LUCA PALAMARA a POTENZA : TRA MEA CULPA E PROSPETTIVE DI RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
“L’unica contromisura per ridare credibilità a tutto il sistema giustizia è una vera riforma della giustizia che non può prescindere dalla modifica dell’obbligatorietà dell’azione penale e dalla separazione netta delle carriere, con lo sdoppiamento degli organi di autogoverno”
“IL SISTEMA” incontro in remoto con il Dott. Palamara
LUCA PALAMARA A POTENZA: TRA MEA CULPA E PROSPETTIVE DI RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
Interessantissimo dibattito sulla giustizia moderato dall’Avv. Luca Lorenzo arricchito dagli ottimi interventi degli amici avvocati Michele Vaira e Antonio Di Lena, che hanno incalzato l’ex magistrato Luca Palamara, coautore del libro “Il Sistema”, con ottimi spunti di riflessione.
Preziosissimo il dibattito scaturito, con le interessante domande poste dagli Avvocati Piervito Bardi, Alessandro Singetta, Luigi Angelucci, Luciano Petrullo, ed intervento conclusivo geom. Domenico Leccese
Grazie a tutti coloro i quali hanno seguito il dibattito in presenza e a chi si è collegato da remoto mediante la piattaforma Facebook e Teams.
VIDEO DIRETTA FACEBOOK 1h18’
https://www.facebook.com/domenicoleccese.dettomimmo/videos/955310781915604/?d=n
Grazie al prezioso aiuto tecnico dell’amico Biagio Martino. Ad maiora.
(in)GIUSTO PROCESSO e IL GIUSTO PROCESSO
INTERVENTO Avv. PIERVITO BARDI
Il valore finale da perseguire: il giusto processo.
La vera questione non è, in breve, se i magistrati dell’accusa e quelli della decisione siano da sottoporre a regimi eterogenei per il progresso delle rispettive carriere.
La questione è, in termini più ampi, se le due categorie di magistrato debbano appartenere a differenti organizzazioni di ordinamento giudiziario e personificare differenti configurazioni istituzionali, separando le organizzazioni ordinamentali dei magistrati dell’accusa e di quelli della giurisdizione.
La separazione delle organizzazioni ordinamentali si propone di affrontare e di risolvere un problema fondamentale: l’identità, sul piano dell’ordinamento, delle due categorie di magistrato, favorita dall’unicità organizzativa, e gli effetti, ormai intollerabili, che la stessa produce sul piano delle garanzie processuali.
Questa caratterizzazione identitaria tiene innaturalmente unite “le figure dell’arbitro e del giocatore”
Il punto di partenza, nonché «cuore della progettata riforma “epocale”, è infrangere l’identità, presente nell’attuale quadro costituzionale, ordinamentale e processuale, tra la funzione dell’accusa e quella della giurisdizione.
Infatti, le stesse “sono radicalmente incompatibili: non possono essere concepite come due sotto-funzioni di una medesima funzione e neppure possono vedere gli organi dell’una e dell’altra accomunati in un’unica organizzazione ordinamentale”
Dunque, solo mediante la separazione delle organizzazioni “sarà preservata quella condizione essenziale che i pensatori dell’illuminismo, cultori della separazione dei poteri, chiamavano “inimicizia”, ovvero quel sentimento che fa sì che un potere controlli l’altro e che il titolare di un potere, non essendo mosso da alcun sentimento di “amicizia” ordinamentale nei confronti di un altro soggetto, possa sempre diffidarne, verificandone i metodi, falsificandone i risultati, non condividendone mai né gli scopi, né le passioni”
Il valore finale da garantire è, quindi, il giusto processo nell’essenzialità sancita all’art. 111 Cost.
In definitiva, “la separazione delle carriere serve a rendere il processo penale più equo, senza coltivare partigianerie di sorta e senza piegarsi a esigenze e interessi della più varia natura”
Ma il più convinto sostenitore della necessità della separazione delle carriere in magistratura è stato colui che sicuramente rappresenta e continuerà a rappresentare per sempre l’esempio più fulgido di ciò che un magistrato può incarnare tanto da diventare, o almeno così dovrebbe essere, l’esempio per chiunque decida di intraprendere la carriera in magistratura.
Mi riferisco al dott. Giovanni Falcone in una celebre intervista resa al giornalista Mario Pirani il 3 ottobre 1991
Nel corpo della stessa Giovanni Falcone affermava :
“un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento dove egli rappresenta una parte in causa.
Gli occorrono quindi esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo.
E nel dibattimento non deve avere alcun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice.
Il giudice in questo quadro si staglia come figura neutrale, non coinvolt, al di sopra delle parti.
Contraddice tutto ciò il fato che avendo formazione e carriere unificate non destinazioni e ruoli intercambiabili i giudici e i PM siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri.
Chi come me richiede che siano invece due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nelle carriere viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il PM sotto il controllo dell’ Esecutivo.
È veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del PM con questioni istituzionali totalmente distinte.
Gli esiti dei processi a cominciare da quelli di mafia, celebrati col nuovo rito senza una riforma sono sotto gli occhi di tutti”
Considerazioni conclusive
Appare evidente che un intervento legislativo in materia di giustizia penale non sia più rinviabile e non solo perché esso è conditio sine qua non per il buon esito dell’erogazione dei finanziamenti europei post-pandemia ma perché non è più dilazionabile un cambiamento culturale nell’approccio sistemico al rito processuale penale ed in quest’ambito una rifondazione dalle fondamenta dell’architrave su cui poggia l’esercizio della giurisdizione, e cioè l’ordine giudiziario, ne è premessa imprescindibile.
