CONTRO LA RETORICA DELLE “ECCELLENZE LUCANE”
Lettere lucane
Sin da piccolo ho sviluppato una mente politica. Pur non avendola mai praticata direttamente, mi è sempre piaciuto ragionare – in privato e in pubblico – di politica. Mentre però da ragazzo mi ponevo spesso in una posizione antagonistica, oggi tendo sempre a chiedermi cosa farei io al posto di chi governa; e tendo, soprattutto, ad analizzare la realtà per quella che è, e non per come vorrei che fosse. È il motivo per cui mi innervosisco quando sento dire che per trovare lavoro bisogna applicarsi in settori – dall’alta tecnologia alla ricerca, ecc. – dove sostanzialmente è richiesta una mente “eccellente”. E poiché conosco la realtà e so che le “eccellenze” sono davvero rare, mi chiedo cosa ne è di chi è normale, di chi non ha grandi doti intellettive, di chi non ha grandi vocazioni e di chi, pur volendo lavorare, non ha una grande idea del lavoro – perché diciamolo chiaramente: lavorare non è mica è sempre bello, anzi. È come se l’economia attuale prevedesse il lavoro normale soltanto in una posizione subalterna e malpagata, perché se non sei un’”eccellenza” sei poco rilevante. Ma chi fa politica non può pensare soltanto alle menti brillanti – sicuramente volitive, e tuttavia fortunate – ma anche a chi arranca, a chi non ha doti speciali, a chi lavora solo per guadagnare uno stipendio, non sentendo come proprio nessun lavoro. Ecco perché non mi ha mai convinto la retorica delle “eccellenze lucane”. Se poi devo dirla proprio tutta, io tutte queste menti illuminate non le vedo. Cioè, vedo sì grandi professionisti “che ce l’hanno fatta”, ma mi chiedo cosa facciano di concreto per gli altri meno dotati – in che modo aiutano, motivano, mettono a disposizione le loro intuizioni e competenze per far crescere tutti? E allora ben vengano le “eccellenze lucane”, ma senza dimenticare che una politica sociale deve provare a dare a tutti un ruolo, una risposta, un senso.