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PETROLGATE, IL PM TRIASSI: «LA RESPONSABILITÀ DELL’ENI C’È TUTTA»

Nelle controrepliche, rincarata l’accusa sul presunto traffico illecito di rifiuti al Cova di Viggiano: a marzo le ultime 2 udienze e poi la sentenza

Direttamente dalla Procura di Nola, attualmente sotto la sua direzione, il Pm Laura Triassi è giunta a Potenza per esporre le proprie controrepliche nell’ambito del processo Petrolgate: ribadite le richieste già rassegnate al termine della requisitoria dello scorso luglio.

L’accusa non ha indietreggiato di un millimetro, anzi. Nel ricostruire il presunto traffico illecito di rifiuti petroliferi prodotti dall’Eni a Viggiano in concomitanza con l’attività industriale estrattiva del Cova, e nello specificare ruoli e condotte degli imputati, ha ulteriormente rilanciato: la multinazionale non poteva non sapere, «la responsabilità dell’Eni c’è tutta, da qui non si può scappare», è stato detto in aula, e i soggetti coinvolti avevano coscienza e consapevolezza degli illeciti.

Il pm Triassi ha aggredito il «formalismo cartolare» della documentazione, soprattutto in riferimento quella autorizzatoria inerente le prescrizioni e disciplinante nel complesso le attività del Cova, che, però, nella sostanza non azionava meccanismi idonei ad evitare le condotte delittuose rilevate dalla Procura del capoluogo. Ribadito anche che a fronte di quanto previsto dalle diverse normative nazionali e comunitarie, le difese, come ha fatto il collegio dei consulenti dell’Eni, non può razionalmente sostenere che i diversi processi minerari e chimici e petrolchimici svolti nel Cova, costituiscano, poichè interconnessi, un processo unitario. Il tema del processo produttivo unitario, costituisce il bivio dirimente dell’intera inchiesta: qualora il collegio giudicante presieduto da Baglioni dovesse accogliere la tesi dell’Eni, l’impianto accusatorio risulterebbe minato alle fondamento. In sintesi, se il processo produttivo al Cova verrà considerato unitario, il consequenziale passaggio successivo, è che all’interno del Cova non ci sono rifiuti, ma solo reflui. Con un esempio su tutti, il pm Triassi ha inteso smontare la tesi dell’Eni.

Nel solco del tracciato argomentativo delineato dal Cane a 6 zampe, qualora la multinazionale petrolifera dovesse decidere di ubicare anche la raffineria nel Cova, allora essendo anch’essa interconnessa con gli altri processi, si dovrebbe considerare pure la stessa raffineria parte di un processo unitario. L’Eni ha sempre negato che all’interno del Cova sia avvenuto il trattamento dei rifiuti, nonchè la miscelazione degli stessi, mentre per l’accusa è il contrario in quanto i rifiuti hanno origine nei processi che li hanno generati. Altro tema di forte contrasto tra accusa e difese, è quello dei profitti.

Come da teorema accusatorio l’Eni ha incamerato un ingente e «ingiusto profitto», decine e decine di milioni di euro, risparmiando , apponendo codici Cer errati, sui costi del corretto smaltimento dei rifiuti liquidi prodotti dal Centro Oli Cova di Viggiano, ma, invece, per la multinazionale petrolifera, se il Cane a 6 zampe avesse agito come i consulenti della Procura hanno indicato, avrebbe addirittura speso ancor di meno rispetto a quanto realmente sborsato seguendo le condotte considerate «illecite» dalla Procura. Il pm Triassi ha contestato sia questa controdeduzione dell’Eni, facendo principalmente riferimento alle intercettazioni in cui l’aumento dei costi se i rifiuti considerati pericolosi, generava “preoccupazioni”. Contestate anche le dichiarazioni dei teste in rappresentanza degli impianti di smaltimento ai quali l’Eni inviava i rifiuti, che hanno sostenuto a processo come per loro sarebbe stato più conveniente, dal punto di vista economico, trattare rifiuti pericolosi rispetto a quelli non pericolosi.

Il profitto, però, è stato rimarcato in aula, non ha valenza ipotetico quanto invece può essere constatato nel concreto. Di qui anche, l’interesse, secondo l’accusa, a non fare i controlli. Una intercettazione su tutte è stata riletta in aula: «qualora non dovessero accettare i 10 viaggi giornalieri, gli “toglierà” il sub-appalto con conseguente interruzione del rapporto lavorativo». Come a dire, in via generica e in estrema sintesi, che ammesso che un impianto di smaltimento aveva da guadagnarci di più se l’Eni avesse apposto il codice Cer dei rifiuti pericolosi, da considerare, però, che se quell’impianto non accettava quelli non pericolosi, che, per l’accusa, tali non erano, il profitto sarebbe stato zero in quanto la multinazionale, ovvero la società intermediaria, avrebbe rescisso i contratti. In conclusione, per il Pm Triassi, «tutti», compresi i vertici, all’interno del Cova erano consapevoli dei i problemi impiantistici e gestionali del Centro Oli, e condotte quali le omissioni nelle comunicazioni e nei controlli, o, per esempio, l’alterazione contestata nei campionamenti, non possono che condurre alla conclusione ieri ribadita: confermate le richieste di condanna già rassegnate al termine della requisitoria dello scorso luglio.

Lo scorso luglio, al termine della propria requisitoria, il Pm ha chiesto oltre 114 anni di reclusione divisi tra 35 dei 37 imputati, nonchè sanzioni per quasi 2milioni e mezzo di euro a 10 società, e la confisca di una cifra da stabilire, tra i 50 e i 150 milioni di euro. Per le controdeduzioni delle difese alle controrepliche del Pm, sono state calendarizzate altre 2 udienze: il 1° e il 10 marzo prossimo.

 

Ferdinando Moliterni

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