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MATERA, UNA STRATEGIA PER IL POST 2019

Il punto

DI VINCENZO SANTOCHIRICO


“Non abbiamo quasi alcun controllo su quello che accade. Solo qualche leggera influenza”. Con questo provocatorio e cinico aforisma, Tibo Fischer, uno dei più dissacranti scrittori viventi d’Inghilterra (titolo deil suo ultimo libro “Come governare il mondo”), ci scuote e interroga in un tempo in cui davvero sembra che l’ineludibile domini e prenda il sopravvento sugli intenti e umani sforzi. Ma proprio quest’anno, così segnato da impreviste e sconvolgenti avversità, sta progressivamente smentendo, ancora una volta, la resa al fato e alle circostanze. In verità, non sempre e ovunque. A fronte dell’effetto pandemico, che ormai chiaramente trascende l’ambito sanitario per investire anche quello sociale e collettivo, sono sempre più diffusi e forti i segnali di reazione (dalle politiche pubbliche alle iniziative private), ma permangono anche ampie zone di inerzia, per incertezza sul da fare o per passiva attesa del ritorno alla “normalità”.

Il tempo del pensiero (o l’opportunità del tempo presente o lockdown culturale).

Tuttavia, pur essendo spesso e oggettivamente difficile re-agire nell’immediato, per i vincoli e gli ostacoli che le misure di prevenzione impongono o creano, è ormai altrettanto certo che questo tempo, se non può essere quello dell’azione, può e deve essere quello del pensiero, dell’elaborazione, della progettualità, della preparazione del futuro, che inizia dalla rimeditazione del passato, prosegue con l’analisi delle implicazioni del presente, si conclude con gli scenari e le relative “policies” per il futuro.

Questo è vero in generale e dappertutto, ma lo è ancor più dove e quando maggiormente avvertito e profondo è lo scarto fra la fase pre-pandemia e l’attuale, laddove troppo recente e in divenire era la situazione precedente per ritenerla già acquisita e duratura, perciò meno esposta agli effetti dissestanti del virus. In tali circostanze, il tempo presente diventa una risorsa preziosa.

Matera si trova proprio in questa condizione. L’euforia e il successo del 2019 non hanno conosciuto neanche il fisiologico tempo del disincanto e della sedimentazione per essere stati travolti da una pandemia che sembra avere azzerato in un baleno i livelli raggiunti e le promettenti prospettive. Per tale ragione, il colpo è più doloroso e incisivo che altrove, più pericolosamente invasivo e persvasivo, tale da esigere una reazione diagnostica e terapeutica più immediata ed efficace. In verità, lo stato delle cose non è, sotto questo aspetto, rassicurante.

Dal 2019 sembra separarci una eternità. Per dirla con recenti e bellissimi versi, sembra che “il passato è una terra remota / magari non esiste / non sai dove” (U. Piersanti, Campi d’ostinato amore). In realtà, già durante, e ancor più sul finire del 2019, non erano stati pochi né secondari gli interrogativi su quello che sarebbe rimasto dell’anno di capitale europea della cultura, quali avrebbero dovuto essere gli assi di sviluppo, i profili da privilegiare (la qualità più che la quantità), le risorse da ricercare e utilizzare (nervo oggi scopertissimo), i soggetti e le competenze da attivare, le reti da creare, i campi da coltivare, ecc.. Agli inizi del 2020 si era avviato un confronto, che la pandemia ha interrotto e che neanche la competizione elettorale dell’estate scorsa ha animato. Sembra essere diventati prigionieri di un lockdown culturale, dal quale è urgente liberarsi. Non sono mancate iniziative in campo sindacale, qualche proposta da associazioni imprenditoriali e spunti e vivacità dalle organizzazioni del settore turistico.

Ma, a parte l’episodicità e la frammentarietà, si avverte la mancanza di visione complessiva, lungimirante, condivisa, che non è riducibile ad alcuni refrains, che più vengono ripetuti più perdono di credibilità e concretezza, e ancor meno é surrogabile da eventi sporadici, magari anche di qualità, che danno ancora più eco e risalto al vuoto precedente e successivo.

Il lascito del 2019: cultura ed Europa.

