IL BEATO DOMENICO LENTINI A LAURIA
La pandemia ferma la festa, ma non la fede e l’amore verso il Santo
Si è rinnovata la festa del Beato Domenico Lentini a Lauria. Per via della pandemia poche le manifestazioni esteriori che i Laurioti hanno preparato per l’evento, ma di sicuro non è mancato la fede e l’amore verso il Santo penitente che tutti aspettano proclamato tale in P.zza San Pietro, come avvenne già il 12 Ottobre 1997 per la Beatificazione. Il Vescovo della Diocesi di Tursi-Lagonegro Mons. Vincenzo Orofino, che doveva celebrare il Sacro rito non lo ha potuto fare insieme a tanti Sacerdoti della Diocesi a causa di quarantene. Ha celebrato la Santa Messa Padre Gaetano Lorusso originario di Acerenza, Provinciale dei Padri Rogazionisti di Firenze. Hanno concelebrato Mons. Vincenzo Iacovino e Don Franco Alagia. Presenti il Sindaco della Città con l’intera giunta.
Il Beato Domenico Lentini nacque a Lauria, il 20 novembre 1770 da Macario e Rosalia Vitarella, di povere condizioni economiche. A 14 anni scelse di seguire la vocazione al sacerdozio. L’8 giugno 1794 venne ordinato sacerdote. Infiammato dallo Spirito Santo, veniva chiamato dai contemporanei «un angelo all’altare», anche a causa delle frequenti estasi. Il Beato si dedicò con tutte le forze alla Confessione, evangelizzazione, predicazione e catechesi non solo a Lauria, ma anche nei paesi, del circondario. Nutriva una tenera devozione a Gesù Cristo Crocifisso e all’Addolorata. Aveva una profonda cultura, che metteva a disposizione di tutti. Per trenta anni ragazzi e giovani affollarono la sua povera casa in una vera e propria scuola cattolica. Insegnò gratuitamente lettere e scienze, osservando una strettissima povertà volontaria. Nei bisognosi scorgeva Cristo e per questo donava quanto possedeva: vestiti, pane e il poco denaro. Viveva in continua penitenza: cibi frugali, mortificazioni corporali, vesti logore, cilizi e flagellazioni, pochissimo sonno e il pavimento per giaciglio. Aveva il dono della profezia, della scrutazione dei cuori, dei miracoli. Morì il 25 febbraio 1828, dopo un’agonia vissuta nel completo abbandono mistico. Il suo corpo, martoriato da flagelli e digiuni, per tutto il tempo dei funerali durati sette giorni, rimase flessibile e caldo, effondendo sangue vivo e soave odore. Si aprirono i suoi occhi davanti all’Ostia, di fronte ai suoi parenti ed amici, e ai miscredenti.