di Cinzia Altieri, è stato il turno di Binda:
“Dopo la perquisizione a casa mia, mi è stato mostrato questo foglietto in Questura e subito ne ho disconosciuto la paternità”