TAR FRIULI: IL VACCINO ANTI COVID19 NON È UN FARMACO SPERIMENTALE
Le condizioni necessarie per imporre una profilassi vaccinale obbligatoria sono state elencate dalla Consulta (C. Cost. 5/2018) con riferimento ai 10 vaccini imposti ai minori di sedici anni.
La legge impositiva di un obbligo vaccinale è compatibile con l’art. 32 Costituzione
Il vaccino anti-Covid non è un farmaco sperimentale
TAR Friuli: la sperimentazione si è conclusa con l’autorizzazione all’immissione in commercio dopo un rigoroso processo di valutazione scientifica (sentenza 261/2021)
Il TAR Friuli Venezia Giulia, con la sentenza 10 settembre 2021, n. 261 (testo in calce), rigetta il ricorso proposto da una dottoressa – che aveva rifiutato di vaccinarsi – ed afferma quanto segue.
“L’equiparazione dei vaccini a “farmaci sperimentali” […] è frutto di un’interpretazione forzata e ideologicamente condizionata della normativa europea, che deve recisamente respingersi”.
La pronuncia è degna di nota non solo per l’affermazione secondo cui la sperimentazione è cessata con la commercializzazione, ma perché affronta molteplici argomenti. Ad esempio, il giudice amministrativo – tramite il richiamo dei dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) – afferma che profilassi vaccinale ha efficacia preventiva anche della trasmissione dell’infezione e non solo dei sintomi.
Quindi, l’interesse a prevenire la malattia è pubblicistico, anche sotto il profilo di limitare l’impatto sul sistema sanitario nazionale, circa l’occupazione delle terapie intensive e dei ricoveri. Inoltre, lo “scudo penale” per i sanitari somministranti non attiene alla sicurezza dei vaccini; si tratta di una disposizione che va letta in chiave simbolica, giacché diretta ad evitare atteggiamenti di medicina difensiva che potrebbero ostacolare la campagna vaccinale. Infine, a fronte dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla ricorrente, il TAR sottolinea come la legge impositiva dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario (art. 4 d.l. 44/2021) integra le tre condizioni necessarie elencate dalla Consulta per essere compatibile con l’art. 32 Cost.
La vicenda
Una dottoressa, libera professionista, ha proposto ricorso contro il provvedimento di accertamento di elusione dell’obbligo vaccinale (e contro ogni altro provvedimento connesso), assunto dall’Azienda Sanitaria, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare dell’efficacia. Il TAR, nella camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, ha dato avviso alle parti dell’intenzione di trattenere il giudizio per la decisione nel merito, ricorrendone i presupposti ex art. 60 Codice del Processo Amministrativo ed ha respinto tutti i motivi di ricorso sollevati dalla dottoressa. Prima di analizzare il decisum, ricordiamo brevemente la normativa che viene in rilievo.
La base normativa dell’obbligo vaccinale
L’obbligo vaccinale per il personale sanitario è stato introdotto dal decreto legge 44/2021 (convertito con modificazioni dalla legge 76/2021). In particolare:
- l’art. 4 c. 1 dispone che gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati.
- l’art. 4 c. 6 dispone che l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale comporta per l’interessato la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Le informazioni ufficiali sono quelle provenienti da AIFA e ISS
Il TAR dà atto della mole di documentazione prodotta dalla ricorrente, tuttavia, afferma che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione qualsiasi documento; infatti, egli non ha l’obbligo di valutare “ogni singola opinione o fonte informativa” – in quanto non ha il potere e la competenza per farlo – ma deve fondare la propria decisione sulle informazioni ufficiali provenienti dalle autorità pubbliche competenti in materia come l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Vengono poi riportate le percentuali e le statistiche ricavabili dai siti Internet di tali organismi[1].
Il vaccino ha efficacia preventiva anche circa la trasmissione dell’infezione
La dottoressa sostiene che il vaccino non sia efficace contro l’infezione, pertanto, la finalità dell’obbligo vaccinale – ossia evitare l’infezione – non viene perseguita. Da ciò discende la carenza di un interesse pubblicistico a supporto della misura adottata dal Governo.
Secondo il TAR, è scorretto affermare che i prodotti usati nella campagna vaccinale siano inefficaci contro l’infezione e che agiscano solo sui sintomi. Il giudice amministrativo giustifica tale affermazione richiamando i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), indicando anche il link a cui essi sono consultabili. Ebbene, in base alle risultanze dell’ISS, l’efficacia della vaccinazione completa (ossia due dosi) nel prevenire l’infezione è pari a circa il 78%. Quindi, per un vaccinato, il rischio di contrarre la malattia si riduce del 78%. In conclusione, il Tar afferma che “la profilassi vaccinale ha efficacia preventiva, oltre che dei sintomi della malattia, anche della trasmissione dell’infezione”.
La dottoressa ritiene che la scelta del sanitario di vaccinarsi sia individuale e non coercibile, mentre, ad avviso del giudice amministrativo, l’interesse a prevenire la malattia è pubblicistico, anche sotto il profilo di limitare l’impatto sul sistema sanitario nazionale, circa l’occupazione delle terapie intensive e dei ricoveri.
Per il TAR il vaccino non è in fase di sperimentazione
La dottoressa sostiene, altresì, che l’obbligo vaccinale (ex art. 4 d. l. 44/2021) abbia ad oggetto un trattamento sanitario sperimentale e che sia contrario alla Costituzione, oltre a violare varie norme sovranazionali che tutelano la dignità della persona e il diritto ad esprimere un consenso informato. Secondo il TAR, è errato sostenere che i vaccini attualmente disponibili si trovino in fase di sperimentazione. Infatti, i vaccini sono stati:
- “approvati” dalla Commissione attraverso un’autorizzazione condizionata,
- previa raccomandazione dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA).
Il procedimento (ex art. 14 bis Reg. CE 726/2004 e Reg. CE 507/2006) prevede che l’autorizzazione possa essere rilasciata anche in assenza didati clinici completi “a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari”.
Il giudice prosegue sostenendo che il carattere condizionato dell’autorizzazione non incide sulla sicurezza del farmaco, richiamando quanto emerge dal sito dell’Istituto Superiore di Sanità che, a sua volta, richiama quello dell’Agenzia Europea per i Medicinali. Questa tipologia di autorizzazione non rappresenta un minus rispetto a quella ordinaria, ma impone al titolare di completare gli studi per confermare che il rapporto rischi/benefici sia favorevole. Il TAR prosegue spiegando che il provvedimento autorizzativo interviene a valle della fase di sperimentazione clinica, fase che si verifica prima dell’immissione in commercio del farmaco. “La “sperimentazione” dei vaccini si è dunque conclusa con la loro autorizzazione all’immissione in commercio, all’esito di un rigoroso processo di valutazione scientifica e non è corretto affermare che la sperimentazione sia ancora in corso solo perché l’autorizzazione è stata concessa in forma condizionata”. Per completezza, si precisa che l’autorizzazione condizionata (CMA) è uno strumento già usato in altri contesti emergenziali; infatti, negli ultimi anni (dal 2006 al 2016), sono state concesse 30 autorizzazioni in forma condizionata, nessuna delle quali è stata successivamente revocata per motivi di sicurezza.
