«NON CHIAMATEMI PENTITO»
Lucania Felix, il figlio del boss Stefanutti, Natale, scrive a Cronache: «Sono un testimone di giustizia»
POTENZA. Rompe il silenzio dopo anni di lontananza dalla sua città natale e dai suoi affetti più cari, molti dei quali a causa del ruolo che ha deciso di ritagliarsi con la giustizia gli hanno anche voltato le spalle, e dal luogo protetto in cui si trova. Natale Stefanutti, figlio del boss Dorino, diventato qualche anno fa un testimone di giustizia decide di inviare un messaggio forte e chiaro, ma questa volta fuori dall’aula di Tribunale. «Chi menziona il mio nome, scrivendo di fatti di cronaca, classificandomi come “pentito” sbaglia. Io sono un testimone di giustizia».
È questo il messaggio che Stefanutti junior fa recapitare alla redazione di Cronache Lucane. Il messaggio di Natale Stefanutti giunge dopo l’articolo pubblicato da Cronache Lucane nell’edizione del 11 dicembre sugli interrogatori di garanzia della madre Elvira D’Ascoli (ex moglie di Dorino Stefanutti) e della sorella Manuele Stefanutti, dopo che lo scorso 30 novembre sono finite entrambe agli arresti domiciliari nell’ambito della maxi inchiesta “Lucania felix”. Il 39enne potentino nel 2015 ha iniziato un percorso collaborativo con lo Stato. Le sue dichiarazioni avrebbero aperto diversi scenari inediti su cui l’antimafia è ancora a caccia di riscontri. L’ultima, ma solo in ordine di tempo, è quella dello scorso novembre che vede coinvolta gran parte della sua famiglia e che si allarga agli ambiti di estorsioni, usura, traffico e spaccio di droga, infiltrazione nelle istituzioni e del mondo imprenditoriale.
Sono solo alcune delle accuse alla base dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Potenza che ha chiesto e ottenuto l’arresto di 37 persone (tra cui il padre, la madre, la sorella, il cognato e una zia di Natale) ritenute organiche o vicine al clan Martorano-Stefanutti, il gruppo ritenuto dominante, secondo le indagini della Squadra mobile del capoluogo lucano, in diversi territori della Basilicata.
Al vertice del gruppo ci sono Dorino Rocco Stefanutti (padre di Natale) e Renato Martorano, non solo riconosciuti come capi della mafia lucana, ma per l’accusa anche collegati ed affiliati alle cosche calabresi. Infatti è proprio grazie alle dichiarazioni di Stefanutti junior che gli investigatori, dopo 5 anni di indagini, avrebbero scoperto come il clan Martorano-Stefanutti non aveva solo stretti contatti con i clan Di Muro-Delli Gatti di Melfi, e con i clan materani Scarcia e Mitidieri, ma soprattutto con la ‘ndrangheta calabrese, come la cosca Grande Aracri di Cutro, la cosca Manfredi-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto e quella dei Bellocco di Rosarno. E così il giovane Stefanutti vuol far comprendere che il suo non è un pentimento, ma una netta presa di distanze dall’eredità ingombrante del padre. Decidendo di difendere il suo ruolo di testimone di giustizia.
CHI SONO I TESTIMONI DI GIUSTIZIA E PERCHÉ DISTINGUERLI DAI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA
Va ricordato come per la mafia i pentiti, per quanto il termine possa sembrare brutale, rappresentano oggi il più grande ostacolo. È grazie a loro se è stato possibile scoprire meccanismi e dinamiche delle varie organizzazioni criminali, ed è sempre grazie a loro che lo Stato ha potuto infliggere un duro colpo alle mafie. Tuttavia, nonostante sia ben chiaro a tutti quali siano il ruolo e la funzione sociale dei cosiddetti collaboratori di giustizia, ad oggi spesso li si paragona ai testimoni di giustizia. Ma tra le due figure c’è differenza. Il testimone di giustizia è colui che, in quanto persona offesa del reato oppure persona informata sui fatti oppure testimone, “rende, nell’ambito di un procedimento penale, dichiarazioni di fondata attendibilità intrinseca, rilevanti per le indagini o per il giudizio”.
Di conseguenza, la posizione di testimone di giustizia viene riconosciuta ogni qualvolta si sia a conoscenza di informazioni determinanti ai fini del procedimento penale ma le quali possono essere attinenti a qualsiasi tipo di reato, seppur sia noto come le dichiarazioni rese dai testimoni di giustizia abbiano soprattutto riguardo a reati di associazione mafiosa e di criminalità organizzata.
Quanto appena detto permette di marcare la differenza tra i testimoni di giustizia e i collaboratori di giustizia in quanto, questi ultimi, sono coloro che rendono dichiarazioni in relazione a reati di stampo mafioso, di terrorismo, oltre a reati per i quali si prevede la pena dell’ergastolo e altri reati gravi specificati dalla legge.
Si aggiunga, però, se entrambi sono destinatari di speciali misure di protezione in seguito alla loro attività di informazione svolta all’interno di un procedimento penale, la causa (apparentemente simile) di una tale posizione è, invero, assai diversa: il collaboratore di giustizia decide di “pentirsi” e, appunto, collaborare, fornendo dichiarazioni rilevanti circa un reato di cui lui stesso è imputato o comunque coinvolto penalmente; il testimone di giustizia, invece, non ha commesso nessun reato ma è a conoscenza di fatti rilevanti per le indagini e per il processo in quanto semplice testimone oppure vittima del reato.