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CHI VIVE SE TUTTI LEGGONO E SCRIVONO LIBRI?

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Enzo Santochirico, ex Presidente del Consiglio regionale lucano, mi manda un messaggio col quale commenta, allibito, l’esorbitante numero di libri pubblicati ogni anno in Italia (circa 78.000). Alzo il telefono e gli dico, un po’ travolgendolo, che il problema non è solo questa folle quantità di libri scritti e pubblicati, e nemmeno la presunta bassa percentuale di lettori, ma, paradossalmente, l’eccesso di cultura e di sapere degli italiani. Quanto più aumenta il sapere, l’attività speculativa, il bisogno di scrivere e pubblicare libri, ecc., tanto più questa elefantiasi culturale testimonia una crisi dell’azione, della parassi, dell’esperienza. Ogni volta che entro in una libreria io non provo più felicità ma spaesamento, vertigine, confusione, perché sento qualcosa che molto somiglia a una vita di carta. Se tutti scrivono e leggono, chi vive? Si ama sempre meno ma si parla sempre di amore. Il lavoro è passato dal sudore della fronte alla teoria e alla chiacchiera permanente. Ovunque si sente parlare di cultura, come fosse, la cultura, qualcosa di salvifico. Io non so se sono un uomo di cultura; ma so che provo disagio per una società che parla così ossessivamente di cultura. Quasi ringrazio il cielo che ci siano ancora persone che non leggono, persone che non mettono parole edificanti come “bellezza” e “cultura” in ogni discorso. Perché non penso che la cultura renda migliori. Anzi. Lo penso per esempio quando osservo un critico letterario che quando parla cita un sacco di titoli – però, stringi stringi, non dice mai niente. Per emergere ha anche provato a fare il conduttore televisivo e il giurato dei talent. Per me il suo uso strumentale del sapere libresco non è cultura, ma malattia e cialtronaggine. Tante persone che non leggono e non scrivono libri valgono molto più di lui – più del suo chiacchiericcio vano, sterile e servile.

diconsoli@lecronache.info

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