Lo scudo penale non riguarda la sicurezza del vaccino
La ricorrente, nelle proprie argomentazioni, afferma che l’insicurezza del vaccino emergerebbe anche dallo scudo penale adottato dal Governo a favore dei soggetti che procedono alla somministrazione del farmaco. Si ricorda che l’art. 3 d. l. 44/2021 dispone quanto segue:
- Per i fatti di cui agli articoli 589 c.p. (omicidio colposo) e 590 c.p. (lesioni personali colpose) verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino anti-Covid, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria, la punibilità è esclusa “quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”.
Ciò premesso, torniamo alla decisione.
Il TAR boccia anche questa censura, infatti, la ratio della disposizione di cui sopra consiste nel rassicurare i sanitari e di evitare che la prospettiva di un’eventuale responsabilità penale possa creare allarme. Quindi, si tratta di un intervento legislativo – cito testualmente – “in chiave simbolica” volta a scongiurare atteggiamenti di medicina difensiva che potrebbero ostacolare la campagna vaccinale. Pertanto, dall’introduzione dello scudo penale non può inferirsi la natura sperimentale del vaccino né la sua pericolosità.
La compressione del diritto al lavoro è ragionevole e proporzionata
La dottoressa sostiene che la disposizione di legge (art. 4 c. 8 d.l. 44/2021) sia irragionevole laddove prevede la sospensione dall’esercizio della professione con la conseguente impossibilità di ottenere un reddito. La norma, infatti, dispone che il datore di lavoro:
- se possibile, adibisce il lavoratore a mansioni, anche inferiori, che non implicano rischi di diffusione del contagio;
- se non è possibile, sospende il lavoratore senza retribuzione, altro compenso o emolumento.
Il TAR precisa che la norma riguarda i lavoratori dipendenti e, quindi, non è applicabile alla ricorrente, che è una libera professionista. Anche il richiamo all’art. 36 Cost. ad avviso del giudice è inconferente atteso che i principi sanciti nel citato articolo riguardano il lavoro subordinato e non le prestazioni di lavoro autonomo “ancorché rese, con carattere di continuità e coordinazione, nell’ambito di un rapporto di collaborazione” (Cass. Sez. Lav. 4667/2021).
In ogni caso, l’art. 4 d.l. cit. è ragionevole dal momento che i soggetti indicati, ossia i sanitari, entrano in contatto con una collettività indeterminata, formata anche da persone fragili. La norma è frutto di un bilanciamento degli interessi e prevede una compressione del diritto al lavoro del singolo che non voglia sottostare all’obbligo vaccinale a tutela della salute collettiva. Infatti, “ogni libertà individuale trova un limite nell’adempimento dei doveri solidaristici, imposti a ciascuno per il bene della comunità cui appartiene (art. 2 Cost.)”.
Secondo i giudici, la misura oltre che ragionevole è anche proporzionata atteso che:
- prevede l’esenzione dall’obbligo vaccinale in caso di accertato pericolo per la salute,
- la sospensione ha natura temporanea, giacché permane sino al completamento del piano vaccinale e non oltre il 31.12.2021.
I presupposti necessari per imporre con legge un trattamento sanitario
La dottoressa sostiene che manchino i presupposti per imporre con legge un trattamento sanitario come la vaccinazione. Ella afferma che, in tal modo, si sacrifica il diritto alla salute del singolo senza, con ciò, tutelare la collettività, dal momento che il vaccino è uno strumento inidoneo a prevenire i contagi.
Il TAR rigetta anche tale argomentazione elencando i presupposti in virtù dei quali è stato disposto l’obbligo vaccinale. Le condizioni necessarie per imporre una profilassi vaccinale obbligatoria sono state elencate dalla Consulta (C. Cost. 5/2018) con riferimento ai 10 vaccini imposti ai minori di sedici anni. La legge impositiva di un obbligo vaccinale è compatibile con l’art. 32 Cost:
- “se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato disalute degli altri;
- se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili;
- se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)”.
La legge sull’obbligo vaccinale integra le condizioni per essere compatibile con l’art. 32 Cost.
Il giudice amministrativo ritiene sussistenti tutti e tre i presupposti di cui sopra. In estrema sintesi, si riassume il percorso argomentativo del TAR:
- il vaccino previene il contagio e la vaccinazione ha una valenza pubblicistica di tutela della salute collettiva;
- il vaccino non è esente da controindicazioni o da rischi come ogni farmaco; l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) raccoglie tutte le segnalazioni di eventi avversi e, secondo le risultanze statistiche – consultabili sul sito dell’AIFA – v’è un bilanciamento rischi/benefici accettabile;
- il meccanismo indennitario è previsto dalla legge 210/1992, la quale riconosce il diritto alla corresponsione di indennizzo da parte dello Stato a fronte di ogni “menomazione permanente della integrità psico-fisica” conseguente ad una vaccinazione obbligatoria, come quella prevista per i sanitari (ex art. 4 d.l. 44/2021). Inoltre, l’indennizzo opera anche relativamente alle vaccinazioni “raccomandate” e non obbligatorie (C. Cost. 118/2020).
Il giudice amministrativo richiama quanto affermato dalla Consulta relativamente alle 10 vaccinazioni obbligatorie per i soggetti minori di sedici anni. Nella citata pronuncia (C. Cost. 5/2018) si afferma che “il ricorso alla dimensione dell’obbligo è costituzionalmente legittimo quando lo strumento persuasivo appaia carente sul piano dell’efficacia rispetto alla situazione da fronteggiare in concreto”[2].
I dati dell’AIFA
In relazione al secondo presupposto, relativo al bilanciamento tra rischi e benefici, il giudice amministrativo elenca i dati aggiornati al 26.07.2021 e rinvenibili sul sito dell’AIFA.
I dati derivano dalla:
- somministrazione di 65.692.591 dosi di vaccino;
- sono stati 84.322 gli eventi avversi avvenuti dopo la somministrazione (a prescindere dalla riconducibilità causale alla vaccinazione).
Il tasso di segnalazione, ossia il rapporto fra il numero di segnalazioni inserite nel sistema di Farmacovigilanza e il numero di dosi somministrate, è pari a 128 ogni 100.000 dosi. Il giudice prosegue affermando che “di queste, solo il 12,8% ha avuto riguardo ad eventi gravi (con la precisazione che ricadono in tale categoria, definita in base a criteri standard, conseguenze talvolta non coincidenti con la reale gravità clinica dell’evento). Di tutte le segnalazioni gravi (16 ogni 100.000 dosi somministrate), solo il 43% di quelle esaminate finora è risultata correlabile alla vaccinazione”.
