GLI AGRICOLTORI IMMAGINARI DELLA MODA “GREEN”
Lettere lucane
Ovunque sento parlare di agricoltura, di “green”, di “bio”, di “ritorno alla terra”, di colture sostenibili, ecc. Lo sento in tv, lo leggo sui giornali, lo ascolto ai convegni. Eppure ho una strana sensazione; ho, cioè, la sensazione che questa tanto osannata agricoltura sia più immaginaria che reale. Se fosse davvero reale, quest’agricoltura, non vedremmo tante terre abbandonate e così poche persone con la schiena piegata sui campi. Mi si dirà: ma l’agricoltura del futuro è diversa, mica è sacrificante come quella passata. Ecco, sono tutte chiacchiere. Chiacchiere buone a prendersi qualche obolo del Recovery Fund o qualche finanziamento pubblico; oppure buone a risultare alla moda quando si parla in pubblico, dove è obbligatorio usare almeno due parole d’ordine: “green” e “digitale”. La verità è che non è possibile lavorare la terra senza sudare, senza massacrarsi di fatica, senza abbrutirsi di silenzio e di preoccupazioni. E infatti è pieno di agricoltori immaginari, ovvero di gente che vive di altro ma che, per estetismo bucolico, parla come se fosse davvero lì, sui campi, sotto il sole, con la schiena piegata. E invece no, non è sui campi, ma a casa, comodamente sdraiata sul divano, davanti a un computer, al massimo su Zoom. Chi davvero ci sta, sui campi, non ce l’ha il tempo di teorizzare la transizione ecologica, la decrescita felice, ecc. Il 99% dei cantori delle meraviglie dell’agricoltura non reggerebbe nemmeno due ore in un qualsiasi terreno coltivato; e non reggerebbe, anzitutto, perché scoprirebbe la prima regola crudele dell’agricoltura, e cioè che sui campi si parla pochissimo. Ovviamente l’economia agricola trae anche beneficio da tutta quest’attenzione teorica, ma il rischio è mitizzare un mondo che, per quanto proiettato nel futuro, rimane comunque un mondo di durezze e di sacrifici. L’agricoltura non è un pranzo di gala.