CARRUBO, SCEMPIO AMBIENTALE: ARRIVA LA PROCURA AL SANTAVENERE CANTIERE POSTO SOTTO SEQUESTO
MARATEA Il procuratore di Lagonegro affosa la vittoria di Pirro dell’Arsenale Hospitity Srl al Tar: per il Ctu, Regione e Soprintendenza hanno ragione
Maratea, spiaggia del Carrubo, hotel Santavenere: il pathos della cronologia degli eventi dell’ultima ha ieri raggiunto il vertice del climax. Se “Ponzo Pilato”, il Tar s’è lavato le mani, la Procura di Lagonegro no: posta sotto sequestro tutta l’area del cantiere dello scempio ambientale e nominato custode giudiziario Francesco Prestanicola in qualità di direttore del Santavenere. Prestanicola dovrà garantire la non alterazione dello stato del cantiere così come fotografato dai rilievi effettuati dal consulente tecnico d’ufficio della Procura di Lagonegro accompagnato sul posto dai Carabinieri. Donadio, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di LaGonegro, stoppa il presidente del Tribunale amministrativo regionale (Tar) di Basilicata, Donadono.
Così l’altalenante susseguirsi degli eventi degli ultimi giorni, ha raggiunto ieri, col decreto di sequestro, un punto fermo dalle paratie, al momento, difficilmente forzabili dalLa società del Santavenere, l’Arsenale Hospitality Srl.
Anche l’ingegnere nominato Ctu dalla Procura, periziando i lavori eseguiti ha raggiunto le stesse conclusioni già scritte nero su bianco dalla Regione e dalla Soprintendenza: quella struttura non è affatto «completamente amovibile e temporanea» come la società stessa ha sostenuto anche dinanzi al Tar.
SANTAVENERE E IL TAR: LA VITTORIA DI PIRRO AFFOSSATA DALLA PROCURA
La spiaggia che combatte, quella del Carrubo a Maratea, ha trionfato ancora: l’Arsenale ha, invece, le polveri bagnate.
Resta chiuso e inaccessibile il cantiere della struttura sul mare costruita dall’hotel Santavenere, ovvero Arsenale Hospitality Srl, nonostante la vittoria, in realtà di Pirro, della ditta al Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Basilicata.
La vittoria giuridica, tra l’altro in virtù di uno “straordinario” dono di preveggenza già annunciata dalla Srl, tramite testate giornalistiche minori, alla vigilia del decreto del presidente del Tar, nella sostanza comunque, anche pre sequestro dell’area, non cambiava di una virgola lo stato attuale delle cose.
I profitti privati possono attendere, lo scempio ambientale era e rimane bloccato.
La doppia fretta, quella nel costruire e quella nell’adire le vie legali, non si è convertita in rapida efficienza: così al momento del verdetto della Giustizia amministrativa, già superata di fatto la materia del contendere.
Così lineare la vicenda, che in qualunque modo la si ripercorra, dall’inizio alla fine o viceversa, il tutto appare comunque di chiara comprensione. L’Arsenale Srl ha impugnato al Tar lucano l’Ordinanza comunale di «immediata sospensione dei lavori» così come datata il 25 giugno.
Con una rapidità che ne-anche sulla didattica a distanza o sulle zone rosse differenziate, per citare 2 dei temi caldi oggetto di ricorsi durante la pandemia Covid-19, sulla questione valutata come di «estrema urgenza tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della Camera di Consiglio», la prima utile è quella del 21 luglio, già dopo 5 giorni il decreto del presidente del Tar, Fabio Donadono. Donadono ha accolto la richiesta cautelare sull’annullamento dell’efficacia della sospensione dei lavori imposta dal Comune di Maratea.
Il verdetto sul merito, in-vece, è stato rinviato Ca-mera di Consiglio, questa collegiale, del 21 luglio.
