IL RACCONTO DELLO SGUARDO
“Dio ha voluto che lo sguardo dell’uomo fosse la sola cosa che non può nascondere”
Lo sguardo non nasce dietro i nostri occhi nascono le persone, le cose, i paesaggi, il movimento di un braccio, il sorriso amichevole, l’andare ma verso di noi. Tutto
questo può diventare sguardo, il nostro solo sguardo. Ma ciò accade solo se riconosciamo quella persona, quella cosa che rappresenta chissà che, quel movimento del braccio di una donna che vorremmo che si attraesse di noi, quel sorriso che cerchiamo nell’orbita di ogni fascino possibile.
Insomma lo sguardo se non ci racconta l’immenso offrirsi del mondo che ogni volta decidiamo di riconoscere, non è sguardo. E’ vedere e dimenticare, è attraversare senza sentimenti una cosa che resta cosa o persone che restano senza nomi. Ecco cosa ci è accaduto in questo tempo che si è fatto esplorare con trepidazione.
Abbiamo capito di avere l’urgenza degli sguardi che sapremo scambiarci raccontando. Il loro racconto è la scoperta che all’origine di tutto ci sono le trame delle relazioni in cui l’altro, il territorio che conosciamo, le storie delle comunità che andiamo a trovare sono da noi riconosciute, accolte, stimate per il loro valore e, infine custodite.
“Custodire” è una delle parole che confermano la grazia della nostra lingua. Il custodire è un insieme di vigilanza, di cura e di protezione”. Custodire. È una parola mansueta e azzardata. E’ mansueta. Le mani che si uniscono per raccogliere l’acqua e si offrono a chi ha l’urgenza di bere: esiste un gesto più mansueto di questo? E’ azzardata. Offrire ciò che si è custodito con ogni cura, con ogni apprensione , rende ogni cosa, anche la più piccola, preziosa. Non siamo abituati a farlo mentre vale la pena compiere gesti azzardati e offrire ciò che abbiamo trattato con cura e amore.
Ecco cosa vogliamo fare in questa comunità pensante che sta nascendo, anzi si sta radicando, In questa comunità dove tutti sono protagonisti e tutti sono una parte di contorno a seconda di ciò che ciascuno sceglie di raccontare con il suo sguardo.
I meridionali lo conoscono, sanno come fare perché in ogni dove portano con sé ciò che è diventato sguardo. E così sconfinano, dialogano, aspettano, comunicano, ritornano. Possono farlo perché sanno che si può partire non sen-za aver prima accettato la fatica dello stare.
I tempi nuovi si costruiscono così? Io credo di si ma non basta. Dobbiamo apprenderlo e possiamo farlo in questi giorni di pellegrinaggio della notte bianca del libro e “delle idee”. Molti giorni e molti terreni da riconoscere dai quali vogliamo farci allertare, non rassicurare.
Insomma ci siamo accorti che non manca l’oggetto dello sguardo ma lo sguardo.
Mancano le persone in grado di accompagnare i travagli, le nascite, di portare a gestazione mondi an-cora inesplorati ma che esistono e si realizzano se sapremo nominarli. Noi di letti di sera abbiamo costruito un quaderno che si può riempire solo con le parole nuovo che servono per raccontare gli sguardi di chi sentirà il coraggio della scoperta.