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CONTRO GLI INTELLETTUALI DELLA DECRESCITA

Lettere lucane

C’è una un aspetto della società lucana di cui non mi capacito. Non credo di dover esibire patenti di amore per i nostri paesi – li ho raccontati e girati in lungo e in largo con una devozione ai limiti del culto religioso – ma davvero faccio fatica a comprendere cosa spinga tanti intellettuali e artisti a insistere su questa retorica della bellezza, del “pensiero lento”, del chilometro zero, dei borghi a misura d’uomo, ecc. Li vedo solo io i dati sull’emigrazione? Li vede solo un volgare sviluppista pragmatico come me i dati sullo spopolamento dei nostri paesi? Solo io leggo i dati sulla disoccupazione? Mi sono stancato di fare la parte del cattivo; e mi sono stancato di sentire intellettuali e artisti fare letture estetizzanti e bucoliche dei nostri paesi, senza mai dare risposte concrete e realistiche su come arginare questo gravissimo depauperamento demografico – io, nel mio piccolo, ho provato e provo a farlo, ovviamente da “servo del sistema”. Ma cosa propongono di concreto i profeti della decrescita? In ogni dove parlano di “ritorno alla terra”, di recupero delle tradizioni, di economie circolare e sostenibile, di semplicità, di equilibrio tra uomo e natura; poi però ogni anno i dati Istat certificano un esodo inarrestabile proprio verso quelle terre – dalla Lombardia all’Emilia Romagna, dalla Germania all’Inghilterra – dove ci sono fabbriche, industrie, sistemi economici complessi e dinamici. Ma quando escono i dati Istat i nipotini di Latouche tacciono, non fanno editoriali, né scrivono post. Troppo facile, così. Anche io potrei strappare applausi parlando male delle industrie che inquinano, auspicando il “ritorno alla terra”, parlando della disumanità delle città, ecc. E’ così facile avere successo dicendo cose facili e banali; ed è così faticoso stare sempre ai margini dicendo cose realistiche che non fanno sognare, ma almeno non prendono in giro nessuno.

diconsoli@lecronache.info

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