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SE INTERNET È L’INFERNO DEGLI IPOCONDRIACI

Lettere lucane

Ricordo che a Rotonda, da adolescente, – e sto parlando degli anni a cavallo tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 –, la malattia che più terrorizzava il mondo, e dunque anche me, era l’Aids. Su questa malattia circolavano idee confuse e fantasiose, e difficile era sottrarsi alla morsa del terrore. All’epoca non c’era tutta questa informazione così capillare, per cui era assai facile cadere in trappole ossessive e in convinzioni assurde – soprattutto per i patofobi come me. Le cose andarono meglio allorquando un importante quotidiano nazionale iniziò a pubblicare a puntate delle dispense di medicina, per cui ebbi modo di valutare con maggiore razionalità le cause e gli effetti dell’Aids. Ma, allo stesso tempo, iniziai anche a sperimentare l’orribile sensazione – che non mi ha mai più abbandonato – di sentirmi addosso tutte le malattie sulle quali leggevo qualcosa. Tutto è precipitato con l’avvento di internet. A quel punto la mia ipocondria è diventata invalidante, perché ogni sintomo, anche il più lieve o modesto, mi si presenta ormai come spia di un problema potenzialmente mortale. E questo significa somatizzazioni, preoccupazioni, chiusure, angosce, auscultazioni paranoiche, telefonate agli amici più comprensivi, ovvero al club degli ipocondriaci, di cui Franco Arminio è il presidente honoris causa. È una cosa molto comica, in apparenza; in realtà è un inferno, perché basta una tachicardia, una debolezza, una inappetenza, un gonfiore o una piccola fame d’aria per scatenare ipotesi catastrofiche, mai mitigate non dico da un briciolo di ottimismo, ma nemmeno da un barlume di razionalità. Quando parlo coi medici – quelli amici, che sanno rassicurarmi – uso terminologie che suscitano la loro ammirazione, ma io non sono felice di questa mia “sapienza”, perché è frutto di notti insonni, di paure, di crolli emotivi e di ossessioni pessimistiche e angoscianti.

diconsoli@lecronache.info

 

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