OMICIDIO DI LIDIA MACCHI, UN VECCHIO ARTICOLO AL GIORNO IN ATTESA DELLA CASSAZIONE (9ª parte): L’EPICO SCONTRO TRA LA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO E L’AVVOCATO DI PARTE CIVILE DANIELE PIZZI
Ad oggi le motivazioni della sentenza di secondo grado hanno dato ragione alla difesa di Stefano Binda
UN CASO ALLA VOLTA FINO ALLA FINE
OMICIDIO DI LIDIA MACCHI, UN VECCHIO ARTICOLO AL GIORNO IN ATTESA DELLA CASSAZIONE (9ª parte): L’EPICO SCONTRO TRA LA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO E L’AVVOCATO DI PARTE CIVILE DANIELE PIZZI
Il 5 gennaio 1987, Lidia Macchi, una studentessa universitaria di 21 anni, viene uccisa con 29 coltellate nel bosco di Cittiglio (Varese). Stefano Binda, un conoscente della Macchi, 19enne all’epoca dei fatti, viene arrestato il 15 gennaio 2016, condannato all’ergastolo in primo grado dalla Corte d’Assise di Varese nell’aprile 2018 e poi assolto dalla Corte d’Appello di Milano, il 24 luglio 2019.
Hanno sostenuto l’accusa con le loro consulenze la psicologa Vera Slepoj, il criminologo Franco Posa e la grafologa Susanna Contessini. Secondo la Procura l’assassino avrebbe scritto IN MORTE DI UN’AMICA, una lettera che era stata recapitata a casa Macchi all’indomani dell’omicidio. Secondo la grafologa Susanna Contessini quella lettera era stata scritta da Stefano Binda.
La consulente della difesa, la grafologa Cinzia Altieri, ha da sempre contestato le conclusioni della collega.
All’indomani della condanna di primo grado gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli hanno chiesto una consulenza alla criminologa Ursula Franco che ha escluso che l’assassino avesse scritto IN MORTE DI UN’AMICA.
Ad oggi le motivazioni della sentenza di secondo grado hanno dato ragione alla difesa di Stefano Binda.
Abbiamo deciso di pubblicare un vecchio articolo al giorno sul caso Macchi, lo faremo fino al 26 gennaio 2020.
Il 27 gennaio infatti si esprimeranno i giudici della Suprema Corte.
Riguardo all’avvocato Daniele Pizzi, nell’elaborato dei giudici del secondo grado, che hanno assolto Binda, si legge tra l’altro: “Strada (…) più profittevole di quella invocata ancora oggi, inspiegabilmente, dal Patron di Parte civile (avvocato Daniele Pizzi) d’inseguire sterilmente l’agognata verità attraverso la confessione dell’imputato che suona, per un verso, inutilmente irridente nei suoi confronti e, per altro verso, in aperta contraddizione con i continui proclami pubblici di voler solo la verità e non un colpevole pur che sia.”
Il 6 febbraio 2019 Andrea Camurani ha scritto su VareseNews:
“VARESE
«Lidia, vittima casuale di un predatore violento»
Nell’attesa della data per celebrare l’appello emerge la consulenza criminologica della difesa
Un uomo avvezzo alla violenza, un predatore che agiva in luoghi frequentati, di passaggio come un ospedale, o un’università, capace di scegliere la vittima e uccidere.
«L’ipotesi più probabile è che Lidia sia stata una vittima casuale di un predatore violento. Chi uccise Lidia si organizzò per uccidere, condusse l’arma con sé e lasciò al caso la scelta della vittima. La casistica insegna, alcuni predatori sono abili manipolatori capaci di di conquistare la fiducia delle loro vittime. Il contesto in cui Lidia raccolse il suo assassino è la chiave: un ospedale, un luogo dove non è difficile muovere a compassione, è probabile che quello che si sarebbe rivelato poi il suo assassino l’abbia convinta ad accompagnarlo da qualche parte, forse alla stazione di Cittiglio, che si trova poco distante dal bosco di Sass Pinin, luogo del ritrovamento del cadavere».
