È PIÙ LIBERA UNA DONNA SE NON SA CUCINARE?
Lettere lucane
Chi mi conosce sa che amo cucinare. Lo faccio per i miei figli, per gli amici, per chi amo. È un mio modo di comunicare calore, protezione, abbondanza, casa. A volte vengo accusato di essere eccessivo e di cucinare troppo, ma sono abituato così, ed è difficile che io cambi. Dico questo per mettere le mani avanti: amo cucinare, lo faccio sempre, per sempre lo farò. E amo anche lavare i piatti, le pentole, la cucina. Ma permettetemi di dire – benché sia una sacrosanta libertà – che trovo molto triste che sempre più donne giovani – non soltanto nelle città, ma anche nei nostri paesi lucani – non sappiano fare quasi nulla in cucina. Ripeto, le donne non sono obbligate a niente. Ma lo trovo triste, ecco. Perché cucinare è calore, è cura, è gesto materno, che fa sentire a casa. Va bene riscaldare hamburger di seitan e condire insalate già lavate e tagliate, ma penso che non cucinare piatti più sostanziosi ed elaborati sia una inutile perdita figlia di un femminismo aggressivo e distruttivo. Ovviamente non amo la società patriarcale nella quale la donna sta in cucina e l’uomo a tavola. Ma sentir dire da donne giovani che non sanno nemmeno cucinare un uovo fritto mi fa capire che il femminismo sta distruggendo quel calore che le donne un tempo sapevano comunicare con generosità e abbondanza. Non vogliono farlo? Nessun problema. Trovano più gratificante fare carriera o uscire con le amiche? Va benissimo. Ma cosa toglie alla sacrosanta libertà delle donne saper fare la pasta al forno, la parmigiana, il ragù, i peperoni ripieni? Perché sempre più spesso le donne associano il cucinare a una coercizione patriarcale? Io mica mi sento sminuito nella mia virilità se cucino o se scrosto le pentole. Personalmente amo le donne libere che sanno anche essere materne e antiche, e detesto le femministe aggressive che distruggono il calore femminile in nome di un’ideologia fondata sull’odio.
