Rivolgo un saluto ai Presidenti del Senato, della Camera, del Consiglio, della Corte Costituzionale. Ai rappresentanti dell’Anpi e delle Associazioni combattentistiche e partigiane e d’arma.
Sono passati settantasei anni da quando – il 25 aprile del 1945 – la voce di Sandro Pertini lanciava, dai microfoni Radio Milano Liberata, a nome del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e del Corpo Volontari della Libertà il proclama di insurrezione nazionale contro le truppe nazifasciste.
Una data simbolica della guerra di Liberazione, scelta dalla Repubblica Italiana per ricordare la conclusione del conflitto sanguinoso, la fine della brutale e spietata occupazione nazista, il crollo definitivo del fascismo.
Questa giornata, per gli italiani, rappresenta la festa civile della riconquista della libertà.
La vittoria dell’umanità sulla barbarie.
Il giorno di un nuovo inizio, pieno di entusiasmo, portato a compimento con la Costituzione Repubblicana del 1948.
Ringrazio chi ha contribuito a farcela rivivere in modo così appassionante e coinvolgente: il professor Emilio Gentile, con le sue lucide considerazioni. Il filmato, sempre accurato, di Rai Storia, la bravura e il pathos di Greta Scarano – che ringrazio molto -, la versione così suggestiva dell’Inno nazionale e l’esecuzione di Bella Ciao interpretate da Daniele Di Bonaventura e Marcello Peghin.
Il 25 aprile rappresenta uno spartiacque imprescindibile nella nostra storia nazionale.
L’Italia – affrancatasi, con il sangue di migliaia di martiri, da vent’anni di dittatura e di oscurantismo – tornò a sedersi nel novero delle nazioni civili, democratiche, pacifiche, dopo la guerra sanguinaria in cui era precipitata con il fascismo.
Le conquiste politiche, sociali, culturali, i diritti, la libertà di opinione, di voto, di associazione, di cui oggi godiamo, trovano il loro saldo radicamento nel 25 aprile.
E, grazie alla Repubblica e alla sua Costituzione nate dalla Resistenza, furono estesi a tutti, senza eccezioni.
A chi partecipò al movimento di Liberazione, a chi lo sostenne, a chi se ne sentì estraneo, anche a chi lo combatté.
Quando, dopo l’8 settembre, le truppe di Hitler invasero l’Italia, mutilandone l’integrità territoriale, imponendo un giogo di brutalità, stermini, eccidi, deportazioni, con la collaborazione complice dei fascisti, migliaia e migliaia di italiani, militari e civili, compresero che la Patria in cui voler vivere e per cui si poteva anche morire, non poteva che essere una Patria libera, democratica, fondata sul diritto, sulla pace, sulla convivenza.
Furono i valori di pietà e di civiltà della nostra gente, la ribellione contro la prepotenza e la furia cieca e devastatrice, a provocare le tante rivolte in molti paesi e città dell’intero territorio nazionale.
Furono sentimenti semplici di solidarietà, di repulsione contro la crudeltà, a muovere gran parte della popolazione a resistere, a sostenere materialmente i partigiani o l’esercito alleato, a boicottare i nazifascisti, a nascondere in casa un ebreo, un renitente o un soldato alleato, pur sapendo che questa scelta di umana solidarietà poteva mettere a rischio la propria vita e quella dei propri cari.
Fu il senso dell’onore e dell’amor patrio a far preferire a seicentomila militari italiani la terribile, e spesso mortale, deportazione nei lager in Germania, piuttosto che combattere a fianco degli oppressori e degli aguzzini.
La crudeltà praticata dai nazifascisti anche contro anziani, donne e bambini inermi – come abbiamo sentito poc’anzi nella terribile testimonianza rievocata poc’anzi da Greta Scarano – non fiaccò l’aspirazione alla libertà, ma, anzi, rafforzò il coraggio e la determinazione di chi decise di opporsi.
Rinascita, unità, coesione, i sentimenti che hanno consentito al Paese di archiviare con la Liberazione una pagina nefasta della sua storia.
Una memoria consapevole che guarda al futuro.
Quest’anno celebreremo anche i settantacinque anni della Repubblica.
La Repubblica che ha avuto origine dalla Resistenza.
Per molti anni, dopo la guerra, questa affermazione è stata ripetuta e ha accompagnato il processo di consolidamento della nostra democrazia.
La Resistenza come laboratorio dove si sperimentò l’incontro e la collaborazione tra le grandi forze popolari, tra le diverse posizioni e culture politiche.
La Resistenza come grande serbatoio di istanze morali.
È bene oggi chiedersi, dopo tanti anni, quale traccia sia rimasta di questa consapevolezza. Cosa significhi oggi, soprattutto per le generazioni più giovani, parlare di Resistenza.
Ed è tanto più necessario in un tempo come quello che viviamo, nel quale l’orizzonte appare oscurato dall’angoscia, il futuro nascosto dall’incertezza e dalle ferite profonde prodotte dalla pandemia.
Io credo che questa traccia sia tuttora ben presente e chiara.
E credo anche che, allontanandoci sempre più nel tempo da quell’esperienza così decisiva, siamo in grado di comprendere, con le lenti della storia, cosa fu davvero la Resistenza e perché essa è diventata patrimonio di tutti; e premessa della rinascita democratica.
Resistere allora significò combattere, rischiare di morire.
Ma significò anche curare, accogliere perseguitati, testimoniare la propria umanità. Significò scrivere e parlare.
Preparare con le idee nuove il tempo della libertà per tutti.
Significò coraggio e speranza.
Nel momento più buio e drammatico della nostra storia molti italiani, a prescindere dalle appartenenze politiche, culturali e religiose, risposero prima di tutto alla loro coscienza per opporsi alla violenza, alla dittatura, all’ingiustizia. In nome della libertà.
Resistere fu anzitutto un’assunzione di responsabilità personale, talvolta pagata con la vita.
Una disponibilità al sacrificio, una scelta rischiosa fatta come atto di amore per la Patria, per la propria comunità.
Un regalo alle generazioni che sarebbero venute dopo.
Questo è il lascito più vivo della Resistenza, il cui valore morale si è proiettato anche oltre il significato storico e politico di quella esperienza.
Ed è per questo che quel patrimonio di ideali e di valori ha continuato a parlarci così a lungo e ci sostiene, oggi, nelle difficoltà del presente.
Vorrei dire soprattutto ai giovani di oggi: il ricordo, la consapevolezza del dolore, dei sacrifici, dei tempi bui che, nel corso del tempo, abbiamo più volte attraversato, ieri come oggi, ci tengono uniti.
Ci fanno riconoscere nel nostro comune destino.
Quel ricordo è il cemento che tiene insieme la nostra comunità.
Viva il 25 aprile, Viva la Repubblica, Viva l’Italia!
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