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FRANA DI SENISE DEL 1986: ILLEGITTIMI GLI AIUTI DI STATO PER LE IMPRESE

A distanza di oltre 20 anni, il Mise la spunta sulle società per un cavillo: la norma sui finanziamenti necessitava dell’approvazione della Ue

Storie di “ordinaria” burocrazia e giustizia: dopo oltre 20 anni, per la Diga Gomme società in accomandita semplice, è finita, ma forse anche no. Dal Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Basilicata, il ricorso è stato respinto, ma chissà se, sul finanziamento inizialmente concesso, nel 1988, dall’Agenzia per la promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno, subentrata alla soppressa Cassa per il Mezzogiorno, ci sarà un appello al Consiglio di Stato. I margini per ribaltare l’esito, tuttavia, appaiono molto ristretti.

Dalla società, citato in giudizio come successore ex lege dell’Agenzia anzidetta, il Ministero dello Sviluppo Economico. Oltre le lungaggini giuridiche, a risaltare è anche un altro dato: stando alle carte, i soldi ricevuti come finanziamento risultano spesi adeguatamente. Il cavillo alla base della controversia è, pertanto, burocratico. A seguito della frana verificatasi nel 1986 nel Comune di Senise, la società ottenne l’accesso al beneficio economico risultante pari a oltre 1miliardo di lire, 533mila euro. Sennonchè, in seguito, sia il provvedimento di riduzione del contributo in conto capitale, sceso a 284mila euro, sia la conseguente mancata corresponsione della restante parte del contributo inizialmente stabilito, che è quello posto alla base degli investimenti della società che vi faceva pieno affidamento.

Di qui, la richiesta di risarcimento danni per una somma pari alla differenza tra il contributo in conto capitale originariamente concesso e quello, ridotto, determinato in via definitiva. Indennizzo chiesto anche per la maturazione di interessi per l’importo di 459mila euro, per l’anticipazione bancaria, che avrebbe dovuto essere rimborsata con il saldo del citato contributo in conto capitale ed altri danni chiesti pure per il deterioramento dell’immagine «causato dalla suddetta situazione debitoria», che aveva determinato «la perdita di numerosi clienti». Nello specifico, il finanziamento concesso era finalizzato alla costruzione di un nuovo opificio per la produzione di pneumatici.

I lavori di costruzione del nuovo opificio industriale, risultano ultimati nel marzo del 1989, quindi, «entro il termine di 24 mesi», così come era stato all’epoca stabilito. Questo il cavillo burocratico: il finanziamento costituiva «un aiuto economico», che non era stato autorizzato dalla Commissione Europea. Più precisamente, la parte del Dl 8 del 1987, poi convertito in Legge, relativa «alle imprese che si insediano nell’agglomerato industriale del Comune di Senise», non era stata notificata preliminarmente alla Commissione che nel 1990 ha sancito «l’incompatibilità» della norma con il Trattato Cee. Di conseguenza, l’obbligo dello Stato italiano di provvedere al recupero dei contributi in conto capitale erogati in applicazione della norma bocciata.

Per la Commissione Europea, i contributi per le imprese di Senise, rafforzavano «i preesistenti aiuti di Stato con finalità regionali, introducendo un nuovo aiuto, che favoriva le imprese del Mezzogiorno e falsava la concorrenza, incidendo sugli scambi tra Paesi Membri, sia perché favoriva le esportazioni delle imprese destinatarie del beneficio, sia perché limitava le esportazione delle imprese degli altri Stati Membri nel mercato italiano». Ad ogni modo, nel 2003, il Tribunale di Potenza ha condannato il Ministero dello Sviluppo Economico al pagamento di 266mila euro, pari al saldo del contributo non erogato, oltre interessi legali. Nel 2014, la Corte di Appello di Potenza ha, invece, dichiarato la giurisdizione del Giudice amministrativo, in quanto l’Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno, nel 1989, aveva esercitato un potere autoritativo col provvedimento in autotutela di riduzione del finanziamento.

Nel 2018, anche la sentenza delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, ha confermato la giurisdizione del Giudice amministrativo. Di qui, la controversia al Tar di Basilicata con il Ministero costituitosi in giudizio per l’infondatezza del ricorso. Dal 2018 al febbraio 2021: il quadro normativo stabiliva che gli Stati Membri, prima di istituire o modificare un aiuto economico alle imprese, dovevano notificarlo preventivamente alla Commissione Europea, altrimenti lo stesso era da inquadrare come «aiuto di Stato illegittimo». In conclusione: ricorso respinto e società condannata al pagamento, in favore del Ministero dello Sviluppo Economico, delle spese di giudizio, liquidate in 3mila euro.

Ferdinando Moliterni

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