Conclusioni
Le argomentazioni svolte dal giudice amministrativo possono così riassumersi:
- il vaccino non è in fase di sperimentazione, atteso che l’autorizzazione condizionata con l’immissione in commercio postula comunque la fine della fase di sperimentazione;
- la profilassi vaccinale ha efficacia preventiva, oltre che dei sintomi della malattia, anche della trasmissione dell’infezione, quindi, l’interesse a prevenire la malattia è pubblicistico, anche sotto il profilo di limitare l’impatto sul sistema sanitario nazionale, circa l’occupazione delle terapie intensive e dei ricoveri;
- lo “scudo penale” per i sanitari somministranti non attiene alla sicurezza dei vaccini; si tratta di una disposizione che va letta in chiave simbolica, in quanto diretta ad evitare atteggiamenti di medicina difensiva che potrebbero ostacolare la campagna vaccinale,
- la norma che prevede la sospensione dall’esercizio della professione a seguito della mancata sottoposizione al vaccino (art. 4 d.l. 44/2021) è ragionevole e proporzionata; ragionevole perché costituisce il frutto di un bilanciamento degli interessi, prevedendo una compressione del diritto al lavoro del singolo che non voglia sottostare all’obbligo vaccinale a tutela della salute collettiva; proporzionata, poiché è previsto un meccanismo di esenzione dalla vaccinazione (ad esempio, per accertato pericolo per la salute) e la sospensione ha durata temporanea;
- la legge che impone l’obbligo vaccinale integra i tre presupposti necessari indicati dalla Corte Costituzionale (sent. 5/2018) per essere compatibile con l’art. 32 Cost.
Il TAR confuta le argomentazioni svolte dalla dottoressa e respinge il ricorso per l’infondatezza di tutte le censure sollevate. Inoltre, condanna la ricorrente a rifondere all’amministrazione resistente le spese del giudizio (circa 2 mila euro oltre spese generali e accessori).
TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, SENTENZA N. 261/2021 >> SCARICA IL PDF
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[1] Sempre secondo il TAR, il livello di conoscenze acquisite relativamente ai vaccini anti-Covid rende la vicenda “per nulla sovrapponibile a quella relativa all’uso terapeutico dell’idrossiclorochina” (Cons. Stato 7097/2020), ove il giudice aveva ritenuto di non poter applicare in modo rigoroso i principi della cosiddetta “evidence based medicine” (EBM), ossia l’uso della medicina in base alle migliori evidenze scientifiche del momento. Nel caso dei vaccini anti-Covid, infatti, è disponibile una grande quantità di dati statistici stante la sottoposizione al vaccino di gran parte della popolazione nazionale. Per completezza, si ricorda che in quel caso il Consiglio di Stato aveva sospeso in via cautelare il provvedimento dell’AIFA di sospensione dell’utilizzo dell’idrossiclorichina, utilizzata per contrastare il Covid.
[2] Il TAR fa riferimento anche alla CEDU ricordando che è stata sancita “la compatibilità con l’art. 8 della Convenzione dell’obbligo vaccinale infantile (contro nove malattie, tra cui poliomielite, tetano ed epatite B) previsto dall’ordinamento della Repubblica Ceca quale condizione per l’ammissione al sistema educativo prescolare. La Corte afferma che l’ingerenza nella vita privata, che l’obbligo vaccinale sicuramente realizza, può giustificarsi ove – oltre ad essere previsto per legge – persegua un obiettivo legittimo (Legitimate aim) ai sensi della Convenzione, senz’altro rinvenibile nella protezione della salute collettiva e in particolare di quella di chi si trovi in stato di particolare vulnerabilità”. Per un approfondimento, si rinvia alla lettura integrale della sentenza.
Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima
Sentenza 10 settembre 2021, n. 261
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 251 del 2021, proposto da
-OMISSIS-,
rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Campanotto, Gianluca Teat, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Azienda Sanitaria Friuli Occidentale As-Fo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Emanuele Cardinali, Vittorina Colò, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
previa sospensione cautelare dell’efficacia
del provvedimento di accertamento di elusione obbligo vaccinale adottato dal Direttore Dipartimento Prevenzione di ASFO Azienda Sanitaria Friuli Occidentale -OMISSIS- comunicato via PEC in pari data (doc. 45);
di ogni altro atto amministrativo, presupposto o successivo, comunque connesso, anche non conosciuto;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Friuli Occidentale As-Fo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 settembre 2021 il dott. Luca Emanuele Ricci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente, -OMISSIS- in regime di libera professione, domanda l’annullamento del provvedimento adottato dall’Azienda sanitaria del Friuli occidentale (ASFO) ai sensi dell’art. 4, comma 6 del d.l. 44 del 2021 (conv. in l. 76 del 2021), con cui è stata accertata l’inosservanza dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, previsto dal comma 1 del medesimo articolo.
1.1 Quanto all’individuazione della presente giurisdizione, la ricorrente ritiene che il provvedimento dell’ASFO sia espressivo di potere amministrativo, per il suo carattere autoritativo e la sua idoneità ad incidere sui diritti del destinatario. Esso, inoltre, avrebbe natura discrezionale, poiché l’amministrazione è tenuta a valutare la ricorrenza delle circostanze che consentono l’esenzione o il rinvio della vaccinazione (art. 4, comma 2 del d.l. 44 del 2021). Infine, è lo stesso testo del provvedimento ad indicare il TAR quale giudice competente a conoscere dell’eventuale impugnazione.
1.2. In via preliminare, la ricorrente contesta la compatibilità con la Costituzione della disposizione attributiva del potere (art. 4 del d.l. 44 del 2021) e invita a rimettere la questione alla Corte costituzionale, sospendendo il provvedimento in via cautelare.
2. I dubbi di costituzionalità sono sviluppati nell’articolazione dei primi quattro motivi, mentre gli ultimi tre sono direttamente riferiti allo specifico atto di esercizio del potere. Queste le ragioni di illegittimità dedotte:
2.1. “Violazione dell’art. 4 del d.l. 4 del 2021 conv. in l. 76/21 – insussistenza dell’asserita violazione dell’obbligo vaccinale – grave infondatezza in fatto della misura di sospensione per interpretazione adeguatrice”. L’obbligo vaccinale imposto dalla legge ai sanitari deve essere interpretato in ragione del suo dichiarato scopo, cioè quello di prevenire il contagio da SARS-CoV-2. Considerato che le sostanze ad oggi disponibili non avrebbero l’effetto di prevenire la diffusione dell’infezione, ma solo lo sviluppo della malattia, non potrebbe quindi configurarsi alcuna violazione della disposizione. Da ciò deriva, altresì, che la scelta vaccinale dovrebbe collocarsi in una dimensione strettamente personale e non coercibile, perché priva di rilievo pubblicistico.
2.2. “Violazione dell’art. 32 co. 2 ultima parte della Costituzione: l’imposizione OBBLIGATORIA di vaccino sperimentale autorizzato in deroga viola la dignità della persona umana ridotta a cavia”. Sostiene la ricorrente che i vaccini dovrebbero considerarsi farmaci sperimentali, la cui pericolosità è attestata dal c.d. “scudo penale” introdotto a beneficio degli operatori somministranti (art. 3 del d.l. 44 del 2021). L’imposizione di un trattamento sanitario sperimentale viola il diritto fondamentale alla salute, di cui all’art. 32 della Costituzione, nonché gli artt. 1, 2, 5, 8, 14 della CEDU, gli artt. artt. 1, 2, 3, 6, 7, 8, 15, 20, 21, 31, 35 della Carta di Nizza, i regolamenti dell’Unione europea 953/2021 (in particolare il considerando n. 36) e 536/2014 (in materia di consenso informato).