LA CONTROVERSIA SUL GIORNO, MA GIÀ ERA NOTTE: L’ABISSALE DIFFERENZA TRA LA SOSPENSIONE LAVORI E DEMOLIZIONE
Se l’urgenza del Santavenere era ed è quella di trasformare le colate di calcestruzzo e il lavoro delle ruspe in entrate economiche con l’eventuale apertura al pubblico della struttura, quella del Comune, ma non solo, è di opposta natura: bloccare tutto e chiarire le anomalie emerse a partire dalla presunta, su carta, amovibilità e temporaneità della struttura stessa. Così, dopo 4 giorni dall’ordinanza impugnata al Tar, la nota del Comune relativa all’«avvio del procedimento per l’emissiOne di Ordinanza di demolizione e rimessa in pristino dello stato dei luoghi». A ogni approfondimento, accertamento e sopralluogo, gli elementi in campo fanno pendere la bilancia non dal piatto del Santavenere.
Oltre alla lunga nota del Dipartimento regionale dell’Ambiente che «confuta» senza se e senza me gli assunti dell’Arsenale Srl sullo scempio edilizio al Carrubo, pesantissime le annotazioni a firma della Soprintendenza archeologia Belle arti e Paesaggio della Basilicata, organo titolare della più alta competenza in materia, con cui si puntualizza a più riprese e con più argomentazioni come la struttura “incriminata”, date tra le altre cose, «plinti in calcestruzzo interrati e strutture in legno ad essa ancorata», rappresenta un intervento inderogabilmente subordinato all’autorizzazione paesaggistica che, nel caso specifico, non c’è.
Sulla base di questi e ulteriori rilievi emersi, la comunicazione, del 29 giugno, un giorno prima del verdetto del Tar, dell’«avvio del procedimento per l’emissione di Ordinanza di demolizione e rimessa in pristino dello stato dei luoghi».
Il cronometro dei 10 giorni di tempo concessi all’Arsenale Srl per produrre osservazioni, memorie scritte e documenti, continuava, pertanto, post decreto Tar e fino al decreto di sequestro della Procura, a segnalare il correre del tempo.
Il procedimento burocratico, anche col solo verdetto del Tar, non avreBbe potuto che procedere spedito verso l’emissione dell’ordinanza di demolizione.
Il Tar, annullando temporaneamente gli effetti dell’ordinanza comunale impugnata, quella del 25 giugno, «sospensione» dei lavori, si è comunque espresso su un atto superato, dato che in gioco già c’era la demolizione o meno della struttura. L’avvocato della società, Saverio Sticchi Damiani, può, nel quartier generale del 95° Fanteria, continuare ad affilare le armi, ma se lo farà dovrà essere contro la demolizione e il ripristino dei luoghi. Sul fronte penale, altri illustri avvocati, saranno, invece, alle prese col sequestro ordinato dagli inquirenti di Lagonegro.
Lo stesso decreto del Tar oltre a essere una vittoria di Pirro, conteneva già elementi che seppur dal presidente Donadono accennati superficialmente, ma in ogni caso esplicitati, andavano nella direzione di Comune, Regione e Soprintendenza. L’espressione utilizzata dal presidente del Tar, «ferma restando l’inibitoria di strutture in muratura o stabilmente ancorate al suolo», non può che dare ragione alle tesi alla base della necessità della demolizione e della «rimessa in pristino dello stato dei luoghi».
Da via Verrastro, post verdetto Tar, ma prima del sequestro via Procura, i rumors riportava di ambienti esterrefatti soprattutto per l’inaudita altera parte, non ascoltata l’“altra campana” rispetto al Santavenere, perchè Regione e Soprintendenza hanno eseguito ulteriore attività di indagine dalle cui risultanze è emersa una situazione ancor più grave, tant’è, per questo sarebbe stato necessario riequilibrare il contenzioso sul giusto fuoco della vicenda, il seguente procedimento di demolizione poichè la semplice sospensione dei lavori già era stata ormai giudicata come non più idonea a tutelare l’interesse e l’incolumità pubblica.