QUANTO È IMPORTANTE LA POESIA DI VITO RIVIELLO
Lettere lucane
Per alcuni anni – grosso modo dal 1997 al 2000 – ho frequentato assiduamente a Roma la casa del poeta potentino Vito Riviello (1933-2009). Poiché aveva l’abitudine di svegliarsi molto tardi, ricordo che a casa sua, in via del Babuino, ci andavo la sera, e ci rimanevo fino a notte fonda. Io Riviello lo aveva letto anche a Rotonda – avevo trovato alcune sue poesie in alcune antologie della biblioteca comunale –, ma fu a Roma che iniziai a mettere meglio a fuoco la sua azione dirompente rispetto alla poesia lucana – ma non solo lucana – attraverso l’uso della parodia, della comicità, dello sberleffo e dell’ironia. A vent’anni avevo letto Levi, Scotellaro, Sinisgalli, Pierro, Nigro, ecc., e dalla loro opera avevo ricavato un tono lirico, nostalgico, struggente e ieratico, che ovviamente sentivo e sento assai affine alla mia indole psicologica e antropologica. Ma fu la frequentazione di casa Riviello e la lettura attenta e capillare delle sue opere a farmi vedere alcuni aspetti della mia terra con uno sguardo più leggero e irriverente, perché tante cose che mi erano sembrate serie e solenni, a ben guardarle senza il velo retorico o populista, erano semplicemente ridicole, se non addirittura comiche. Non so se ci avete fatto caso, ma di Riviello non si parla quasi mai, in Basilicata – eppure, del ‘900 poetico lucano, è uno dei massimi; e non si parla di lui, secondo me, perché la sua irriverenza e la sua sperimentazione anti-ermetica suscitano ancora scandalo e diffidenza. Erede dei Berni e dei Burchiello, nonché dei dadaisti – come intuì Giovanni Raboni introducendo “Assurdo e familiare” – Riviello irrise con intelligenza e crepuscolare malinconia miti letterari, sociali, culturali e psicologici. Insomma, la sua estrosità, la sua intelligente fantasia e il suo anticonformismo farebbero assai bene ai troppi epigoni in circolazione del levismo, dell’ermetismo e del demartinismo.