L’EX MOGLIE DI STEFANUTTI, IL “DIVORZIO BIS”: «SEMBRAVA CAMBIATO, MI HA ILLUSA»
Le pene d’amore per «pugno d’oro» Dorino: il Giudice non le crede
LUCANIA FELIX I RACCCONTI «CANZONATORI» DEGLI INDAGATI AL GIP: ECCO COME CONTINUA LA «TUTELA» DEL CLAN
Terminati gli interrogatori di garanzia nell’ambito dell’inchiesta dell’Antimafia di Potenza denominata “Lucania Felix”, il resoconto complessivo potrebbe così essere riassunto: i più penalmente esposti per il ruolo rivestito all’interno del clan Martorano-Stefanutti hanno preferito tacere, come i 2 organizzatori, finanziatori e capi dell’omonima compagine criminale, Renato e Dorino, mentre quelli che invece hanno risposto, hanno fornito per lo più ricostruzioni delle vicende oggetto degli addebiti, giudicate, dal Gip Lucio Setola, come non credibili. In un caso, per esempio, il riferimento è alle risposte del barbiere Enzo Giordano, così poco credibili che le dichiarazioni sono apparse «non solo inverosimili», ma, in alcuni passaggi, «fantasiose e, cosa ancora più grave, quasi canzonatorie». Così come, per citarne un altro, sono state etichettate come «fantasiose, beffarde, incoerenti e illogiche» anche le versioni del quasi 30enne Giambattista Pace, il «Carmela dagli occhi verdi». A Potenza, vista con le lenti del clan Martorano-Stefanutti, nulla è come sembra. La barberia di Giordano, la “Boutique du barbiuer” a Gallitello, o la pasticceria “Dolce&Dolci” di Saverio Postiglione a due passi dalla Questura, oltre ad essere esercizi commerciali fungevano anche, come da impianto accusatorio, da «appoggi logistici» del clan.
L’EX MOGLIE DI STEFANUTTI SI SFOGA COL GIP: «SEMBRAVA UNA PERSONA CAMBIATA, IO ILLUSA ED USATA» Lo stesso Stefanutti non era come sembrava e sarebbe riuscito così bene ad interpretare la parte da “ingannare” l’ex moglie, Elvira D’Ascoli, che oltre ad aver messo la trattoria che gestiva a disposizione degli scopi criminosi del sodalizio, faceva da «postina» e «staffetta» quando «pugno d’oro» Dorino era detenuto in carcere: «Vedevo questa persona cambiata… ho visto questa persona cambiata». Così l’ex moglie ha provato a giustificare la propria «buona fede» nel ricucire i rapporti con l’ex marito nel periodo di libertà in sorveglianza speciale e durante la successiva carcerazione del 2019. Stefanutti, ha “confidato” al Gip, non era, però, diventato una «persona cambiata», anzi. Soltanto l’«aveva illusa, ingannata ed usata». Per questo, il “divorzio bis”, con l’espressa volontà, dinanzi al Gip, di non voler più avere contatti con Stefanutti. Con l’aggiunta che «aveva fatto bene» il figlio Natale a pentirsi. Famiglia Stefanutti: un pentito in più, ma invece no. Per il Gip, a differenza di chi realmente voglia prendere le distanze anche rivalendosi del coinvolgimento «con l’inganno», così da avvalorare la volontà di dimostrare la propria estraneità ai fatti, D’Ascoli non ha fornito alcun contributo conoscitivo diverso ed ulteriore da quanto già accertato dalle indagini. Ecco perchè confermata, nei suoi confronti, sia la sussistenza del grave quadro indiziario che il permanere delle esigenze cautelari. Anche la figlia, Manuela Stefanutti, per la quale il Gip è giunto a uguale approdo, oltre ai non ricordo, a sua discolpa non è andata oltre lo sforzo di sostenere che, con particolare riferimento a «pizzini» e «ambasciate», assecondava il padre Dorino «per non sentirlo»: «Per non sentire mio padre che ripeteva: “Ti ha dato qualcosa? Non ti ha dato qualcosa?”».
IL BOSS STEFANUTTI RIVERITO SOTTO GLI OCCHI DEI POLIZIOTTI Per gli inquirenti, l’avvio della collaborazione con la giustizia da parte di Natale Stefanutti non ha mai offuscato in alcun modo la figura criminale del padre. Tanto che, per esempio, nel maggio 2019, fu “riverito” sotto lo sguardo attonito dei poliziotti. Recatosi in Questura per ottemperare alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, incrociò un conoscente che «lo salutava prendendogli la mano destra e, piegandosi leggermente sulle ginocchia, avvicinava la propria guancia a quella dello Stefanutti senza venirne a contatto in segno di palese reverenza». Ad ogni modo il clan gestiva, stando alle indagini, un florente traffico di droga.
