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QUANDO NEI PAESI COMANDAVANO GLI EDILI

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Il mio paese di origine, Rotonda, fino alla fine del secolo scorso aveva al centro delle sue attività economiche l’edilizia – questo ovviamente non valeva soltanto per il mio piccolo paese, ma per l’Italia intera. Erano decine e decine gli operai rotondesi che lavoravano quotidianamente come muratori, carpentieri o artigiani alla costruzione di case e alla fabbricazione di strade, ponti, dighe, ecc. Poi, di colpo, circa venticinque anni fa, l’edilizia è diventata sempre meno importante, tenuta in piedi solo grazie a politiche governative tese a incentivare ristrutturazioni e ammodernamenti. Mi fa molto impressione sentir parlare, anche in Basilicata – pensando a epopee naufragate come la Val Basento – di economia post-industriale; mai infatti che qualcuno parli di economica post-edile, vista la centralità che l’edilizia ha avuto nel nostro Paese. Oggi in Italia ci sono troppe case – benché non si riesca, sopratutto nelle grandi aree metropolitane, a risolvere i tanti problemi abitativi –, ma un tempo la domanda di alloggi sembrava infinita, al punto che quello delle imprese edili rappresentava un blocco di potere politico ed economico non indifferente. Un grande intellettuale moralista della Basilicata, Leonardo Sacco – ebbi con lui, proprio a causa del suo moralismo, un rapporto assi conflittuale, benché affettuoso – scrisse un importante saggio-inchiesta contro il potere di Emilio Colombo, e lo intitolò proprio “Il cemento del potere” (1982), perché per molti decenni politica e cemento sono andati a braccetto, non solo metaforicamente. Il paesaggio è molto cambiato, nei nostri paesi; ed è cambiato anche per questo: perché sono scomparse le pale, le montagne di sabbia, i sacchetti di cemento, le betoniere, ecc. Sembrava un mondo potente, ricco. E invece anche il potere degli edili si è ridotto a poca cosa, a memoria sbiadita.

diconsoli@lecronache.info

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