LA BASILICATA RISORGA DALLE CENERI
La speranza di un vero cambiamento deve animare i Lucani nel 2022. L’editoriale di Fedota
Nomini Basilicata, magari a un americano, a un tedesco, a un francese, e la reazione sarà sempre la stessa: spallucce. Il dato diventa ancora più significativo quando si nomina Lucania a un milanese, a un romano o magari a un veneto: occhi smarriti, dubbi sulle città che ne caratterizzano il territorio e la solita drammatica confusione di essere più campani e pugliesi che avere una identità autonoma e indipendente. Se non fosse stato per quegli attimi di gloria che Matera Capitale Europea della Cultura nel 2019 ci ha donato, ma che siano stati purtroppo capaci di far sparire in un battito di ciglia, neanche quelle pochissime eccezioni di italiani si ricorderebbero di noi.
Non è solita demagogia o rassegnazione, ma rabbia. Mi piacerebbe chiedere della Basilicata e intravedere nel mio interlocutore occhi che si illuminano, sguardo rivolto a un passato glorioso e parole accalorate ricche di ammirazione che raccontano ricordi o futuri viaggi. Ma oggi non è così. Gli anni di questa pandemia non ci hanno reso figli di una rivoluzione ma molto più probabilmente di una rassegnazione.
E così mi chiedo chissà che suono avrà quest’anno la parola “speranza”, la promessa racchiusa nelle promesse di chi ci ha fatto sognare mari e monti ma in realtà ha fatto calare solo nebbia sui nostri piccoli comuni.
Tempo di speranza, dunque: ma come distinguerla dall’illusione? Un anno fa si indeboliva anche l’hashtag lanciato in tutta Italia per l’inizio della pandemia: #andràtuttobene; slogan apparso sempre meno credibile, di fronte a uno spopolamento incalzante , un aumento dei fallimenti lavorativi e una povertà sempre più evidente. Un auspicio che ora nessuno osa ripetere: suonerebbe beffardo e quasi offensivo verso quelle famiglie impoverite e quei centinaia di genitori che hanno trovato riparo in una Cassa integrazione non voluta. Senza considerare le tante donne costrette ancora oggi a scegliere fra famiglia e carriera. O a quei numerosi giovani che hanno dovuto comprare valige più grandi per contenere sogni e ricordi.
Si è dimostrata una speranza illusoria, vana e campata per aria.
Che suono può avere, allora, in questo nuovo anno, la parola speranza? Come evitare un’altra illusione? Possiamo abbinarla semplicemente all’auspicio della guarigione e della immunità di gregge? Certo, tutti speriamo – e lo speriamo davvero – che nei prossimi mesi la pandemia si arresti e la vita sociale riparta; tutti speriamo che le profonde ferite di chi è stato colpito dal lutto e dalla malattia, dall’angoscia e dalla povertà, si possano a poco a poco curare e rimarginare; tutti speriamo che questa esperienza ci insegni ad essere più attenti all’essenziale e meno al superfluo, più appassionati alle relazioni e meno alle polemiche. Ma la speranza in un anno nuovo non è solo ottimismo; non è solo rilancio e nemmeno solo progetto: è rigenerazione, cioè “nuova nascita”.
Dobbiamo prendere atto che qualcosa è venuto a mancare. È una condizione inevitabile. La speranza nel 2022 non può avere il suono dell’illusione, tanto più oggi che siamo tutti disincantati e provati. Deve avere il suono realistico della rigenerazione: insieme a molte persone, sono morti anche i deliri di onnipotenza e i miraggi di facile e duraturo benessere.
Dalle ceneri deve rinascere qualcosa, prendendo atto di ciò che è morto; dobbiamo ripartire, certo, ma non continuando a vivere come prima – con tante ingiustizie, superficialità e risentimenti – ma lasciandoci guidare da chi sa progettare e avere lungimiranza nelle possibilità che ci vengono offerte. Per i lucani, l’ultima parola non può essere rassegnazione, ma speranza in una vita nuova. Una vita incoraggiante e che sarà piena di opportunità e rilancio. Non si può che immaginare una Basilicata che risorga dalle sue ceneri come un arava fenice che sa costruire un futuro diverso basato su tenacia e capacità. Non possiamo permettere alla rassegnazione di prendere il sopravvento, la Basilicata può e deve cambiare.