IL BARBIERE CHE AVEVA COCAINA E ROLEX, VENDEVA MACCHINE E “COSTRINGEVA” I CLIENTI A FARSI LA «BARBETTA» Così, Giordano è stato preso con 807 grammi di cocaina nella barberia, mentre le «torte», i «bignè», i «profitterol», la «ricotta» e finanche «le “tette” della monaca», più che dolci della pasticceria di Postiglione, erano sostanze stupefacenti. Giordano anche, di cose, «inverosimili», ne ha dette per ora. Giordano, tra l’altro, il dettaglio ha particolarmente incuriosito il Gip, col «cliente» Carlucci, l’autista di Stefanutti che non poteva guidare, aveva un «anomalo rapporto». Così anomalo, per come raccontato da Giordano, da sfociare nel «paradossale», atteso che era il barbiere, che oltre a mandare i saluti a Stefanutti in carcere, si preoccupava anche per eventuali sue esigenze economiche, «arrivava a pretendere che il Carlucci andasse a farsi la barba: “No no, tu te la devi venire a fare la barba”… none devi venire, vieniti a fare la barbetta”». Naturale la domanda posta dal Gip, «Cioè, lei normalmente un cliente lo costringe a venire nella sua barberia?». Tra linguaggi in codice e non, gli inquirenti sostengono che il «frasario criptico e concordato» soprattutto in tema di droga, faceva «chiaramente riferimento ed in modo strumentale» alle attività commerciali degli indagati, per Giordano, la barba di Carlucci, il minore dei problemi. Ha, per esempio, giustificato certe vicende col pusher Sarli e certi scambi di messaggi, quali «Adriano 3.000, Sandrino 800, compare, 8.000 meno 1.750, Marco 400, lei 50, Emiliano 400», sostenendo, niente cocaina, ma macchine. Oltre a fare il barbiere e avere la cocaina in negozio, vendeva macchine, anche 1 a settimana, «senza mai dichiarare nulla al fisco», senza poterlo provare, al momento, perchè «non erano intestate a me le macchine, eh!», e senza, infine, almeno elencare le auto vendute perchè non se le ricordava. Non ricorda Giordano, neanche la provenienza dei «rolex d’oro» a lui sequestrati al momento dell’arresto se non per «l’ultimo rolex» acquistato, ha detto, «da un soggetto sconosciuto, a seguito di inserzione su internet, pagando in contanti». Rolex che non ha fatto verificare in gioielleria, «fidandosi del venditore», alias «soggetto sconosciuto».
IL “GIALLO” DI OMAR E DI «CARMELA DAGLI OCCHI VERDI» Altro soggetto sconosciuto, è il «non meglio indicato marocchino di nome Omar», nel racconto del quasi 30enne Giambattista Pace. Droga e debiti e l’acquisto di 300 grammi di marijuana comprati «da un non meglio indicato marocchino di nome Omar, incontrato in un non meglio precisato bar-tabacchi che si troverebbe in una rotatoria di Battipaglia, che gli avrebbe ceduto a credito lo stupefacente solo perché indicatogli da altro marocchino, ancora meno identificato, incontrato per caso a Salerno». Giudicata ancora più incoerente e illogica, la versione resa rispetto alla richiesta ricevuta dall’omonimo nonno di contattare una certa persona e di qualificarsi per telefono come «Carmela dagli occhi verdi»: non sapeva il perché di tale richiesta, non conosceva la persona da contattare, non sapeva il motivo per cui la doveva contattare dichiarandosi «Carmela dagli occhi verdi», ma lo ha fatto «perchè me lo aveva chiesto mio nonno». Un po’ come il «per non sentirlo» della figlia di Stefanutti. Le chiamate, sono 2 le telefonate, di Pace junior dal tenore quasi comico. Al «Carmela dagli occhi verdi», il primo interlocutore rispose «dai dimmi chi sei che non ti capisco… tu fai gli indovinelli», mentre il secondo, su altro numero, al «buonasera sono Carmela… Carmela dagli occhi verdi», ha risposto «hai sbagliato numero». Non creduto neanche Mirco Nucito che sull’accusa di aver costretto con minaccia di picchiarlo, Pace junior, a consegnargli mille e 300 euro per «aver avuto una relazione con la propria fidanzata», ha prospettato il tutto «come una scelta libera e volontaria della vittima»: «Mi chiedeva di non far capire nulla alla sua fidanzata, di toglierlo di mezzo e ancora, se evitavo di picchiarlo per la loro relazione nascosta, mi avrebbe fatto un pensiero economico: cifra scelta da lui».
QUELLI DEL REDDITO DI CITTADINANZA C’è chi, a seguito dell’inchiesta “Lucania Felix”, come Lorys Calabrone e Luigi Cancellara, il “Gino”, coinvolto con Martorano nell’attentato intimidatorio a colpi d’arma da fuoco ai danni dell’imprenditore Alfredo Cuoglio, nonchè il Gino che al «Carmela dagli occhi verdi» avrebbero dovuto telefonicamente passare al Pace Junior, ha perso, data la sospensione del diritto alla percezione, il reddito di cittadinanza. Per il Gip, le ricostruzioni «inverosimili» e «canzonatorie» rese da vari indagati per quanto una sorta di racconti di fantasia, hanno in realtà uno scopo ben preciso: «l’evidente finalità di “tutela” del gruppo e di inquinamento probatorio».