CESAREO CON GARZA IN OMAGGIO
Melfi, addome ricucito ma pezza all’interno: l’equipe medica condannata per la «negligente dimenticanza»
Per la donna risarcimento da 191 mila euro. Il danno erariale solo per metà a carico dei sanitari: il resto è dell’Asp
Parto cesareo all’Ospedale di Melfi, l’equipe medica dimentica una garza nella cavità addominale della partoriente: dopo oltre 7 anni, arriva il conto anche dalla Corte dei Conti di Basilicata. L’intervento di taglio cesareo risale al settembre del 2014. I sanitari presenti in sala operatoria, i quali, a conclusione dell’intervento chirurgico, nell’eseguire la prevista checklist, non si accorsero della mancanza di una garza laparotomica che era stata utilizzata per tamponare il sangue.
La pezza che era stata dimenticata all’interno del tecnicamente definito sito chirurgico, la parte del corpo sottoposta a chirurgia, fu scoperta dopo mesi dal taglio cesareo, poichè la donna iniziò a soffrire di una patologia addominale. Per la cronaca, il successivo intervento chirurgico di rimozione della garza, fu necessaria la resezione degli intestini e l’asportazione di ovaio e tuba, fu effettuato presso l’Ospedale di Cerignola, nel maggio del 2015.
Nello stesso anno, il 2015, la richiesta, avanzata nei confronti dell’Azienda sanitaria di Potenza Asp, del risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali causati dalla «negligente dimenticanza» dell’equipe sanitaria di Melfi, riportante la cifra 411 mila euro. Già agli atti dell’allora, era il 2016, definizione stragiudiziale della pretesa risarcitoria, la relazione medico legale del Consulente tecnico che ritenne «pacifica» la responsabilità dei sanitari dell’equipe operatoria. Sul fatto che la garza fosse quella di Melfi, pochi dubbi perchè la donna «in precedenza non aveva mai subito un intervento chirurgico sull’addome». Ad ogni modo, l’Asp riuscì a chiudere la controversia, sborsando 191mila euro.
Di qui, la causa alla Corte dei Conti di Basilicata, per danno erariale indiretto sofferto dall’Azienda sanitaria a causa di «un errore commesso dai medici e dal personale sanitario componenti l’equipe». Così, con atto di citazione del 14 luglio scorso, la Procura regionale conveniva in giudizio i dottori Tiziana Morra e Alberico Antonio Vona, nonchè i signori Gerardo Marino e Lucia Zampino, nella qualità, rispettivamente, di primo e secondo chirurgo di equipe operatoria i primi due, operatore strumentista il terzo e infermiera la quarta. Tutti in servizio presso l’Unità operativa Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di Melfi.
A livello di linee guida, in estrema sintesi, il modello è teoricamente semplice: prima dell’intervento la conta delle garze e dei taglienti, poi la raccomandazione per il chirurgo di una «sistematica» esplorazione della ferita al momento della chiusura della breccia chirurgica al fine di verificare la permanenza di materiale quali garze e strumenti chirurgici, e comunque, a fine intervento, nuovamente la conta delle garze e dei taglienti.
Dall’attività investigativa delegata alla Guardia di Finanza, è risultato che la relativa scheda ministeriale, non fosse stata «mai predisposta dalla struttura ospedaliera di Melfi, che ha continuato a consentire la utilizzazione di un “modello di conta” rivelatosi, alla prova dei fatti, del tutto inidoneo a prevenire il rischio di ritenzione in sito chirurgico di un corpo estraneo, non rivelandosi la conta “a voce” idonea ad accertare il numero delle garze inizialmente disponibili onde raffrontare le stesse con quelle impiegate nel corso dell’intervento ».
Ritenuta sussistente la responsabilità medica, la Corte dei Conti di Basilicata ha, al contempo, sottolineato come mancasse l’evidenza di iniziative formative destinate al personale medico ed infermieristico volte proprio «alla implementazione ed alla sensibilizzazione verso le necessarie “buone pratiche”». Per cui le «“inerzie propositive”» serbate dagli allora Organi di vertice della Struttura ospedaliera di Melfi , hanno tratteggiato i contorni di una classica «“carenza di apparato”».
Considerato ciò, ma giudicato «indubbio» il ruolo causale dell’equipe medica rivestito nella produzione del danno alla donna, lo “sconto” del 50%. In conclusione, la Corte dei Conti di Basilicata ha condannato i citati al risarcimento in favore dell’Asp di Potena della somma complessiva di 95mila e 500 euro, suddividendo così le rispettive quote di riparazione: 30% 28mila e 650 euro ciascuno, in capo ai dottori Tiziana Morra e Alberico Antonio Vonia, un altro 30% a carico dell’operatore strumentista Gerardo Marino e, infine, l’ultimo 10%, pari a 9mila e 550 euro, alla infermiera Lucia Zampino.