La psicosi organica come causa di disturbi comportamentali
Ovviamente, sia chiaro (e lo ribadiamo), non basta avere una lesione a livello cerebrale per essere potenziali criminali
La scoperta della causa organica
La psicosi organica come causa di disturbi comportamentali ~ a cura di Mirko Avesani ed Elisabetta Sionis
Mirko Avesani, Neurologo clinico e forense, Criminologo perfezionato in Neurodiritto
Elisabetta Sionis, Criminologo Clinico esperto in Psicologia Giuridica, già Magistrato Onorario presso il Tribunale per i minorenni di Cagliari
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Cari lettori,
Vi presentiamo un caso molto interessante e con parole molto semplici perchè ci interessa far passare un concetto chiave: l’importanza delle neuroscienze forensi in tema di valutazione della personalità e dei suoi repentini mutamenti quando essi virano verso la psicosi.
Questo perchè esistono anche le psicosi cosiddette “organiche”, ovvero correlate alla sofferenza di particolari aree cerebrali, sofferenza che, in taluni casi, può essere trattabile, come vedremo proprio in questo caso.
INTRODUZIONE E PREMESSA
Dal punto di vista criminologico, nell’analisi differenziale della etio-criminogenesi, occorre sempre confrontarsi con le altre discipline e tra queste figurano certamente la psichiatria e le neuroscienze.
Fu Cesare Lombroso il primo studioso a postulare l’ipotesi secondo la quale esisterebbe una causa cerebrale dell’aggressività e della violenza.
Alcuni aspetti della teoria lombrosiana sono confermati anche da più recenti studi sui reati di stalking e sulle dipendenze (in primis le ludopatie) i quali hanno dimostrato come la propensione al rischio e la violenza siano il prodotto sia di fattori genetici che biologici e non dipendano unicamente da cause sociali.
Il criminologo inglese Adrian Raine ha individuato una correlazione tra i comportamenti antisociali ed alcune peculiari caratteristiche cerebrali.
La sua ricerca effettuata attraverso tomografie sul cervello dei detenuti, con l’applicazione del neuroimaging funzionale, ha permesso di identificare uno sviluppo cerebrale incompleto nella corteccia cingolata posteriore, delle disfunzioni nell’amigdala e delle disfunzioni nell’ippocampo.
Al fine di dimostrare che le condotte antisociali, oltre ad avere cause di natura socio-familiare-ambientale, possano essere correlate anche a lesioni cerebrali, un gruppo di studiosi (Darby et altri) hanno mappato le lesioni di 17 criminali (che si erano macchiati di frode, furto, stupro, aggressione e omicidio) attraverso l’utilizzo di tecniche di neuro-imaging funzionale.
Tutti i 17 pazienti, per l’appunto rei di svariati crimini,hanno riportato lesioni che sono state identificate nelle seguenti regioni, tutte afferenti alla rete che organizza i processi morali:
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9 pazienti con lesione nella struttura mediale frontale o orbito-frontale;
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3 pazienti con lesione a livello del lobo temporale mediale/amigdala;
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3 pazienti con lesione nel lobo temporale anteriore;
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1 paziente con lesione nella corteccia prefrontale dorso-mediale;
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1 paziente con lesione nello striato ventrale e in alcune parti della corteccia orbito-frontale.
Ovviamente, sia chiaro (e lo ribadiamo), non basta avere una lesione a livello cerebrale per essere potenziali criminali.
Infatti, l’approccio multidisciplinare riconduce il comportamento criminale all’insieme di più fattori: quelli ambientali, sociali e genetici.
Il tutto secondo il cosiddetto modello “bio-psico-sociale” che ispira anche il nostro codice penale.
Davanti a crimini efferati o reiterati nel tempo, occorre sempre effettuare una valutazione tesa ad escludere (o a confermare) indicatori di natura neurologica o psichiatrica, non solo al fine di misurare la capacità di intendere e/o volere al momento della commissione del fatto-reato, ma anche in termini predittivi e prognostici circa la pericolosità sociale e possibilità che il soggetto sia a rischio di recidiva.
CASO CLINICO.
Nel caso che descriviamo, non si tratta di una persona che ha compiuto un reato, ma di una persona che, comunque, aveva sviluppato un repentino cambio di personalità, che lo aveva portato ad essere attenzionato.
Si tratta, infatti, di un paziente che, da due anni, era seguito presso un CPS (un centro di salute mentale) per una insorgenza, subacuta, ovvero nel volgere di pochi mesi, di un disturbo, apparentemente psichiatrico, caratterizzato da disinibizione sia verbale che comportamentale, causa, per lui, di conseguenze rilevanti dal punto di vista sociale.
Per due anni, il paziente è stato trattato con diversi farmaci, tra cui potenti neurolettici e antipsicotici di seconda generazione, senza ottenere grandi risultati.
Finalmente, per lui, è arrivato un segno organico: una crisi epilettica.
Grazie a questo evento, il paziente, giunto in Pronto Soccorso, è stato valutato mediante una TAC cerebrale urgente, che ha evidenziato una massa in regione temporale destra, di significato non univoco. Soprattutto, molto dubbia era l’ipotesi di un ictus, considerata l’evoluzione subacuta dei sintomi.
L’ipotesi più accreditata, quindi, era quella di una neoplasia, che, tuttavia, non sembrava appartenere al campo dei tumori maligni primitivi dell’encefalo (tra cui figurano, per maggior frequenza, i gliomi), considerata la sostanziale omogeneità del tessuto.
Immagini TAC
A questo punto, il paziente è stato sottoposto a RMN encefalo con mezzo di contrasto che ha evidenziato la presenza di un voluminoso meningioma di tipo cistico, una neoplasia che, seppure benigna, in determinate sedi (come il lobo temporale), può causare un disturbo del comportamento sia per un effetto compressivo che per una reazione infiammatoria che si viene a creare nel tessuto cerebrale circostante.
Le immagini di RMN sotto presentate, sono alquanto eloquenti, in quanto mostrano le significative dimensioni raggiunte dalla massa tumorale prima di arrivare a causare una crisi epilettica.
Immagini di RMN encefalo
CONCLUSIONI
Questo paziente, senza una crisi epilettica, sarebbe stato etichettato come “psichiatrico” e come tale trattato, senza, peraltro, ottenere i risultati di un controllo della sintomatologia.
La scoperta della causa organica, ha permesso di programmare l’iter chirurgico finalizzato alla rimozione della neoplasia, con conseguente regressione della sintomatologia e un conseguente netto miglioramento della sua qualità di vita.
Ecco, in buona sostanza, un esempio “da manuale” di come la neurologia e la psichiatria debbano, in campo forense, sempre più dialogare, specie in contesti come le psicosi, considerata la possibile patogenesi organica delle stesse.