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COSA SI RISCHIA CON UN’INFORMAZIONE GRATIS

Lettere lucane

Scrivo questa “lettera” dopo aver seguito le tante manifestazioni dei precari del giornalismo. Quando vengo in possesso del numero dei quotidiani venduti in Basilicata, prima mi deprimo, poi mi chiedo se, rispetto agli ultimi decenni, si legga di più o di meno. Credo si legga assai più che in passato, ma gratis, senza pagare un centesimo. Spesso sento dire che l’informazione può sostenersi con la sola pubblicità, ma lo sanno tutti che è una favola, perché se i lettori non fanno la propria parte le imprese editoriali difficilmente ce la fanno. Quest’assurda civiltà del gratis ha fatto passare il concetto che ci si possa informare gratis. Ma se i giornalisti vengono pagati poco e male, come si pretende che il loro lavoro sia di alto profilo? Per scrivere un articolo importate ci vogliono molte ore di lavoro, a volte giorni. Per salvare il sistema dell’informazione tutti dovrebbero fare la propria parte: gli editori, troppo spesso “impuri”, nel senso che utilizzano l’editoria per altri fini, e dunque si concentrano poco sul prodotto; la politica, che dovrebbe tutelare il copyright e impedire ai colossi del Web di guadagnare sui contenuti prodotti da altri; i giornalisti, che sono troppi e non sempre all’altezza dei propri doveri; e infine i lettori, che non possono continuare a pretendere un’informazione importante senza pagare. I lucani spendono poco e niente per informarsi, ma ugualmente si informano. Chi paga dunque i giornalisti che loro leggono? La pubblicità? Ma la pubblicità è solo un pezzo del bilancio di un’azienda editoriale. Ecco allora che bisogna dirsi la verità: i soldi che i cittadini non spendono per pagare l’informazione ce li mette quasi sempre qualche organismo pubblico, e dunque politico. E questo rende la civiltà del gratis una civiltà esposta a censure, autocensure e a manipolazioni di ogni tipo. Dal gratis, infatti, non è mai uscito niente di buono.

diconsoli@lecronache.info

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