2.3. “Violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 36 della Costituzione: la previsione del TOTALE sacrificio della RETRIBUZIONE, tutelata al massimo grado, è indice di irragionevolezza della misura legislativa e amministrativa adottata: si intende evidenziare una violazione particolarmente grave dell’art. 3 Cost. (nella sua duplice accezione di principio di uguaglianza e ragionevolezza) e dell’art. 36 Cost., con particolare riferimento all’aspetto lavoristico costituito dai compensi da lavoro”. L’art. 4, comma 8, del d.l. 44 del 2021, nella parte in cui prevede che “per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento”, contrasta con il principio di ragionevolezza poiché sacrifica integralmente il diritto al lavoro e alla retribuzione, a fronte della scelta di non sottoporsi ad un trattamento sanitario la cui sicurezza ed efficacia sono ancora indimostrate.
2.4. “Violazione degli art. 1, 2, 3, 4, 32, 36 Costituzione, in quanto si è in presenza di trattamenti sanitari sperimentali surrettiziamente imposti per legge, attraverso la minaccia di ricatto sostanzialmente occupazionale (integrale sacrificio della retribuzione o comunque di ogni compenso lavorativo), senza nessuna reale conoscenza degli effetti avversi anche gravi soprattutto di medio-lungo termine sulle persone vaccinate e senza nessuna certezza scientifica con riferimento al fatto che vaccinati non contagino altre persone”. L’obbligo vaccinale imposto ai sanitari contrasterebbe con gli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale in materia di trattamenti sanitari obbligatori (art. 32, comma 2 Cost.): non è legittimo, si sostiene, imporre la somministrazione di un farmaco sperimentale, di cui non sono noti gli effetti collaterali a breve e lungo termine, in nome di un obiettivo di tutela della salute pubblica che il vaccino è inidoneo a perseguire, in ragione della sua inefficacia.
2.5. “Violazione dell’art. 3 L. 241/90 per carenza, genericità, insufficienza, apoditticità, palese contraddittorietà, evidente inattendibilità della motivazione tecnica medico-legale anche in quanto non supportata da adeguati elementi medici per imposizione di obbligo vaccinale pur in presenza di farmaci sperimentali autorizzati solo in deroga”. Il provvedimento non reca una motivazione approfondita circa la sussistenza dei presupposti dell’obbligo vaccinale, né circa la configurabilità di circostanze che giustificherebbero un’esenzione dall’obbligo, violando i principi in tema di motivazione degli atti e il diritto al consenso informato.
2.6. “Eccesso di potere” in forma di “grave erroneità interpretativa, travisamento della concreta situazione di fatto e degli effettivi presupposti relativi all’accertamento adottato, anche per omessa valutazione su rilevanti circostanze di fatto in grado di influire sulla valutazione medica in considerazione della pregressa immunizzazione naturale della ricorrente la quale presenta già anticorpi contro il COVID-19. Ingiustizia manifesta”. Il provvedimento non considera la preesistente immunità naturale della ricorrente, risultante da analisi di laboratorio prodotte, in presenza della quale la vaccinazione dovrebbe considerarsi superflua se non dannosa.
2.7. “Incompetenza relativa” in quanto “non risulta predeterminata la competenza del singolo firmatario monocratico degli atti impugnati e pertanto risulta violato non solamente un principio di predeterminazione anteriore ed espressa sull’attribuzione dei poteri esercitati ma anche un principio generale di collegialità degli accertamenti medici a maggior ragione in relazione ai massimi diritti fondamentali”. Il provvedimento è stato adottato, in via monocratica, da un soggetto che non è il legale rappresentante dell’amministrazione, né è indicato l’atto di conferimento del relativo potere.
3. Ha resistito in giudizio l’ASFO, replicando alle argomentazioni fattuali e giuridiche di cui al ricorso e concludendo per la sua reiezione, previo rigetto dell’istanza di sospensione cautelare dell’atto e della richiesta di rimessione alla Corte costituzionale delle questioni prospettate.
4. La ricorrente ha prodotto in giudizio altre due memorie, in data -OMISSIS-, ulteriormente argomentando i motivi dedotti e arricchendo la già ampia documentazione prodotta a corredo del ricorso.
5. Nella camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, il Tribunale ha dato avviso alle parti dell’intenzione di trattenere il giudizio per la decisione nel merito, ricorrendone i presupposti. Le parti hanno discusso oralmente come da verbale.
6. Il ricorso viene dunque deciso con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
7. In via preliminare, si ritiene che il giudizio sia stato correttamente incardinato presso la giurisdizione amministrativa. Nell’iter di cui al d.l. 44 del 2021, pur scandito da una successione di attività rigidamente predeterminate, non possono escludersi in astratto taluni profili di discrezionalità tecnica (ad esempio, laddove si prevede il potere dell’amministrazione di valutare la rilevanza delle “specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale” ai fini dell’omissione o del differimento della vaccinazione, ai sensi dell’art. 4, comma 2).
7.1. L’individuazione della giurisdizione non potrebbe, in ogni caso, farsi discendere in modo automatico dalla natura vincolata dell’atto, dovendosi guardare anche, e soprattutto, al piano dell’interesse primariamente considerato dalla legge regolatrice del potere. Si richiamano, in proposito, gli insegnamenti di Cons. St., A.P., 24 maggio 2007, n. 8, secondo cui “anche a fronte di attività connotate dall’assenza in capo all’amministrazione di margini di discrezionalità valutativa o tecnica, quindi, occorre avere riguardo, in sede di verifica della natura della corrispondente posizione soggettiva del privato, alla finalità perseguita dalla norma primaria, per cui quando l’attività amministrativa, ancorché a carattere vincolato, tuteli in via diretta l’interesse pubblico, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, così assumendo consistenza di interesse legittimo”. Come si dirà nella trattazione che segue, la scelta di imporre l’obbligo vaccinale ai sanitari risponde – in modo pressoché esclusivo – al primario interesse pubblico costituito dalla tutela della salute collettiva, a fronte del quale la posizione del privato inevitabilmente recede.
8. Nel merito, il ricorso deve essere respinto, per l’infondatezza di tutte le doglianze.
8.1. I primi quattro motivi si rivolgono in via diretta contro la disposizione di legge attributiva del potere. Essi, tuttavia, sono valorizzati anche come possibili cause di illegittimità dell’atto, previo invito ad operare una “interpretazione adeguatrice” dell’art. 4 del d.l. 44 del 2021. Il percorso ermeneutico prospettato appare però impraticabile, contrastando con la chiara ratio della disposizione e con il suo inequivoco tenore letterale. Al contempo, le questioni di costituzionalità sollevate dalla ricorrente risultano manifestamente infondate e non superano il vaglio richiesto ai sensi dell’art. 23 della l. 87 del 1953 ai fini della loro rimessione alla Corte.
