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SE IL CAPOLUOGO DELLA BASILICATA È ROMA

Lettere lucane

Dall’inizio della pandemia è in atto un processo molto aggressivo di indebolimento del regionalismo. Le Regioni più forti stanno resistendo, benché aggredite da ogni parte (Veneto, Lombardia, Campania, Sicilia, ecc.), le Regioni più deboli e con leadership pallide come la Basilicata stanno invece soccombendo. Questa de-regionalizzazione dell’Italia è portata avanti da quello che viene definito “governo profondo” – alta burocrazia, partiti centralisti, interessi corporativi di ogni sorta convergenti nella grande palude romana – e i Presidenti di Regione più deboli stanno lentamente cedendo lo scettro del Governo regionale a questo “governo profondo”, che coincide solo in parte con il Governo centrale. Le decisioni importanti non vengono più prese in Basilicata, ma a Roma, in contesti dov’è in atto una saldatura molto profonda tra burocrazia e politica. Non che il regionalismo non debba essere ripensato e ridiscusso, ma questa inesorabile espropriazione della sovranità politico-amministrativa della Basilicata sta rendendo sempre più irrilevante la classe dirigente locale, che ormai ha voce soltanto se ha dirette entrature a Roma (indipendentemente dal consenso ottenuto sul territorio). Lo testimonia il fatto che tre tra i cinque più importanti partiti lucani siano coordinati direttamente dalla Capitale – infatti Roberto Marti, senatore leccese, è il commissario della Lega; Gian Pietro Dal Moro, deputato veneto, è commissario del Pd; mentre Marcello Gemmato, deputato barese, è commissario di Fratelli d’Italia. Insomma, dal Governo regionale alle scelte di partito, le decisioni più importanti vengono ormai prese a Roma, di fatto rendendo marginale il ruolo dei partiti e degli stessi consiglieri regionali. Si pensi all’asse Bardi-Speranza, rappresentazione plastica di questo nuovo blocco centralista, oligarchico e insofferente alle voci del territorio.

diconsoli@lecronache.info

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