Prof. ALESSANDRO AMATO : Un interessante studio effettuato in laboratorio su campioni di roccia di pochi centimetri contribuisce a capire come funzionano i mega-terremoti (faglie lunghe centinaia di chilometri) e i grandi tsunami, come quello del Giappone del 2011. Articolo di Stefano Aretusini Elena Spagnuolo Giulio Di Toro e altri su Nature Comm.
Terremoti e tsunami: quando le faglie scivolano sul fango
Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications, dal titolo “Fluid pressurisation and earthquake propagation in the Hikurangi subduction zone”, ha permesso di comprendere alcuni aspetti originali della genesi dei grandi terremoti e degli tsunami. Lo studio è stato condotto grazie alla collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, le Università di Pisa, di Padova e la University College of London, su alcuni campioni provenienti dalla zona di subduzione di Hikurangi in Nuova Zelanda.
Scopo dello studio
I grandi margini di placca in subduzione ospitano due dei fenomeni naturali più pericolosi e più importanti in geofisica: i grandi terremoti e gli tsunami. Inoltre, lungo questi margini si registrano numerosi eventi, simili ai terremoti nel principio ma diversi nel modo in cui rilasciano l’energia accumulata nei secoli sotto forma di onde elastiche. Questi motivi fanno sì che i grandi margini di subduzione abbiano attratto l’interesse della comunità scientifica (Figura 1).
Ad esempio, successivamente al grande terremoto di Tohoku-oki 2011(Mw 9, si veda un recente lavoro di sintesi a 10 anni dal terremoto Uchida, N., & Bürgmann, R., 2021) che generò uno tsunami devastante (altezza onde > 10 m), venne avviata la prima campagna di perforazione oceanica profonda nel margine di subduzione al largo del Giappone (progetto JFAST). La spedizione, oltre a fornire un certo numero di dati sullo stato di sforzo della crosta terrestre e delle temperature minime raggiunte in quel particolare terremoto (vedi Brodsky et al., 2020), portò in superficie i campioni del primo chilometro di sedimenti oceanici sotto una colonna d’acqua di 6910 metri (http://www.jamstec.go.jp/e/about/press_release/20120309/). I grandi terremoti che si generano in profondità, consentendo il movimento relativo e improvviso delle placche, sollevano proprio quei primi chilometri sottostanti il fondale marino energizzando la colonna d’acqua sovrastante e producendo devastanti tsunami. In quei primi chilometri però si era sempre ritenuto che i sedimenti composti principalmente di argille impregnate di acqua dovessero arrestare la deformazione sismica impedendo che il terremoto potesse arrivare a deformare il fondale oceanico, ma il grande terremoto di Tohoku fu proprio la dimostrazione che in alcuni casi non è così.
La possibilità di studiare questi sedimenti, la loro composizione e il loro comportamento meccanico e appunto la probabilità che in alcuni casi queste argille possano comportarsi come barriere alla propagazione del terremoto in superficie oppure come “trampolini di lancio” alla deformazione del fondale oceanico è un’opportunità straordinaria. Studi sperimentali hanno dimostrato che queste argille, specialmente in presenza d’acqua, sono in grado di propagare la deformazione con conseguenze simili a quando scivoliamo sul fango, giocando a calcetto in un campo di periferia dopo un acquazzone. Inoltre questi studi sperimentali possono fornire i parametri meccanici necessari (valore della resistenza di una faglia durante un terremoto, per esempio) ai colleghi teorici per le elaborazioni numeriche, l’interpretazione del processo alla scala spaziale (migliaia di km quadrati) e per lo studio di nuovi modelli di pericolosità sismica e da tsunami (Murphy et al., 2018).
Ad oggi sono stati completati numerosi progetti di perforazione profonda (in genere fino a 4000 m di profondità) su scala globale (Figura 5). Alcuni di questi hanno avuto come obiettivo lo studio di faglie attive o dei sedimenti che sono destinati a diventare parte sismicamente attiva del margine di subduzione. In questi casi il nostro laboratorio è stato coinvolto attivamente, tra i tanti citiamo: il progetto SAFOD o perforazione della Faglia di San Andreas in California; il progetto J-FAST o perforazione della faglia che ha prodotto il terremoto di Tohoku Mw 9.0 al largo del Giappone; il progetto WSFD o perforazione delle faglia che ha prodotto il disastroso terremoto di Wenchuan Mw 7.8, Cina, nel 2008 (80.000 vittime), il progetto CRISP in Costa Rica.
Un progetto di perforazione è stato finanziato dall’ICDP anche in Italia (il progetto STAR) per la realizzazione di 6 pozzi superficiali (<250m) in corrispondenza del hanging-wall della faglia Alto-Tiberina, una faglia normale attiva nonostante la sua orientazione non favorevole rispetto al campo di sforzi attivo nella regione (https://www.icdp-online.org/projects/world/europe/northern-apennines-italy/details/). All’interno dei sei pozzi verranno installati una serie di sensori sismici, geodetici e geofisici le cui registrazioni completeranno i dati multidisciplinari che per l’area sono in acquisizione da un’infrastruttura di ricerca, sempre INGV, denominata “The Alto Tiberina Near Fault Observatory”.
Recentemente, a largo dell’isola del nord della Nuova Zelanda, nel 2017-2018 due missioni di perforazione oceanica hanno campionato una faglia nella zona dove la placca Pacifica scende in subduzione sotto la placca Indo-Australiana (Figura 6).
Aretusini, S., Meneghini, F., Spagnuolo, E. et al. Fluid pressurisation and earthquake propagation in the Hikurangi subduction zone. Nat Commun 12, 2481 (2021). https://doi.org/10.1038/s41467-021-22805-w
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