POST-COVID. CHE FARE?
Taccuino del sabato a cura di Enzo Santochirico
«Avevi ragione avvocato ora lavoro molto meglio». Eustachio, il mio barbiere da oltre 40 anni, aveva sempre resistito al mio consiglio di far prenotare il taglio, la barba, la pettinatura. Conservava l’antico uso del servizio ai clienti in ordine di arrivo. Aspettavi anche un’ora il tuo turno, ma nel frattempo parlavi del tempo, di politica, degli avvenimenti. Si scherzava, magari qualcuno offriva il caffè.
Ora, inizialmente costretto dalle restrizioni e dalle regole causa COVID, esalta il nuovo modo di lavorare. Quasi sempre nel salone stanno solo il cliente e lui, Eustachio, che con precisione elvetica ritma ogni 20-25 minuti gli appuntamenti. Ed è contento perchè lavora meglio, senza l’affanno di accorciare le attese o di gestire le impazienze, e anche di più poiché utilizza tutte le ore della giornata lavorativa. Qualcuno osserverà che i parrucchieri per donna già da tempo adottano tale metodo e altrove anche quelli per uomini, ma qui nel salone più prestigioso della città é figlio della pandemia.
La settimana scorsa, di sabato, vado dal mio carrozziere, Salvatore, anche con lui frequentazione ultradecennale, per un problema allo sportello della macchina.
Arrivo nel cortile dell’autocarrozzeria, vedo la porta d’ingresso chiusa e lui che sta andando via in macchina con un amico. Mi presta soccorso, ma mi dice che di sabato è ormai chiuso “da quando c’è stato il Covid”.
Le due scene di vita quotidiana polarizzano la riflessione su come e quanto la pandemia abbia modificato, e stia tuttora cambiando, ritmi, tempi, organizzazione della vita individuale, del lavoro, dello svolgimento delle attività economiche e professionali.
E’ di questi giorni l’estensione dell’uso del green pass, che accentua le dinamiche e i processi di cambiamento già in atto.
E riflessi e riverberi – forse ancora maggiori – vi sono anche nella psicologia individuale, dove paure, angosce, incertezze spesso si sedimentano e non trovano neanche la possibilità di emergere, essere espresse, discusse, rielaborate. Così capita di incontrare una giovane donna, due settimane fa che, alla fine di una festa di compleanno, mentre lasciavo l’abitazione della festeggiata, confessa che è la prima volta dal lock-down che lei esce per motivi diversi dal lavoro e dalla spesa settimanale.
A parte il clamore delle dimostrazioni dei no vax e dei pericolosi rigurgiti fascisti, cui fanno da contrappeso la responsabilità e la cooperazione della stragrande maggioranza dei cittadini (la temuta paralisi con l’obbligatorietà del green pass dal 15 ottobre non vi é stata), quello che dovrebbe essere oggetto di attenzione, confronto, approfondimento è come e quanto gli effetti sociali, individuali, culturali della pandemia stiano trasformando le nostre vite e la società. In realtà, se si volge lo sguardo all’orizzonte nazionale e internazionale si registra una tempestiva e corposa reattività nel dibattito culturale, che tocca tutti i settori, dall’economia alla scuola, dall’ambiente alle città, dalla democrazia all’informazione, dalla filosofia alla politica, dai rapporti internazionali alla ricerca, per non dire della salute.
Non altrettanto si può dire a livello sociale, economico, pubblico. In parte è vero addirittura a livello internazionale se si considerano il trend dei prezzi delle mater prime, e in particolare del petrolio le problematiche degli approvvigiona-menti oppure quelle dei trasporti marittimi, con la dilatazione dei tempi di consegna e l’ulteriore concentrazione die noli, l’emersione dei limiti di una globalizzazione che periferizza alcune produzioni e sottostima i rischi della distanza, per non dire del pericolo della rinuncia ad alcune produzioni che accrescono la dipendenza geopolitica (valga per tutti, il caso dei vaccini).
E, tuttavia, queste tematiche, connesse ad un evento inedito, se non nella natura certamente nelle proporzioni, pur alla ricerca ancora di soluzioni, sono oggetto di analisi e studio, ma anche di summit, conferenze, incontri. Appare, invece, molto più opaco o indecifrabile o sconosciuto quello che accade nella sfera pubblica a livello locale, intendendo per tale la scala che va dalla regione in giù.
Monitorando e sondando le fonti comunemente accessibili. non si riscontrano approfondimenti, disamine, confronti, report, dossier. che mettano a fuoco gli effetti, le conseguenze, le ripercussioni, le trasformazioni che la pandemia sta de-terminando nell’economia, nei servizi, nella vita sociale, ma anche in quella individuale. L’organizzazione scolastica, dopo il ritorno alle lezioni in presenza e l’eliminazione o la sensibile riduzione della DAD, come sta reagendo e di cosa avrebbe bisogno? Il cd dimensionamento scolastico – in relazione al quale si è manifestato qualche allarme nei giorni scorsi – come viene ripensato, non a ridosso di scadenze legali–burocratiche, ma ponderatamente e per tempo, con una ricognizione attenta e una valutazione complessiva ed un coinvolgimento diffuso?
E la sanità, che è stata, per un verso, sconvolta radicalmente, penso a quella ospedaliera, per un altro, scoperta nella sua fragilità e inadeguatezza, mi riferisco a quella sul territorio, come si immagina di ristrutturarla, riprogrammarla, facendole recuperare efficacia, adeguatezza, immediatezza?
Per non dire delle attività culturali, tema particolarmente caro e trattato più volte in questa rubrica, rispetto al quale già in passato – il riferimento specifico è alla città di Matera, che conosco meglio, ma penso si possa generalizzare senza andare lontano dal vero e dal reale –era stato ripetutamente sollevato il tema degli spazi e dei contenitori culturali. Non è questa l’occasione per riprendere la questione, in modo consapevole e competente e dare risposte, programmi, progetti, che accompagnino lo sforzo dei soggetti che si dedicano a tali attività, che sono sopravvissuti ad una delle crisi per loro più incisive e gravi?
E si potrebbe proseguire con riferimento agli spazi urbani, alla mobilità, alle politiche di apertura degli esercizi pubblici, alla ricettività dif-fusa, ad una rete di assistenza psicologica capillare, ai servizi verso l’infanzia, e l’elenco potrebbe allungarsi di molto.
Il dato più preoccupante è che non solo si coglie un vuoto dell’azione pubblica a tutti i livelli, ma emerge anche l’assenza di un dibattito aperto, collettivo, in cui soggetti portatori di interessi, di competenze, di saperi, speciali e generali, sottopongano ad un’arena aperta riflessioni, pro-poste, idee che rispondano alle nuove esigenze insorte in seguito o in occasione della pandemia. La cd. classe dirigente politica rimane aggrappata al pendolo fra endemia organigrammatica e “baruffe chiozzotte“ di goldoniana memoria, anziché dedicarsi e impegnarsi nella delineazione di nuove politiche pubbliche, corrispondenti al-la mutata realtà..
Ma neanche quella “non politica” brilla per presenza, coraggio, inventiva, innovazione. Eppure, oggi come non mai, ve n’é estremo e urgente bisogno.
Buon fine settimana.