Tale rifondazione – unica via per il recupero della perduta credibilità – non può che avere come premessa una differenziazione ontologica che, per parafrasare Falcone, renda il PM parte specializzata anche tecnicamente nella ricerca della prova e nella sua presentazione al giudice che, assolutamente terzo, la valuterà nel contraddittorio con le prove offerte dalla difesa ma anche, se non soprattutto, allorquando dovrà valutare indizi a carico di indagati per i quali si richiedono provvedimenti cautelari ante-processo in assenza di un contraddittorio con la difesa così esaltando il suo ruolo di giudice terzo anche culturalmente e libero nel suo convincimento da conoscenze e colleganze di varia natura e genere.
Sarà quello il momento in cui forse si dirà addio alla prassi del “copia-incolla” tra la richiesta di misure e l’ordinanza che le dispone di cui oggi è piena la casistica giudiziaria.
Ma ciò non potrà che essere il frutto di una formazione diversa tra PM requirente e giudice della decisione, diversa e separata per ingresso, formazione e progressione di carriera con due diversi e separati organi di autogoverno possibilmente liberi dai condizionamenti di un sindacato e dalle sue correnti che per troppo tempo hanno reso un organo di rilievo costituzionale una riserva indiana tesa ad eseguire e formalmente realizzare tutto quanto in altre sedi e con diversi criteri era già stato deciso dovesse essere deciso.
Ci si può solo augurare che una radicale ed epocale riforma di questo genere ove vedesse luce potrebbe contribuire a drasticamente ridurre se non azzerare la miriade non più tollerabile di ingiuste detenzioni, e delle conseguenti ed insufficienti riparazioni, quasi sempre frutto di un inesistente controllo giurisdizionale veramente terzo sulle iniziative del PM, solo successivamente e con grave ritardo sconfessate in successivi gradi di giudizio,
Per concludere il potere legislativo, mai come in questo momento storico, ha l’occasione irrinunciabile di dare all’esercizio del potere giurisdizionale un respiro europeo riformandone la struttura stessa a solo vantaggio del cittadino che torni a credere che il sistema giudiziario esprima nuovamente la civiltà di un popolo che del diritto ha fatto la sua grandezza millenaria tornando ad essere una nazione in cui un giudice terzo ed imparziale sia chiamato solo affichè possa rendere una sentenza semplicemente giusta.
Intervento Avvocato ANTONIO DI LENA :
“A mio parere, per noi che frequentiamo i palazzi di giustizia quotidianamente, il libro del Dottor Papamara non ha fatto che confermare quello che già sapevamo: la Giustizia è in mano alle correnti della magistratura.
E questo non mi meraviglia, come non mi meraviglia che membri autorevoli del CSM si incontrano privatamente prima di una votazione per la nomina dei dirigente degli uffici giudiziari.
Quello che manca, nel libro, però, è il racconto dell’effetto che i patti e gli accordi tra le correnti hanno sui singoli processi: di questo, nel libro, ovviamente, manca ogni traccia.
Occorre anche una seria riforma della giustizia che, a prescindere dalla riforma del CSM e dei consigli giudiziari- che pure è necessaria – parta dall’introduzione della responsabilità civile diretta dei magistrati, possibilmente con un organo giudicante composito, ossia non composto da magistrati.
Solo così i giochetti di potere interni alla magistratura – così come in ogni altra professione – diventeranno irrilevanti:
il Magistrato che sa di dover pagare di tasca sua i suoi errori (nella migliore delle ipotesi), ci penserà dieci volte prima di commetterli.
Solo questo consentirà un Stato realmente democratico, democratico garantista.”
Intervento Avvocato LUCA LORENZO
“Ciò che desta non poche perplessità è il ruolo di ingerenza della magistratura nei processi politici degli ultimi anni della storia repubblicana.
Inconsapevolmente siamo stati tutti ignari spettatori di una invasione di campo.
Lo stesso teorico della divisione dei poteri, Montesquieu, riteneva che il male peggiore potesse essere appresentato da abusi perpetrati all’ombra della legge.
Anche il ruolo del Capo dello Stato Napolitano appare non come arbitro imparziale, custode del rispetto della Costituzione, ma, a differenza di quello che da studenti siamo stati abituati a studiare sui libri di diritto costituzionale, la funzione di presidente del csm era esercitata con forza ed interesse rispetto alle dinamiche interne alle toghe e alle nomine dei capi delle procure.
L’unica contromisura per ridare credibilità a tutto il sistema giustizia è una vera riforma della giustizia che non può prescindere dalla modifica dell’obbligatorietà dell’azione penale e dalla separazione netta delle carriere, con lo sdoppiamento degli organi di autogoverno.
Se invece si avesse coraggio ed audacia e la politica avesse veramente i giusti anticorpi per riformare il “Sistema”, come avviene in tantissimi paesi occidentali, civili e democratici, la carica di procuratore dovrebbe essere elettiva, perseguendo i reati di maggior allarme sociale indicati annualmente dall’esecutivo.
Ciò eviterebbe non solo spreco di denaro pubblico, ma sopratutto la funzione repressiva sarebbe finalmente indirizzata su reati disdicevoli e di allarme sociale, con effettiva utilità per i cittadini e per l’economia del Paese.”
GALLERIA FOTOGRAFICA
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