8.2. È importante premettere che, per quanto attiene ai profili tecnico-scientifici delle censure (vale a dire le generali considerazioni sulla sicurezza e sull’efficacia dei vaccini contro il SARS-CoV-2 che accompagnano pressoché tutti i motivi di ricorso), il Tribunale non può prendere in considerazione l’alluvionale quantità di documenti, della più varia natura, provenienza ed attendibilità (che spaziano da interviste ed opinioni di esperti, ad articoli di stampa ufficiale e non, fino a studi scientifici di decine e decine di pagine), depositati dalla ricorrente. Nell’ambito di una disciplina caratterizzata, per il suo stesso statuto epistemologico, da un ineliminabile margine di incertezza, il giudice non può essere chiamato a “pesare” e valutare ogni singola opinione o fonte informativa, né avrebbe il potere e la competenza per farlo, ma deve fondare il proprio convincimento sulle informazioni ufficiali, veicolate dalle competenti autorità pubbliche, nello specifico l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
8.3. Con la sottoposizione alla vaccinazione di gran parte della popolazione nazionale (39.072.107 persone, pari al 72,34% della popolazione di età superiore ai 12 anni, alla data dell’08.09.2021), nonché grazie alla diffusione capillare degli strumenti diagnostici, si è resa disponibile un’enorme mole di dati ed evidenze statistiche. Il livello di conoscenze acquisite quanto ai profili di efficacia e sicurezza dei vaccini contro il SARS-CoV-2 rende dunque la presente vicenda per nulla sovrapponibile a quella relativa all’uso terapeutico dell’idrossiclorochina (Cons. Stato, sez. III, 11 dicembre 2020, n. 7097), nell’ambito della quale il giudice, in un contesto di grande incertezza scientifica, aveva ritenuto non potersi applicare rigidamente i principi propri dell’evidence based medicine.
9. Premesso quanto sopra, possono esaminarsi i singoli motivi. Con il primo, la ricorrente censura la disposizione applicata sotto il profilo della carenza di oggetto e dell’impossibilità di raggiungimento dello scopo. Non potrebbe contestarsi una “inosservanza dell’obbligo vaccinale” (art. 4, comma 6 del d.l. 44 del 2001) in mancanza di sostanze propriamente efficaci contro l’infezione da SARS-CoV-2 e quindi idonee al perseguimento dello scopo sotteso all’obbligo. Di conseguenza, sarebbe impossibile rinvenire un interesse superindividuale e pubblicistico a supporto della misura legislativa.
9.1. È errato il presupposto fattuale di entrambi gli argomenti, cioè quello secondo cui i prodotti in uso nella campagna vaccinale sarebbero inefficaci nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2, ma agirebbero solo sui relativi sintomi (quindi in chiave di prevenzione della malattia). Evidenze opposte emergono, infatti, dall’ultimo bollettino sull’andamento dell’epidemia prodotto dall’ISS, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, istituzionalmente investito – tra le altre – delle funzioni di ricerca e controllo in materia di salute pubblica (art. 1 del relativo Statuto, approvato con D.M. 24.10.2014). Il documento cui si fa riferimento è liberamente consultabile online presso il sito internet dell’ente (https://www.epicentro.iss.it/ coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_1- settembre-2021.pdf) e considera i dati relativi a tutti i casi di infezione da virus SARS-CoV-2 registrati nel periodo 4 aprile – 31 agosto 2021, confermati tramite positività ai test molecolari e antigenici. Esso conclude riconoscendo che “l’efficacia complessiva della vaccinazione incompleta nel prevenire l’infezione è pari al 63,2% (95%IC: 62,8%-63,5%), mentre quella della vaccinazione completa è pari al 78,1% (95%IC: 77,9%-78,3%). Questo risultato indica che nel gruppo dei vaccinati con ciclo completo il rischio di contrarre l’infezione si riduce del 78% rispetto a quello tra i non vaccinati”. Può affermarsi dunque, con l’evidenza dei dati statistici, che la profilassi vaccinale ha efficacia preventiva, oltre che dei sintomi della malattia, anche della trasmissione dell’infezione.
9.2. Il ragionamento della ricorrente non sarebbe comunque condivisibile laddove
afferma che un’eventuale efficacia preventiva della sola malattia confinerebbe la scelta vaccinale del sanitario in una dimensione strettamente individuale e quindi in nessun modo coercibile. L’interesse a prevenire lo sviluppo della malattia da Covid-19 in capo agli operatori sanitari, nel contesto dell’emergenza pandemica, assume un’indubbia valenza pubblicistica, giacché garantisce la continuità delle loro prestazioni professionali e, quindi, l’efficienza del servizio fondamentale cui presiedono. Sotto altro profilo, è di valenza pubblicistica anche l’interesse a mitigare l’impatto sul SSN – in termini, soprattutto, di ricoveri e occupazione delle terapie intensive – che potrebbe comportare l’incontrollata diffusione della malattia da Covid-19 in capo a soggetti naturalmente esposti, in misura maggiore rispetto alla media, al rischio di contagio e che costituiscono un insieme numericamente considerevole della popolazione nazionale (dai dati ISTAT 2019 si contano nel nostro paese 241.945 medici, tra generici e specialisti, 51 954 odontoiatri, 17.253 ostetriche, 367.684 infermieri, 75.000 farmacisti, senza contare OSS, dipendenti di RSA e altri operatori di interesse sanitario).
10. Con un secondo motivo, la ricorrente afferma che l’obbligo sancito dall’art. 4 del d.l. 44 del 2021, avendo ad oggetto un trattamento sanitario sperimentale, contrasterebbe con la Costituzione e con una serie di norme di fonte sovranazionale che tutelano la dignità umana e il diritto ad esprimere un consenso informato.
10.1. È errata anche in questo caso la premessa del ragionamento, cioè quella secondo cui i vaccini attualmente disponibili si troverebbero ancora in fase di sperimentazione. I quattro prodotti ad oggi utilizzati nella campagna vaccinale sono stati invece regolarmente autorizzati dalla Commissione, previa raccomandazione dell’EMA, attraverso la procedura di autorizzazione condizionata (c.d. CMA, Conditional marketing authorisation), disciplinata dall’art. 14-bis del Reg. CE 726/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio e dal Reg. CE 507/2006 della Commissione. Si tratta di un’autorizzazione che può essere rilasciata anche in assenza di dati clinici completi, “a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari”. Il carattere condizionato dell’autorizzazione non incide sui profili di sicurezza del farmaco (dal sito dell’ISS, che richiama a sua volta quello dell’EMA: “una autorizzazione condizionata garantisce che il vaccino approvato soddisfi i rigorosi criteri Ue di sicurezza, efficacia e qualità, e che sia prodotto e controllato in stabilimenti approvati e certificati in linea con gli standard farmaceutici compatibili con una commercializzazione su larga scala”), né comporta che la stessa debba essere considerata un minus dal punto di vista del valore giuridico, ma impone unicamente al titolare di “completare gli studi in corso o a condurre nuovi studi al fine di confermare che il rapporto rischio/beneficio è favorevole”. La CMA è, peraltro, uno strumento collaudato e utilizzato già diverse volte prima dell’emergenza pandemica, come attesta il report disponibile sul sito istituzionale dell’EMA, relativo ai primi dieci anni di utilizzo della procedura: nel periodo di riferimento – dal 2006 al 2016 – sono state concesse ben 30 autorizzazioni in forma condizionata, nessuna delle quali successivamente ritirata per motivi di sicurezza (https://www.ema.europa.eu/ documents/report/conditional-marketing-authorisation-report-ten-years-experience- european-medicines-agency_en.pdf).