La consulenza di Ursula Franco, criminologa romana, non è mai entrata nel processo a Stefano Binda, condannato all’ergastolo lo scorso aprile per l’assassinio di Lidia Macchi, avvenuto 32 anni fa. Almeno non nella sua interezza. Ma i contenuti di quello che a tutti gli effetti rappresenta uno spunto per sostenere le tesi della difesa, e di cui oggi si sta occupando anche la stampa locale, sono stati utilizzati in parte già nella fase dibattimentale.
Ed è probabile che saranno meglio esplicitati anche nelle udienze d’Appello, su cui si attende una data, «che ancora non c’è», come conferma Patrizia Esposito che insieme a Sergio Martelli assiste Binda, ora in carce a Busto Arsizio: «Per celebrare il processo d’appello i tempi tecnici consentono di arrivare a fine anno. Naturalmente noi confidiamo che questo avvenga prima».
Tornando alla criminologa, gli estremi di questa consulenza sono stati per sommi capi pubblicato nel blog della professionista da cui emerge che «l’ipotesi più probabile è che Lidia sia stata una vittima casuale di un predatore violento. Chi uccise Lidia si organizzò per uccidere, condusse l’arma con sé e lasciò al caso la scelta della vittima.
La casistica insegna, alcuni predatori sono abili manipolatori capaci di di conquistare la fiducia delle loro vittime. Il contesto in cui Lidia raccolse il suo assassino è la chiave: un ospedale, un luogo dove non è difficile muovere a compassione, è probabile che quello che si sarebbe rivelato poi il suo assassino l’abbia convinta ad accompagnarlo da qualche parte, forse alla stazione di Cittiglio, che si trova poco distante dal bosco di Sass Pinin, luogo del ritrovamento del cadavere».
Secondo la criminologa Franco, poi, in questo processo c’è qualcuno che sa, e tace: «Sono tre le persone che potrebbero far scagionare Binda, l’assassino di Lidia, che però dopo 31 anni potrebbe pure essere passato a miglior vita; l’autore della poesia anonima “In morte di un’amica”, cui appartiene il Dna repertato nella colla della busta e un altro soggetto di sesso maschile che incontrò Lidia nel pomeriggio del giorno della sua morte tra le 17.00 e le 18.00; gli ultimi due, ritengo che fossero coetanei di Lidia e, se ci atteniamo alle tavole di mortalità, possiamo aspettarci che siano ancora in vita».
Sempre il 6 febbraio 2019 su VareseNews la replica dell’avvocato Daniele Pizzi:
“VARESE
“Ma quale predatore violento? È l’ennesimo oltraggio alla memoria di Lidia”
Dopo le rivelazioni della criminologa Ursula Franco, arriva la presa di posizione di Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi
«Macchè “vittima casuale di un predatore violento”! Questa è soltanto una illazione bella e buona, l’ennesimo oltraggio alla memoria di Lidia!”.
Queste le parole di Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi rimasta esterrefatta dinanzi alle esternazioni fatte dalla Dott.ssa Ursula Franco a proposito della morte di Lidia, «dal momento in cui il nome di questa dottoressa non è mai entrato nè in nessun atto processuale, né in nessuna aula giudiziaria» (nella foto, la sentenza della Corte d’Assise di Varese deposta sulla tomba della giovane il giorno della decisione dei giudici di Varese).
Alcune considerazioni legate alla consulenza criminologica sul “caso Lidia Macchi”, pubblicate sul blog della professionista nell’ottobre scorso sono state oggetto di approfondimento giornalistico in attesa di conoscere la data dell’appello. Non tarda dunque ad arrivare la replica dell’avvocato Pizzi che si dice «sorpreso nel leggere che nel processo di appello la difesa di Stefano Binda utilizzerà la consulenza della Dott.ssa Franco dal momento che il suo nome non è stato citato neanche una volta nell’atto di impugnazione presentato nei mesi scorsi!
