UN UOMO CHIAMATO GINO
Il ricordo di Dino De Angelis
Aveva il nome di un amico con cui ti trovi ogni tanto a prendere una birra. Gino. Anche un dettaglio così a volte fa la differenza. Te l’immagini se si fosse chiamato, che so, Mainardo? Forse avresti avuto un po’ più di timore reverenziale. E invece a uno che si chiama Gino senti di dargli del tu la prima volta che l’incontri, anche se non lo hai incontrato mai. Purtroppo.
E invece per fortuna lo hanno incontrato in tanti, e tutti quelli che lo hanno incontrato si sono arricchiti. Molti, moltissimi, hanno avuto da lui il regalo più importante che abbiamo, la vita. Scusate se è poco. Gino salvava vite in quelle parti del mondo nelle quali qualunque uomo senziente non ci metterebbe piede nemmeno per un secondo. Lui invece ci metteva i piedi, il corpo, l’anima e il cervello.
“Ho visto, ovunque, la stessa schifezza, il macello di esseri umani. Ho visto la brutalità e la violenza, il godimento nell’uccidere un nemico indifeso.”
Quando sentivi qualcuna di quelle rare interviste che concedeva, avvertivi che da quella bocca sarebbe uscito quello che tutti noi, comuni mortali, pensiamo. Basta guerra, basta dittature, basta massacri di esseri umani, basta morti, salviamo i bambini, aiutiamo la gente indifesa, compriamo più scorte di medicinali, mandiamo più medici nelle zone devastate del mondo.
Era pazzesco. In un mondo pieno di discorsi vuoti, in cui i capi di stato e di governo dicono tutti le stesse cose senza cuore e senz’anima, persino con le stesse inflessioni della voce, arrivava un uomo da qualche parte devastata del mondo e faceva sobbalzare tutti dalle sedie, ma senza parlare a voce alta, né dire cose assurde, ma cose basate sulla ragionevolezza dell’uomo di pace e sulla competenza dell’uomo di medicina. Cose umane in un mondo disumano.
Ecco perché non se ne doveva andare, perchè uno così doveva continuare a portare avanti entrambe le battaglie: aiutare le persone indifese, combattere le guerre e le ingiustizie a qualunque latitudine, e ogni tanto, con garbo ma con decisione, indicare la strada da seguire e persino dire agli italiani che sono un popolo di coglioni. Sì, anche questo diceva Gino.
Era un grande insegnante senza mai salire in cattedra. Le sue lezioni erano le sue dichiarazioni spontanee, figlie dei suoi convincimenti, della sua enorme esperienza fatta in ogni parte del mondo. Se hai visto la sofferenza – e lui ne ha viste a tonnellate – puoi insegnare a tutti, dai più umili ai più potenti della terra, e tutti ti ascolteranno perché lo sanno che da un’anima così possono uscire solo verità.
“Se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi.”
Ma erano lezioni che nessuno voleva sentire, caro Gino. Questa è l’Italia, questo è il mondo.
Tu dicevi la verità ma nessuno era disposto ad ascoltarla tranne la gente come te, come noi, come i tanti che hai curato e salvato.
Ora tutto l’augurio che posso farti, e posso fare soprattutto a noi, è che il fatto che non sei più tra noi possa servire a rivalutare la tua persona, il tuo pensiero, le cose in cui hai sempre creduto, che il tuo esempio possa servire a far capire che la strada da seguire non è continuare la corsa agli armamenti ma aiutare, smettere di combattere per le cose materiali ma iniziare a tendere la mano, a venire incontro, ad alleviare le sofferenze, ad abbattere le sperequazioni, le ingiustizie.
Che coglione che sono pure io a dire queste cose.
Ma tu che ne hai viste tante, dimmi solo una cosa: senza ideali, senza credere che un giorno qualcosa possa cambiare, come potrà davvero cambiare questo mondo?
Dino De Angelis