10.2. Anche in questa forma, l’autorizzazione si colloca a valle delle usuali fasi di
sperimentazione clinica che precedono l’immissione in commercio di un qualsiasi farmaco, senza alcun impatto negativo sulla completezza e sulla qualità dell’iter di studio e ricerca. Al contrario, la ricerca del vaccino contro il Covid-19, divenuta una priorità assoluta per tutte le potenze mondiali, ha potuto beneficiare di ingenti risorse umane ed economiche, di procedure valutative rapide e ottimizzate (c.d. rolling review), della partecipazione di un elevatissimo numero di volontari “circa dieci volte superiore a quello di studi analoghi per lo sviluppo di altri vaccini” (si vedano le FAQ dell’Aifa, prodotte sub doc. 7 dall’amministrazione).
10.3. La “sperimentazione” dei vaccini si è dunque conclusa con la loro autorizzazione all’immissione in commercio, all’esito di un rigoroso processo di valutazione scientifica e non è corretto affermare che la sperimentazione sia ancora in corso solo perché l’autorizzazione è stata concessa in forma condizionata. L’equiparazione dei vaccini a “farmaci sperimentali”, dunque, è frutto di un’interpretazione forzata e ideologicamente condizionata della normativa europea, che deve recisamente respingersi. Ne discende l’infondatezza delle restanti argomentazioni, che da questa considerazione prendono le mosse.
10.4. Del tutto priva di rilevanza appare poi la pendenza davanti al Tribunale dell’Unione europea di quattro ricorsi per annullamento -OMISSIS- proposti da soggetti privati (sempre i medesimi nei vari procedimenti) avverso le decisioni della Commissione. La circostanza che le autorizzazioni siano, come più volte sottolinea la ricorrente, “sub judice europeo”, oltre a non incidere sulla loro efficacia giuridica, nulla permette di inferire quanto all’esito dei giudizi e alla loro stessa ammissibilità, considerate in particolare le stringenti limitazioni in punto di legittimazione attiva (ai sensi dell’art. 263, comma 4 TFUE, la singola persona fisica può ricorrere esclusivamente contro atti delle Istituzioni “adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente”).
10.5. Nessuna attinenza con la questione della sicurezza dei vaccini ha poi il c.d. “scudo penale” concesso agli operatori somministranti dall’art. 3 del d.l. 44 del 2021. Secondo la relazione illustrativa, la disposizione “è espressione dei principi generali dell’imputazione soggettiva in materia di responsabilità penale per colpa e, in un’ottica di una maggiore certezza giuridica, mira a rassicurare il personale sanitario e in genere i soggetti coinvolti nelle attività di vaccinazione”; la finalità è dunque quella di evitare che “la prospettiva di incorrere in possibili responsabilità penali…” possa “ingenerare allarme tra quanti sono chiamati a fornire il proprio contributo al buon esito della campagna di vaccinazione nazionale…”. L’intervento del legislatore si giustifica, dunque, in chiave eminentemente simbolica, per la volontà di scongiurare atteggiamenti di medicina difensiva che potrebbero ostacolare e ritardare la campagna vaccinale. Dal punto di vista strettamente giuridico la norma non sembra presentare elementi di particolare innovatività – si veda, in proposito la relazione n. 35/2021 dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione – giacché i presupposti cui ricollega l’operatività dell’esimente (“quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”) altro non delineano che una condotta conforme alle norme cautelari specifiche, che naturalmente presiedono all’attività di somministrazione del vaccino. Deve dunque rifiutarsi una strumentalizzazione della norma come indiretto riconoscimento della natura sperimentale del vaccino o della sua particolare pericolosità.
10.6. Quanto al profilo relativo alla natura discriminatoria della misura e alla sua contrarietà con il Reg. UE 2021/953, si rileva che quest’ultimo disciplina il “certificato COVID digitale dell’UE” nel quadro della libera circolazione delle persone nel territorio degli stati membri e appare del tutto estraneo alla fattispecie. Al citato considerando numero 36 – che peraltro, nel testo italiano fa riferimento ai soggetti non vaccinati “per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate” – non può quindi attribuirsi il preteso valore interpretativo (ferma restando, in ogni caso, l’assenza di valore giuridico vincolante, vedi CGUE, V sez., 2 aprile 2009, C-134/08).
11. Con il terzo motivo, la ricorrente contesta la ragionevolezza della disposizione, nella parte in cui fa conseguire alla mancata sottoposizione al vaccino la sospensione dall’esercizio della professione e quindi la radicale impossibilità di ottenere un reddito.
11.1. La disposizione censurata nello specifico (art. 4, comma 8) è riferita al solo personale sanitario dipendente, facendo inequivoco riferimento al potere organizzativo del datore di lavoro e all’impossibilità di assegnare il non vaccinato a mansioni che non implichino un rischio di diffusione del contagio. Essa non è quindi applicabile alla ricorrente, -OMISSIS- libera professionista, né può a tal fine valorizzarsi il ruolo di collaboratrice in uno -OMISSIS-, che non incide sulla natura autonoma dell’attività svolta. Inconferente appare anche il richiamo all’art. 36 Cost.: per costante giurisprudenza, i principi sanciti dalla disposizione riguardano esclusivamente il lavoro subordinato e non le prestazioni lavorative autonome “ancorché rese, con carattere di continuità e coordinazione, nell’ambito di un rapporto di collaborazione” (Cass. civ., sez. lav., 22 febbraio 2021, n. 4667).
11.2. Non si ravvisa, in ogni caso, alcun difetto di ragionevolezza della disposizione. Del tutto giustificata appare l’individuazione dei soggetti cui l’obbligo è riferito: “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario” entrano quotidianamente in relazione con una collettività indifferenziata, composta anche di individui fragili o in gravi condizioni di salute, che non può scegliere di sottrarsi al contatto, né informarsi sullo stato di salute dei sanitari e sulla loro sottoposizione alla profilassi vaccinale. Quanto al bilanciamento di interessi sotteso alla misura, si ritiene che la primaria rilevanza del bene giuridico protetto, cioè la salute collettiva, giustifichi la temporanea compressione del diritto al lavoro del singolo che non voglia sottostare all’obbligo vaccinale: ogni libertà individuale trova infatti un limite nell’adempimento dei doveri solidaristici, imposti a ciascuno per il bene della comunità cui appartiene (art. 2 della Cost.). Dal punto di vista della proporzionalità, si evidenzia che l’art. 4 del d.l. 44 del 2021 prevede comunque un meccanismo di esenzione dall’obbligo vaccinale, per i casi di “accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”, e che la sospensione, anche nelle ipotesi di permanente e ingiustificato inadempimento, ha natura temporanea, estendendosi “fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021”. Le conseguenze negative derivanti dall’inadempimento dell’obbligo vaccinale,
dunque, sono scongiurate in caso di accertata impossibilità di sottoporsi al vaccino e, in ogni caso, temporalmente predeterminate.
