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IL MERCATO ILLEGALE DEI REPERTI ARCHEOLOGICI

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Qualche anno fa ho perso un cugino romano che era sposato con la figlia della sorella di mio nonna. Si chiamava Marcello, e faceva l’antiquario. Aveva il negozio in una traversa di via del Corso, ma amava venire a Rotonda e riposare nella casa che aveva fatto ristrutturare a Fratta. Marcello mi spiegava, criticando il fenomeno, che prima che lo Stato introducesse leggi severe e rigorose, anche in Basilicata era pieno di ladri o “tombaroli” che scavavano abusivamente e rivendevano sul mercato nero opere d’arte e reperti archeologici. In verità il fenomeno è ancora diffuso, ma ovviamente è diventato più sofisticato e si avvantaggia non poco dell’uso di internet. Secondo me un pezzo di criminalità del futuro trarrà grandi profitti proprio operando illegalmente nel mondo dell’arte e dell’archeologia, perché non so se purtroppo o per fortuna viviamo in un Paese dove sotto ogni zolla di terra riposa un pezzo pregiato di Storia. È notizia di qualche giorno fa che il Nucleo tutela patrimonio culturale di Bari ha sequestrato tra Puglia e Basilicata 1.329 beni culturali, di cui 126 antiquariale, archivistico e librario, 19 reperti paleontologici, 1.181 reperti archeologici e 3 opere d’arte contraffatte. Il valore economico di questi sequestri ammonta a 1,5 milioni di euro. Il principale territorio d’indagine sono stati i siti di e-commerce, dov’è stata sventata la compravendita di 1.181 reperti databili IV-II secolo a.C. e 871 monete di “natura archeologica”. Io penso che non soltanto i Carabinieri ma tutti noi dovremmo essere ancora più severi con chi ruba, trafuga e commercializza illegalmente pezzi del nostro patrimonio artistico e archeologico: primo, perché costoro sottraggono ricchezza alla collettività; secondo, perché permettono principalmente ai ricchi di godere delle cose belle. E invece le cose belle di una Paese sono tutti, anche dei più poveri.

diconsoli@lecronache.info

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