LA FANTASIA DI RITORNARE NELLA ROTONDA DEL 1919
Lettere lucane
A volte chiedo ai miei amici in quale anno della storia vorrebbero vivere per una settimana. Le risposte sono molto interessanti, perché svelano – ma bisogna pensarci seriamente, alla risposta – la loro vera indole psicologica, morale, culturale, ecc. Ovviamente rispondere non è facile, perché le possibilità sono infinite, ma a pensarci bene affiora sempre una data e un luogo precisi. Io ci ho pensato molto; e, alla fine, tra le infinite possibilità che avevo, mi sono sempre risposto così: a Rotonda nel 1919. Non so cosa darei per ascoltare le storie dei reduci dell’Inutile Strage – così Benedetto XV definì la Prima Guerra Mondiale –, per osservare attentamente le condizioni economiche, sociali, linguistiche del mio paese, per capire in che modo i miei avi reagirono alla povertà, alla spagnola, ai lutti e ai crescenti conflitti tra socialisti, agrari, proto-fascisti, ecc. Entrerei nelle case – il massimo sarebbe poterlo fare nell’invisibilità – e osserverei attentamente il modo di cucinare, di parlare, di fare l’amore, di pregare, di crescere i figli, ecc. Inoltre, mi piacerebbe capire com’era il paesaggio – naturale e urbano –, osservare le strade, le case, le campagne, i boschi, e capire in che modo il microcosmo di Rotonda è cambiato nell’arco di un secolo. Qualche amico mi ha obiettato: “Invece di tornare nella Roma di Caligola, nella Firenze di Dante o nella Parigi di Robespierre tu vorresti tornare a Rotonda in un anno nero, durissimo, pieno di dolore e di povertà. Non sei normale”. Probabilmente hanno ragione: non sono normale. Ma per me la conoscenza è perforazione, non navigazione. Aggiungo che dopo aver annotato ogni cosa, m’incamminerei per Fratta – la mia contrada – e cercherei un bambino di otto anni di nome Angelo e una bambina di cinque anni di nome Maria. I miei nonni paterni. Fosse per me, rimarrei volentieri con loro – per ricominciare tutto daccapo.