12. Con il quarto motivo, la ricorrente censura la carenza dei presupposti per imporre con legge un trattamento sanitario (art. 32 Cost.): l’obbligo vaccinale, in particolare, sacrificherebbe in modo rilevante il diritto fondamentale alla salute di ciascun individuo, senza al contempo tutelare la salute collettiva, risultando strumento inidoneo alla prevenzione generale dei contagi. Retroterra dell’argomentazione sono le già esposte – e confutate – tesi relative alla natura sperimentale del vaccino e alla sua inefficacia nell’impedire l’infezione.
12.1. Le condizioni necessarie all’imposizione di una profilassi vaccinale obbligatoria sono state di recente ribadite dalla Corte costituzionale (Corte cost., 18 gennaio 2018, n. 5), che ha dichiarato la conformità a Costituzione delle dieci vaccinazioni imposte ai minori fino a sedici anni di età con il d.l. 73 del 2017 (convertito in l. 119 del 2017). Secondo la Corte, “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)”. Tutti e tre i presupposti sussistono nel caso in esame.
12.2. Quanto alla strumentalità dell’obbligo vaccinale dei sanitari rispetto alla tutela della salute collettiva (prima condizione), si fa rinvio a quanto esposto sopra (par. 9 e ss.) in merito alla comprovata efficacia del vaccino nel prevenire il contagio e alla dimensione pubblicistica dell’interesse alla vaccinazione del personale sanitario.
12.3. Quanto all’inesistenza di conseguenze negative per chi è sottoposto al trattamento, che vadano oltre la normalità e la tollerabilità (seconda condizione), si deve partire dal presupposto che il vaccino, come tutti i farmaci, non può essere considerato del tutto esente da rischi. Il giudizio in questione deve dunque guardare ai profili di sicurezza dei vaccini contro il Covid-19 disponibili sul mercato e al favorevole rapporto costi/benefici della loro somministrazione su larga scala. Il monitoraggio costante di questi aspetti compete al sistema di farmacovigilanza, cui è preposta l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), che raccoglie e valuta tutte le segnalazioni di eventi avversi. I dati raccolti all’esito di tali attività sono liberamente consultabili da chiunque sul sito internet dell’ente, oltre ad essere esposti e dettagliatamente analizzati in rapporti pubblicati periodicamente.
12.4. Quanto, in particolare, alla farmacovigilanza sui vaccini Covid-19, l’ultimo rapporto ad oggi disponibile (il settimo, disponibile all’indirizzo: https:// www.aifa.gov.it/documents/20142/1315190/ Rapporto_sorveglianza_vaccini_COVID-19_7.pdf e prodotto dalla stessa ricorrente sub doc. 54), espone i dati aggiornati al 26.07.2021 e ricavati dalla somministrazione di 65.692.591 dosi di vaccino. Gli eventi avversi – cioè gli episodi sfavorevoli verificatisi dopo la somministrazione, a prescindere dalla riconducibilità alla stessa dal punto di vista causale – sono stati 84.322, con un tasso di segnalazione – misura
del rapporto fra il numero di segnalazioni inserite nel sistema di Farmacovigilanza e numero di dosi somministrate – pari a 128 ogni 100.000 dosi. Di queste, solo il 12,8% ha avuto riguardo ad eventi gravi (con la precisazione che ricadono in tale categoria, definita in base a criteri standard, conseguenze talvolta non coincidenti con la reale gravità clinica dell’evento). Di tutte le segnalazioni gravi (16 ogni 100.000 dosi somministrate), solo il 43% di quelle esaminate finora è risultata correlabile alla vaccinazione.
Si tratta di dati comparabili a quelli emersi in esito all’attività di farmacovigilanza condotta sugli altri vaccini esistenti (alcuni dei quali già oggetto di somministrazione obbligatoria ai sensi del d.l. 73 del 2017), che sono parimenti consultabili sul sito dell’AIFA, nello specifico rapporto (https://www.aifa.gov.it/documents/20142/241052/ Rapporto_Vaccini_2019.pdf).
Le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/ benefici assolutamente accettabile. I danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il SARS-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi rari e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica.
12.5. Quanto, infine, all’esistenza di un meccanismo indennitario per l’ipotesi di danni ulteriori (terza condizione), esso è previsto dalla legge 210 del 1992, che riconosce il diritto alla corresponsione di indennizzo da parte dello Stato a fronte di ogni “menomazione permanente della integrità psico-fisica” conseguente ad una vaccinazione obbligatoria. Tale deve senz’altro considerarsi, per gli operatori sanitari, la vaccinazione prescritta dall’art. 4 del d.l. 44 del 2021. A ciò si aggiunga che il campo applicativo dell’indennizzo è stato comunque esteso dalla Corte costituzionale anche alle vaccinazioni c.d. “raccomandate” (Corte cost., 23 giugno 2020, n. 118): ciò che rileva è l’obiettivo di tutela della salute collettiva attraverso il raggiungimento della massima copertura vaccinale, non invece lo specifico strumento – obbligo o raccomandazione – adoperato a tal fine.
12.6. La menzionata sentenza 5 del 2018 riconosce dunque il preminente rilievo del diritto alla salute nella sua dimensione collettiva, rispetto alla libertà di autodeterminazione dei singoli. Afferma, infatti, che pur riscontrandosi oggi una “più spiccata sensibilità per i diritti di autodeterminazione individuale anche in campo sanitario” (par. 8.2.3), che ha portato a prediligere politiche vaccinali basate sulla sensibilizzazione e sulla raccomandazione, il ricorso alla dimensione dell’obbligo è costituzionalmente legittimo quando lo strumento persuasivo appaia carente sul piano dell’efficacia (par. 8.2.4) rispetto alla situazione da fronteggiare in concreto. Sulla base di queste premesse, l’obbligo vaccinale ampio e generalizzato previsto dal d.l. 73 del 2017 è stato ritenuto dalla Corte strumento ragionevole e adeguato a fronteggiare una situazione di “flessione preoccupante delle coperture”, che non presentava certo i caratteri di gravità dell’attuale situazione pandemica. Traslando il ragionamento alle presenti vicende, non pare ipotizzabile l’incostituzionalità di una disposizione che, nel contesto di un’emergenza sanitaria senza precedenti, introduce un obbligo vaccinale riferito ad una determinata categoria professionale, particolarmente esposta al contagio e a divenire veicolo di trasmissione del virus. Merita, infine, di essere sottolineato come la Corte si sia già espressa in termini critici nei confronti della dilagante disinformazione in materia vaccinale e in particolare della “convinzione che le vaccinazioni siano inutili, se non addirittura nocive: convinzione, si noti, mai suffragata da evidenze scientifiche, le quali invece depongono in senso opposto” (Corte cost., 18 gennaio 2018, n. 5, par. 8.2.3).
