IL DIFFICILE RAPPORTO FRA CULTURA E POLITICA
Lettere lucane
Qual è il rapporto fra cultura e potere? E fra intellettuali e politica? Mi pongo la questione da sempre, e devo dire che non sono mai arrivato a una conclusione univoca. Degli intellettuali italiani non ho mai sopportato la semplificazione anti-sistema e buonista, ovvero l’atteggiamento pre-politico; della politica non riesco ad accettare l’ignoranza diffusa, l’arrivismo spietato, il cinismo opportunista. Il potere non è cattivo a prescindere: dipende dall’uso che se ne fa. Ma so per certo che cultura e politica s’incontrano difficilmente – e, quando avviene, avviene per interesse. Spesso mi chiedono per quale ragioni non mi sia mai candidato nella mia Regione. La risposta è semplice: perché non reggerei, della politica, l’obbligo di tacere e di fingere, o accettare, per sopravvivere, il discorso interessato. Verità e potere s’incontreranno mai? Ne dubito, benché la verità sia sempre parziale. Quando un intellettuale si candida, dopo due secondi è “come tutti gli altri”: uno in cerca di poltrone, di soldi, di potere. Ma sopratutto diventa “di parte”, e non può più fare letture sincere e aperte della realtà. E allora mi chiedo: quale può essere il ruolo politico degli intellettuali anche senza candidarsi? E come rapportarsi alla politica senza subalternità? A volte penso che la politica non dovrebbe occuparsi di cultura – tutte le politiche culturali tendono a creare una “cultura di Stato”; poi però mi dico che esiste anche una cultura istituzionale (i musei, le sovrintendenze, le fondazioni, ecc.), e questa non può che essere gestita dalla politica. Ma a quel punto la cultura è al servizio del potere, e perde la sua forza tellurica. E dunque cosa fare? Nel dubbio, mi sono sempre tenuto a distanza dalla politica, benché non mi dispiaccia dialogare con i politici (ma è sempre più difficile, perché davvero il livello culturale è molto basso).