AL MODELLO NETFLIX OPPONIAMO IL MODELLO CINECITTÀ
Lettere lucane
Ho visto anche io “Squid Game”. E, mentre lo guardavo, pensavo a questo: che quando il mercato esagera, bisogna ostacolarlo. Ovviamente non sto dicendo che bisogna limitare la libertà produttiva e “creativa” di OTT come Netflix, ma sicuramente si può iniziare a dire che chi fa simili operazioni ciniche deve subire una tassazione imponente, perché i danni che arreca alla “cultura delle immagini” sono incalcolabili. Il “modello Netflix” è pericoloso sia dal punto di vista produttivo, sia dal punto di vista creativo. Netflix sta erodendo il concetto di cinema, un’arte nella quale noi europei siamo stati maestri per più di un secolo. Infatti sono pochissimi i ragazzi che oggi in Italia e in Europa reggerebbero più di dieci minuti davanti a un film di Rossellini, Pasolini, Godard, Truffaut, Fassbinder, ecc. E a risentirne è non soltanto una certa idea di cinema e di estetica cinematografica, ma anche una precisa tradizione industriale. Netflix tratta tutti coloro che lavorano ai suoi prodotti come automi di una catena di montaggio asettica tipo McDondald’s; l’industria tradizionale del cinema no – e penso a quel che ha rappresentato e rappresenta Cinecittà, una realtà industriale e creativa che valorizza artisticamente tutti, dai registi ai falegnami. Per salvare il cinema italiano bisogna rafforzare il Servizio Pubblico, aumentare il sostegno pubblico a tutta la filiera del cinema, mettere in campo politiche di “educazione al cinema” per i giovani e tassare in maniera straordinaria chi fa profitti avvelenando “l’ambiente” cinematografico. Perché non esiste soltanto l’inquinamento atmosferico, ma anche quello culturale. L’Italia, se vuole salvarsi, non deve inseguire il “modello Netflix”, ma difendere coi denti un modello – il “modello Cinecittà”, per dirla con uno slogan – che l’ha resa grande in tutto il mondo. La Basilicata, terra di cinema, lo tenga a mente.