L’ANTOLOGIA DI CAPOLUONGO, BIBBIA DEI POETI LUCANI
Lettere lucane
Uno dei libri più preziosi che io possegga è “L’antologia dei poeti lucani dal Risorgimento ad oggi” (“La Fucagna” Editrice Potenza, 1972) curata da Gerardo Capoluongo (di cui non ho mai saputo niente). E’ preziosa non soltanto perché vi sono antologizzati, a fianco a quelli più conosciuti come Scotellaro e Sinisgalli, poeti ormai dispersi e dimenticati come Alfonso Errichelli, Elio Morlino, Giuseppe Giannotta, Antonio Tortorella, Enrico Filizzola, ecc., ma perché me la regalò Vito Riviello il 26 settembre del 1999 con questa dedica: “Ad Andrea, per il suo compleanno, con l’augurio più vivo da parte di Vito, Daniela e Lidia. Dal rispetto della genesi l’amore per il futuro!”. Di quest’antologia, che per me è una miniera inesauribile, vorrei oggi isolare due poesie di due diversi poeti. La prima è di Alberto Virgilio di Colobraro – quante ridicole, patetiche e cattive superstizioni su quest’umile paese sfregiato inutilmente da ottuse dicerie –, il quale espresse come pochi un sentimento di smarrimento e di solitudine dell’uomo lucano nel paesaggio lucano, come pietrificato con la mente nell’Eldorado dell’infanzia: “La sera si è fatta di velluto / sui burroni gonfi di vento, / ma la nostra infanzia cruda / non annotta. / Passano nei tuoi occhi immensi / primavere imbalsamate / come l’aquila, / inchiodata nell’angolo del salotto”. La seconda è una poesia atroce, dilaniante, tagliente come una sentenza di Gianuario Messina di Marsiconuovo – una poesia che mi ha tormentato per anni sul tema dell’emigrazione: “Partire / per vivere. / Restare, / per morire. / Forse… / ma tra la vita / e la morte / non c’è tempo / per dire: / proviamo!” L’antologia di Capoluongo, benché allestita con scarsi strumenti critici, rimane tutt’oggi la più completa e capillare, perché offre una straordinaria panoramica della poesia lucana da Nicola Sole di Senise a Francesco Bonanata di Ferrandina.