KABUL PARTITO ULTIMO VOLO PONTE AEREO ITALIANO
“ I timori sono che ci sia una degenerazione violenta anche per interferenze esterne. Invece la speranza è che ci possa essere una collaborazione interna tra le varie componenti della società afghana, che possano trovare un accordo, collaborare tra loro e ricostruire un Paese martoriato da 40 anni di guerre”
Padre Scalese: se ci saranno le condizioni torneremo a Kabul
Oggi è in Italia, rimpatriato come migliaia di persone costrette a scappare dopo l’arrivo al potere dei talebani.
Si racconta dopo questi ultimi giorni molto concitati
{di Gabriella Ceraso – Città del Vaticano}
Ci aveva chiesto di pregare per l’Afghanistan lanciando un appello attraverso i microfoni della Radio Vaticana all’inizio dell’avvento dei talebani.
Oggi torna a parlare con noi in uno scenario del tutto mutato. Padre Giovanni Scalese, Superiore della Missio sui iuris in Afghanistan, unico sacerdote cattolico presente nel Paese, è rientrato in Italia e, con lui, il personale cattolico, come le suore di diverse congregazioni che hanno finora svolto il loro silenzioso ma fecondo lavoro di servizio e cura dei più fragili.
Nel cuore di Kabul è stato a lungo custode di tutta la comunità cattolica e ha condiviso anni di grandi difficoltà legate alla sicurezza e al Covid. Ora tutto si è concluso, ma non la speranza di tornare: non c’è motivazione politica nella presenza cattolica a Kabul ma solo servizio, questi erano gli accordi originari di cento anni fa e così è stato. Quindi , ci ripete padre Scalese: “se ci è data la possibilità di tornare, perchè no: non spetta a noi decidere chi debba governare il Paese”. E poi l’affidamento con la voce commossa: “Maria che ha vegliato finora su di noi avrà la stessa materna protezione nei confronti del popolo afghano e di una nazione che abbiamo consacrato a Lei”:
Padre Scalese avrebbe mai pensato di dover lasciare in questa maniera l’Afghanistan? E quali sono i suoi sentimenti oggi?
Certamente nessuno immaginava di dover lasciare il Paese così. Potevo pensare ad un avvicendamento dopo sette anni sarebbe stato prevedibile giungere ad una sostituzione, ma non in questo modo, pensavo in maniera più normale. Ma la vita ci riserva anche queste sorprese….. La cosa che sento maggiormente in questo momento è la soddisfazione che tutto sia avvenuto nel migliore dei modi, che siamo riusciti ad arrivare con le suore e i bambini e che stiamo tutti bene. Ringraziamo il Signore per questo. Dispiace aver dovuto lasciare un Paese in estremo bisogno e non poter continuare a svolgere il nostro servizio. Speriamo che tutto si risolva in breve tempo e che ci siano le condizioni per poter riprendere il lavoro che la Chiesa stava svolgendo in Afghanistan.
Come è stata la sua vita di sacerdote in Afghanistan? Lei ha rappresentato la Santa Sede nel contesto dell’ambasciata italiana, in un uno Stato confessionale, con la cappella unico punto di riferimento di religiosi, religiose e fedeli. Che realtà ha sperimentato?
Io ero il responsabile della Missione cattolica in Afghanistan, ma sono stati anni molto difficili perchè non si poteva svolgere la missione in maniera tranquilla. Il fatto stesso di non poter uscire dall’ambasciata, non perché qualcuno lo impedisse, ma perché non c’erano le condizioni di sicurezza per farlo, e poi negli ultimi due anni ai motivi di sicurezza si sono aggiunti motivi sanitari che hanno portato al lockdown totale anche in Ambasciata e i fedeli non potevano venire neanche a Messa. Quindi sono stati anni difficili e la mia è stata una presenza certo, ma non ho potuto svolgere una attività pastorale come in altre epoche è avvenuto. Le suore invece hanno potuto svolgere il loro lavoro sociale e caritativo fino alla fine, e ora purtroppo anche loro hanno dovuto interrompere tutto e ci dispiace molto. Speriamo comunque di poter riprendere presto.
Si può parlare negli anni trascorsi di “semi” lasciati attraverso azioni, se non si può parlare di “evangelizzazione”…
Di evangelizzazione diretta è difficile parlare, è proibita dagli accordi fatti già un secolo fa quando fu permessa la presenza di un sacerdote cattolico e di una chiesa all’interno dell’Ambasciata. Parliamo di una evangelizzazione indiretta, di una testimonianza che c’è stata della Chiesa non solo con un sacerdote ma con i religiosi. Prima della presenza delle suore di Madre Teresa e delle religiose della Ong Pro Bambini di Kabul, infatti, non possiamo dimenticare i sessanta anni di presenza delle Piccole Sorelle di Gesù che dopo tanto tempo hanno dovuto lasciare il loro lavoro. Anche in quel caso si è trattato solo di una presenza e di una testimonianza, ma estremamente importante e feconda.
Nelle immagini di questi giorni, la fuga di donne, giovani famiglie, papà e bambini: cosa significa questo per chi resta e per l’Afghanistan del futuro?
Naturalmente noi siamo contenti che in tanti si siano messi al sicuro. Ci auguriamo che in Italia e in altri Paesi possano integrarsi ma certamente per l’Afghanistan è un impoverimento anche perchè si tratta di persone preparate, con notevoli competenze di cui il Paese ora dovrà fare a meno. Speriamo bene, speriamo che possano essere sostituiti da altri, ma certamente la società ne resterà impoverita.
Il cambiamento che osserviamo oggi fa paura. Tante previsioni si stanno avverando già, come gli attacchi terroristici e le violenze. Cosa teme di più per il Paese che ha lasciato alle sue spalle e cosa invece spera?
I timori sono che ci sia una degenerazione violenta anche per interferenze esterne. Invece la speranza è che ci possa essere una collaborazione interna tra le varie componenti della società afghana, che possano trovare un accordo, collaborare tra loro e ricostruire un Paese martoriato da 40 anni di guerre.
Il futuro della Chiesa e della presenza cattolica quale sarà?
Stimo a vedere come evolve la situazione: se ad un certo punto si vedrà che potrà riprendere la nostra attività, perchè no… Non eravamo e non saremo in Afghanistan per motivi poitici, non sta a noi decidere chi deve governare l’Afghanistan: se ci viene permesso di svolgere il nostro servizio saremo a disposizione.
C’è un’ esperienza che si porta dentro e a cui pensa ora che è lontano da Kabul?
In questo momento faccio difficoltà a mettere a fuoco il passato trascorso, ma forse il momento più importante di questi sette anni è stato l’atto di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria che abbiamo fatto il 13 ottobre del 2017, al termine del centenario di Fatima.
Abbiamo consacrato alla Madonna, la missione e insieme l’Afghanistan.
Quindi sono profondamente convinto che la Madonna veglierà su questo paese come ha vegliato su di noi, tanto è vero che siamo riusciti a metterci tutti in salvo.
Quindi io ho fiducia che la stessa materna protezione verrà esercitata anche nei confronti del popolo afghano.