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RIGORE IN NIGERIA, CI SCAPPA IL MORTO E FUGGE IN BASILICATA ESPATRIO SENZA VAR: STORIA «IRRAZIONALE»

Racconti particolare dei richiedenti asilo: dall’«arbitro corrotto» al gambiano che ha «ferito il cugino del Presidente del Gambia»

Veri o inventati che siano, dai migranti che in fuga dai loro Paesi di origine approdano in Basilicata nella speranza dell’ottinemento della protezione internazionale, è possibile ascoltare racconti davvero particolari. Come quello, per esempio, narrato dal nigeriano Philip Ordia ai giudici del Tribunale di Potenza che però non gli hanno creduto. Il verdetto dei giudici lucani è stato impugnato in Cassazione, ma anche con gli “ermellini”, l’esito è stato identico: status di rifugiato negato.

Ordia ha riferito di essere fuggito dalla Nigeria in seguito a una rissa insorta durante una partita di calcio, «per un rigore indebitamente concesso da un arbitro corrotto». Dal fischio arbitrale, il parapiglia tra i giocatori e nel mentre dei concitati attimi per accesi animi sportivi, Ordia, ha raccontato, è stato aggredito da un giocatore della squadra avversaria «con una testata» che gli aveva fatto «perdere un dente». Incassato il colpo, voleva però restiruirlo, e così si è messo ad inseguire l’aggressore «con un bastone».

La sequenza rigore-rissatestata-inseguimento, ebbe un tragico epilogo. L’aggressore «nella fuga era stato investito da un autoveicolo» ed «il ragazzo investito era morto in ospedale». La madre, allora, gli consigliò di fuggire, e Ordia dopo aver trascorso «un mese a casa di un amico», decise di lasciare definitivamente la Nigeria. La Cassazione ha dato ragione al Tribunale di Potenza: «Irrazionalità del timore attuale di rientro nel Paese di origine». Del resto, Ordia non avrebbe potuto correre alcun rischio, poiché «non sarebbe stato a lui ad avere investito e ferito mortalmente il proprio aggressore» e, inoltre, moltissime persone, possibili testimoni, «avevano assistito all’accaduto».

Rigore in Nigeria, chiede il “Var” in Basilicata: espulso dalla Cassazione. Doppio esito negativo, al Tribunale di Potenza prima e ora in Cassazione anche per Abdoulie Jarju proveniente dal Gambia. Nel suo caso non intrighi di pallone, «un arbitro corrotto», ma temuta la massima punizione, la morte, decretata dalle più alte sfere del potere politico. Jariu ha raccontato che per fare del bene, si era messo, però, in una brutta situazione: aveva ferito ad una mano, durante una lite, il marito della sorella che lui aveva cercato di difendere dalle sue percosse e che lo aveva brutalmente aggredito. Temendo di «essere ucciso per vendetta», era quindi fuggito dal Gambia. Per Jariu il suo destino era ormai segnato: o l’arresto o l’assassinio, il suo.

Ciò poichè il cognato era molto influente in quanto «cugino del Presidente del Gambia e militare di carriera». Già la Corte d’Appello di Potenza aveva confermato la pronuncia di rigetto del Tribunale della domanda di protezione internazionale e adesso col verdetto della Cassazione, il diniego è definitivo. Per gli “ermellini”, «assenza di credibiltà».

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