12.7. Da ultimo, anche la CEDU (sent. Grande Camera 8 aprile 2021, Vavřička and others v. the Czech Republic) ha sancito la compatibilità con l’art. 8 della Convenzione dell’obbligo vaccinale infantile (contro nove malattie, tra cui poliomielite, tetano ed epatite B) previsto dall’ordinamento della Repubblica Ceca quale condizione per l’ammissione al sistema educativo prescolare. La Corte afferma che l’ingerenza nella vita privata, che l’obbligo vaccinale sicuramente realizza, può giustificarsi ove – oltre ad essere previsto per legge – persegua un obiettivo legittimo (Legitimate aim) ai sensi della Convenzione, senz’altro rinvenibile nella protezione della salute collettiva e in particolare di quella di chi si trovi in stato di particolare vulnerabilità (par. 272). Quanto al requisito costituito della necessità della misura in una società democratica (Necessity in a democratic society), da valutarsi in concreto accertando l’esistenza di un pressante bisogno sociale (Pressing social need), di ragioni rilevanti e sufficienti a supporto della scelta (Relevant and sufficient reasons) e del rispetto del principio di proporzionalità (Proportionality), la Corte giunge a conclusioni ugualmente positive. Il bisogno sociale deriva dalla consapevolezza che la vaccinazione infantile è una misura chiave nelle politiche di salute pubblica (par. 281); la rilevanza e sufficienza delle ragioni è affermata in considerazione della rispondenza della vaccinazione obbligatoria al miglior interesse dei bambini (par. 288); infine, la proporzionalità, è garantita – oltre che dalle garanzie specifiche del procedimento che presiede alla somministrazione – dalla riconosciuta efficacia (par. 300: “As for the effectiveness of vaccination, the Court refers once again to the general consensus over the vital importance of this means of protecting populations against diseases that may have severe effects on individual health, and that, in the case of serious outbreaks, may cause disruption to society”) e sicurezza dei vaccini, a condizione che ciascuna somministrazione sia preceduta da un’anamnesi individuale e sia previsto un meccanismo compensativo per gli eventuali danni. Pur nella diversità del caso trattato, si ritiene che anche dalla giurisprudenza sovranazionale possano trarsi indicazioni favorevoli alla compatibilità dell’obbligo di cui al d.l. 44 del 2021 con i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo.
13. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta un vizio di motivazione dell’atto, ancora una volta partendo dal presupposto – su cui già si è detto – della natura sperimentale del vaccino, che imporrebbe un onere giustificativo rafforzato.
13.1. Il motivo è infondato. Non pare possibile imputare al provvedimento impugnato vizi riconducibili alla violazione del consenso informato, che sarebbe stato acquisito al momento della somministrazione del farmaco (ma la ricorrente non si è mai presentata all’appuntamento fissato d’ufficio dall’Azienda sanitaria). L’atto si limita ad accertare il fatto oggettivo del mancato adempimento all’obbligo sancito dall’art. 4, comma 1 del d.l. 44 del 2021 e lo fa in maniera esaustiva, ricapitolando – con puntuale riferimento ai diversi atti endoprocedimentali – tutti i passaggi dell’iter previsto dalla legge.
13.2. Nell’ambito di un procedimento dettagliatamente disciplinato e improntato a celerità, l’amministrazione non può essere tenuta a dare risposta a contestazioni che fuoriescono dal perimetro delle circostanze valutabili, tanto più se evidentemente pretestuose – si veda ad esempio quella con cui la ricorrente richiede di indicare “quale sostanza intendete inocularmi allo scopo della prevenzione del virus SARS- CoV-2, dato che le quattro sostanze allo stato ammesse in Italia in via condizionata (Comirnaty di Pfizer/BioNTech, Moderna, AstraZeneca/Vaxzevria e Janssen di Johnson e Johnson) non prevengono l’infezione con il virus SARS-CoV-2”(cfr. doc. 44).
13.3. Parimenti non incombe sull’amministrazione il dovere di accertare la ricorrenza di eventuali ragioni di esenzione in concreto dall’obbligo, essendo compito degli interessati illustrare, nei termini e nelle modalità di legge (cfr. art. 4, commi 2 e 5), possibili cause ostative documentate. Del tutto incomprensibile, infine, la pretesa a che fosse valutata la possibilità di trasferimento della ricorrente – -OMISSIS- libera professionista – a mansioni diverse e compatibili con la mancata somministrazione del vaccino, trattandosi di dovere proprio del datore nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato.
14. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la mancata considerazione del proprio stato di immunità naturale, rispetto al quale produce specifica documentazione (referto di test anticorpale del -OMISSIS-, prodotto sub doc. 73).
14.1. Il motivo è infondato. Il referto medico prodotto costituisce, in verità, prova dell’esatto contrario di quanto sostenuto nel ricorso, attestando la radicale assenza di risposta immunitaria rispetto al SARS-CoV-2 e smentendo l’affermazione circa una pregressa (pur asintomatica) esposizione al virus. I valori di anticorpi IgG riscontrati dal test -OMISSIS- si collocano, infatti, macroscopicamente al di sotto della soglia minima di riferimento ai fini del giudizio di positività, come illustrata nello stesso referto (pari rispettivamente a 50 AU/ml e 7.1. BAU/ml).
14.2. In ogni caso, della produzione o menzione di tale documento – che sarebbe stato, con tutta evidenza, considerato irrilevante dalle autorità sanitarie e anzi confermativo dell’esigenza di sottoporre la ricorrente al vaccino – non vi è traccia nella corrispondenza intercorsa con l’amministrazione.
15. Da ultimo, si esaminano le censure di incompetenza cui al settimo motivo. Il motivo è infondato. Come indicato nelle difese dell’amministrazione, i provvedimenti sono stati adottati dal direttore del Dipartimento di prevenzione, struttura tecnico funzionale dell’Azienda sanitaria dotata di autonome competenze operative in materia di salute collettiva (ai sensi del d.l. 502 del 1992).
15.1. L’Azienda sanitaria ha prodotto, inoltre, gli specifici atti di incarico redatti dal direttore generale dell’ASFO (all. 16), con cui questi richiede al direttore del Dipartimento di curare gli adempimenti di legge.
15.2. Priva di pregio è la censura secondo cui i predetti atti avrebbero dovuto essere adottati in forma collegiale. Il d.l. 44 del 2021 si limita ad individuare “l’azienda sanitaria locale di residenza” quale soggetto competente all’accertamento, implicitamente rinviando alle regole organizzative interne dell’amministrazione quanto alla determinazione della persona dell’organo. L’adozione in forma monocratica dell’atto è conforme al suo carattere meramente accertativo, tantopiù che nel caso di specie la ricorrente non ha indicato alcuna circostanza dotata di potenziale valenza esimente ai sensi dell’art. 4, comma 2, che potesse richiedere valutazioni supplementari.
16. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
17. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto, ai fini della quantificazione, della novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente a rifondere all’amministrazione resistente le spese del presente giudizio, che si liquidano nella somma di € 2.000,00 oltre spese generali e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 8 settembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Oria Settesoldi, Presidente
Manuela Sinigoi, Consigliere
Luca Emanuele Ricci, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE Luca Emanuele Ricci
IL PRESIDENTE Oria Settesoldi
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.