IL RICCIO E I SUOI OLTRE 5000 ACULEI DIFENSIVI
Lisando ci racconta la vita di questo animaletto, oggi protetto ma in passato utilizzato per le carni e il mantello
A raccontarci il “Riccio europeo” è il naturalista Carmine Lisandro, già autore del documentario “Lucania a Nord Ovest”.
«Il Riccio frequenta habitat diversificati e con presenza di boscaglie che vanno dalla pianura alla collina fino a circa 1000 metri di altitudine, ma non è raro trovarlo in anche se frequenta aree che l’uomo ha modificato per le proprie esigenze come: parchi, case coloniche, giardini e strade dove purtroppo, soprattutto nelle ore notturne, mentre le attraversano, sono spaventati dai fari e invece di allontanarsi, a causa dei muscoli dorsali si raggomitolano per cui l’impatto è inevitabile».
«Non sempre in Natura tra gli animali c’è una evidente diversità tra i due sessi, a volte come nel caso del Riccio, è la femmina ad essere più grande del maschio. Gli esemplari autoctoni della sottospecie meridionale sono lunghi in media tra i 20 e 30 cm. coda compresa, l’altezza è sui 14 cm. ed il peso può superare il chilogrammo. Il capo è largo con un musetto appuntito e piccoli gli occhietti scuri, i baffi sono neri e le orecchie rotonde sono corte. Il corpo robusto e sostenuto da piccole zampe con cinque dita e unghie forti, inoltre è ricoperto dalla fronte alla coda con oltre 5.000 peli modificati duri e grigi dalla punta bianca, gli aculei, mentre la parte inferiore è rivestita con peli brunastri.
Molti uccelli, tra cui le gru e le pavoncelle, con l’arrivo della stagione fredda, non trovando cibo, migrano verso i paesi caldi. Il Riccio, essendo un insettivoro come la talpa, non può trovare cibo in inverno né migrare per cui va in letargo, non prima di aver accumulato la quantità di grasso necessaria e di aver trovato un rifugio nella cavità di un tronco, sotto un cumulo di pietre o di sterpaglie che rende più confortevole con l’aggiunta di muschio, erba o foglie secche.
A fine marzo -spiega Lisandro- quando la temperatura tende ad aumentare, il riccio si sveglia e, lentamente, riacquista i valori normali per cui senza fretta va alla ricerca di prede e, poiché non ha una buona vista, cammina fiutando tutto ciò che incontra, sfruttando l’udito e l’olfatto che gli consentono di trovare insetti sia sul terreno che nel sottosuolo come: scolopendre, millepiedi, ragni, porcellini di terra e lombrichi. Pur essendo prevalentemente insettivoro, all’occasione non disdegna di nutrirsi di coleotteri, lumache, piccoli topi, frutta matura e rettili, tra cui la Vipera che teme molto il riccio.
Il maschio è un animale solitario che rompe il suo isolamento solo durante il corteggiamento o le dispute con gli altri pretendenti, un corteggiamento condizionato dai rifiuti della femmina e che può durare più di due mesi. Avvenuto l’accoppiamento, dopo quasi 60 giorni di gestazione, la femmina allontana il maschio prima della nascita di 4/6 piccoli nudi e ciechi, ai quali dopo qualche giorno spunteranno molli aculei e saranno accuditi dalla madre per alcuni mesi.
I nemici che più riescono a vincere la difesa di questo simpatico animaletto sono i rapaci, che con i loro artigli ed il forte becco riescono a far breccia nella difesa del riccio. I mammiferi come volpi, faine e cinghiali riescono molto raramente a spuntarla.
Tra le curiosità che riguardano il Riccio – conclude il naturalista lucano- dovete sapere che nel IV° sec. d. C., i Romani lo allevavano per le sue carni e, con il suo mantello di spine rimuovevano le impurità dalla lana, mentre nel XIX° sec. gli aculei erano usati in Germania come strumenti operatori.
Se in primavera trovate un riccio evitate di catturarlo perché si tratta di un animale protetto e, comunque, prima di liberarlo in natura, non dategli mai da bere latte di mucca: per lui letale».