FOTO DI GRUPPO DI GIOVANI OPERAI LUCANI EMIGRATI
lettere lucane
Prendo un caffè ai tavolini di un bar di cinesi a Torpignattara. È primavera ma la giornata è uggiosa, e sento l’umore incrinato. Sfoglio i giornali ma in questo periodo leggo con fatica, più spesso malvolentieri – è come se tutti avessero come unico obiettivo affermare se stessi, oppure vendere qualcosa. Agli altri tavolini ci sono gruppi di cinesi, arabi e bengalesi. Sono tutti giovani, e sono impazienti, ridono, fumano, parlano ad alta voce, sono forti, proprio come i loro Paesi “emergenti”. Passa una ragazza sudamericana con i pantaloncini di jeans e i ragazzi arabi si elettrizzano, fanno commenti tra di loro, alzano per goliardica frustrazione il volume di una radiolina. Sono euforici, e fumano con profonda avidità – è come se non sentissero nessun presagio, nessun pericolo futuro. Io mi sento invisibile – sono come un occhio triste che dai bordi di queste strade decadute registra la nostalgia della vita dell’Occidente. Li osservo attentamente, e di colpo mi sembrano come i nostri operai che negli anni ‘50, ‘60 e ‘70 dalla Lucania si erano spostati a decine di migliaia nei cantieri e nelle fabbriche del Nord Italia e dell’Europa, e la sera si radunavano nei caffè per bere e per fumare, e per attirare l’attenzione delle ragazze. Ne ho viste migliaia, di foto così: operai lucani a gruppi di quattro o cinque, abbracciati, sorridenti, un po’ ubriachi, qualche dente rotto, una birra in mano, la sigaretta in bocca, e un sorriso ignaro, primigenio, di chi ha fame e ignora le leggi della storia e della biologia. Ora la giovinezza è passata ad altre latitudini – anche i nostri giovani, a guardarli bene, hanno sempre qualcosa di stanco e di arreso. L’assoluto ottimismo della forza giovanile non è più in Occidente – il troppo sapere l’ha affondato. Anche i nostri vecchi che furono giovani ignari oggi sanno tutto; il più ignorante è professore.