Non è semplice né facile e sicuramente non aiuta l’assenza di quadri di riferimento di lungo periodo. Il più volte annunciato piano stratAegico culturale non ha mai visto la luce. L’eredità del 2019 e del suo principale attore, la Fondazione Matera-Basilicata 2019,se conserva semi di più matura consapevolezza, forse anche di maggiore apertura e attitudine a processi di cambiamento, non lascia istituzioni solide, progetti di lungo respiro, attività programmate di ampio periodo. Non c’è una declinazione definita, riconoscibile, tanto meno strutturata, di una strategia imperniata sui due pilastri del 2019: cultura ed Europa. E’ un esercizio complesso, che necessita di analisi, conoscenze, competenze, confronto poiché non esistono modelli precostituiti o riproducibili in quanto hanno a che fare con storia, tradizioni, territorio, potenzialità, istituzioni, che concorrono a formare un quadro da delineare. Può darsi che la pubblicazione a breve di un rapporto critico sull’esperienza di Matera Capitale Europea della Cultura, a cura della stessa Fondazione Matera-Basilicata 2019, aiuti, mettendo a disposizione materiale di riflessione.

Ma appare ancora prima, o comunque insieme, necessario e decisivo acquisire un habitus culturale ad affrontare questi interrogativi con uno sguardo che accantoni o, meglio ancora, archivi ogni concessione al localismo, all’autosufficienza o addirittura all’autarchia. Quando si è diventati patrimonio mondiale dell’umanità e si è stati Capitale europea della cultura l’orizzonte non può che essere diverso, per ampiezza, contenuti e prospettiva. La città non risponde più e solo a se stessa. Non si tratta solo di metodologia, anche se tale aspetto è tutt’altro che trascurabile, ma di scelte, direttrici, obiettivi, che si pongono ad un livello diverso rispetto al passato. Le tradizionali politiche “urbane”, dalla mobilità ai servizi, dall’urbanistica ai lavori pubblici, dall’istruzione alla cultura, dallo sport al bilancio, per non dire del turismo, vanno reinquadrate, ri-dimensionate, ripensate e rifunzionalizzate.

Non possono più essere soltanto indirizzate alla domanda interna, ma devono essere rapportate anche a quella esterna già esistente, potenziale e da promuovere se, come sembra ovvio, al suo incremento e qualificazione bisogna tendere. Occorre assumere questa duplicità come permanente, con la consapevolezza che possono esserci anche tensioni e contraddizioni fra esse, ma che lo sforzo dovrà volgere non solo a renderle compatibili, ma l’una funzione dell’altra, perché così si esaltano a vicenda e più soddisfacenti e performanti sono le risposte che ad esse si possono dare. Il campo paradigmatico, a proposito, è quello dei Sassi, ma questo tema esige una trattazione a parte, come quella riservatagli nei contributi raccolti nel volume “Sassi di Matera.

Per una nuova stagione”, che é il primo vero aggiornamento, in termini di analisi e proposte, negli ultimi ventanni sul reale “capitale” della città. L’insieme delle esigenze innanzi segnalate devono trovare approdo e sviluppo in un disegno chiaro di città e negli strumenti da adottare per la sua realizzazione.

Una strategia lungimirante e coraggiosa.

Se cultura ed Europa (o internazionalità,se si vuole) hanno tracciato le coordinate in cui si è sviluppato ed affermato il trend materano negli ultimi trentanni, allora la definizione sintetica e riassuntiva della Matera dei prossimi decenni non può che essere: città culturale europea (o internazionale).

Non è né uno slogan né una etichetta, che si attacca e stacca a seconda delle occasioni o convenienze. E’ un profilo impegnativo, esigente, che richiede consapevolezza, lungimiranza, coerenza e coraggio. Il grado di complessità e anche di difficoltà di tale obiettivo richiede una strategia e strumenti di governo della realtà che, all’interno di una architettura generale, sappia dare spazio, riferimenti e sostegno alle forze autonome – economiche, sociali e culturali – che hanno già dato prova negli anniscorsi di grande vitalità e protagonismo e che vogliono continuare a farlo.

Questa strategia va elaborata, scelta e condivisa in breve tempo, approfittando di questo momento di forzata stasi, poiché dal 2022 in poi, ma forse già dall’estate ormai prossima, i meccanismi spontanei si rimetteranno in moto, come è auspicabile che avvenga, ma nella stessa indeterminatezza e incertezza che si erano avvertite sul finire del 2019.

Se é vero purtroppo che non c’è un piano definito, è altrettanto vero che la realtà è ormai ricca di inseminazioni, germogli, boccioli, essenze che formano un vivaio straordinario. Il passo che manca, per conservare la metafora, é utilizzare questa ricca riserva per realizzare giardini che abbiano geometrie, disegni, forme che li rendano riconoscibili, unici, attraenti, come quelli di Villa d’Este o di Versailles. Ci sono tanti aspetti e questioni da affrontare e che meriteranno approfondimenti prossimamente. Ma é essenziale e decisivo scegliere, decidere, agire, orientando il corso delle cose, anziché assistere passivamente al suo flusso, tutt’al più con “qualche leggera influenza”,sotto lo sguardo beffardo di Tibo Fisher.

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