Ad ogni buon conto, a Cittiglio non c’è mai stato nessun predatore violento e ad uccidere Lidia è stata una persona che lei conosceva bene, come sentenziato dalla Corte d’Assise di Varese che ha condannato Binda all’ergastolo», spiega l’avvocato Pizzi aggiungendo che «quanto sostenuto dalla Dott.ssa Franco cozza totalmente con quanto riconosciuto anche da tutti gli altri Giudici che si sono pronunciati sinora, ovvero il Gip di Varese nonché il Tribunale del Riesame di Milano e la Suprema Corte di Cassazione di Roma quando si pronunciarono sulla richiesta di scarcerazione di Binda (stabilendo che sarebbe dovuto rimanere in carcere).»
Dire, inoltre, che «”sono tre le persone che potrebbero far scagionare Binda” significa non aver nessuna contezza degli atti di indagine e delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale: personalmente leggo queste considerazioni come la volontà di screditare a tutti i costi gli sforzi investigativi profusi dalla Procura Generale di Milano per circostanziare al meglio le ultime ore di vita di Lidia nonché l’operato attento e meticoloso della Corte d’Assise di Varese nel processo che ha portato alla condanna di Stefano Binda».
«Quelle che, a questo punto, sarebbero da approfondire bene sono le competenze specifiche della Dott.ssa Franco, che a me risulta aver fatto un dottorato di ricerca in neurofisiopatologia e di essersi sinora occupata solo e soltanto del caso di Elena Ceste: peraltro, interrogata sulle sue capacità professionali dal PM di quel processo, ha risposto di non essere un medico-legale, di non avere alcuna esperienza in materia di tossicologia, né di avere esperienza in tema di rinvenimento di resti scheletrici – aggiunge il legale della famiglia Macchi – .
Insomma, allo stato le sue sono supposizioni belle e buone, destituite di ogni fondamento. L’unica cosa che ad oggi conta è la sentenza della Corte di Assise di Varese. Ed è soltanto rispettando questa sentenza che si rispetta la memoria di Lidia».
E la replica della criminologa Ursula Franco su La Prealpina:
“LA POLEMICA
Lidia, scontro tra criminologa e legale
Franco replica all’avvocato Pizzi: porto argomenti scientifici e le sue sono accuse personali di bassa lega
Ha un seguito il duello a distanza tra la criminologa Ursula Franco, consulente della difesa di Stefano Binda, e l’avvocato Daniele Pizzi, legale della famiglia di Lidia Macchi, a proposito dell’omicidio del 1987 e del processo che nell’aprile scorso si è concluso con la condanna all’ergastolo di Binda, ritenuto responsabile del delitto dalla Corte d’Assise di Varese.
A confermare la sua ricostruzione di quello che accadde 32 anni fa è infatti la criminologa.
«I fatti parlano chiaro, l’omicidio di Lidia Macchi non è un omicidio sessuale e la psicopatologia di chi lo commise è quella di un predatore violento, personalmente non ho mai parlato di serial killer, fermo restando che da un punto di vista psicopatologico chi commise l’omicidio è equiparabile ad un omicida seriale»
Con un accenno anche alla sua “competenza” in materia, messa in dubbio dal legale della famiglia Macchi.
«Anche se faccio fatica ad abbassarmi a tanto, invito chi in futuro intendesse screditarmi a dare prima un’occhiata al mio curriculum che è on line (e che in effetti non è limitato al solo caso Elena Ceste, ndr). Peraltro l’argumentum ad personam è una strategia che non fa onore a chi la mette in atto»
Da qui un’ulteriore replica dell’avvocato Pizzi, nell’attesa che sia il processo d’appello, al massimo tra qualche mese, a valutare di nuovo pro e contro delle diverse ricostruzioni dell’accaduto.
«Le consulenze criminologiche si fanno durante le indagini e si espongono nei tribunali, non certamente sui blog e attraverso i siti Internet. Avvocati e consulenti hanno infatti sempre avuto la possibilità di svolgere le loro difese nelle aule di giustizia. Detto questo, la famiglia Macchi chiede che si porti finalmente rispetto per la memoria di Lidia, già fin troppo oltraggiata dai terribili depistaggi attuati vergognosamente fino ad oggi»