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LA MISERIA DI CERTI GIORNALISTI DI CRONACA NERA

Lettere lucane

In passato mi sono anch’io occupato di cronaca nera – e l’ho fatto con irruenza, e con una certa dose d’inaccettabile sicumera. Oggi, se fossi costretto a occuparmi di cronaca nera, lo farei con assoluta oggettività; e, sopratutto, senza impeto emotivo o moralistico. Lo farei, insomma, con distacco professionale, perché la cronaca nera parla di sangue, di dolore, di colpa, di giustizia, di pena, di lacrime, e merita massimamente rispetto e oggettività. Dico questo perché sono letteralmente disgustato da come viene ormai trattata la cronaca nera in televisione e sui giornali. Anziché raccontare i fatti con professionalità e distacco, molti giornalisti s’improvvisano poliziotti, giudici, preti e finanche giustizieri. È il motivo per cui mai mi verrebbe in mente di esprimere pareri o supposizioni sull’ultimo caso di cronaca nera che sta infiammando l’opinione pubblica più “noir”, ovvero quello riguardante la tragica morte a Potenza di Dora Lagreca. L’avvocato del suo fidanzato, Domenico Stigliani, ha giustamente minacciato di querelare tutti coloro che continuano a dire cose lesive – non accertate dalla magistratura – a proposito di Antonio Capasso. E io trovo questa sortita assolutamente legittima, perché non è più accettabile che vicende così dolorose e complicate vengano date in pasto a “opinionisti” o a figure un po’ surreali come i “criminologi”. C’è però un altro motivo per cui oggi mi approccerei diversamente alla cronaca nera. Ed è questo: quando noi ci troviamo di fronte al male, quel male c’interroga e, in qualche modo, ci riguarda. Infatti anche il più feroce criminale del mondo ci porta sempre un’abissale notizia di noi. Il male è una zona nera della vita che ci fa tremare perché non è preclusa a nessuno. Nemmeno a chi sentenzia voluttuosamente sentendosi al riparo dall’abisso del crimine.

diconsoli@lecronache.info

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