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MAFIA, ALTRI 15 ARRESTI

Nuovo colpo al Clan Riviezzi, «estorsioni senza colpi eclatanti ma solo con il “peso” del nome»

IN CARCERE
Francesco Michele Riviezzi
Vito Riviezzi
Domenico Lamaina
Maurizio Pesce
Massimo Aldo Cassotta
Felice Balsamo
Francesco Faraone
Franco Mancino


AI DOMICILIARI
Rocco Nolè
Marco Triumbari
Pierangelo Piegaiu
Nicola Romano
Giovambattista Moscarelli
Adrian Pasoiu
Pompilio Fusco


POTENZA. Ancora un duro colpo al clan pignolese capeggiato da Saverio Riviezzi. Un’operazione della Dda e della Squadra Mobile sezione Criminalità Organizzata del capoluogo ha portato in carcere otto persone e ai domiciliari altre sette.

Le quindici ordinanze sono state emesse dal Gip Teresa Reggio su richiesta del Sostituto Procuratore Gerardo Salvia. La Procura distrettuale diretta da Francesco Curcio ha ritenuto il clan Riviezzi responsabile ancora una volta di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzato ad estorsione tentata e consumata con l’aggravate del metodo mafioso.

Accuse a vario titolo anche di detenzione e porto illegale di arma da fuoco, violazione degli obblighi sulla sorveglianza speciale e false informazioni al P.M. Tutti reati commessi nel potentino, nel materano ma anche nel Vallo di Diano tra il 2020 e il 2021.

IN CARCERE I REGGENTI E GLI AFFILIATI AL CLAN RIVIEZZI

A finire in carcere Francesco Michele e Vito Riviezzi, Domenico Lamaina, Maurizio Pesce, Massimo Aldo Cassotta, Felice Balsamo, Franco Mancino e Francesco Faraone. Agli arresti domiciliari Rocco Nolè, Marco Triumbari, Pierangelo Piegaiu, Nicola Romano, Giovambattista Moscarelli, Adrian Pasoiu e Pompilio Fusco.

Agli arresti odierni si è arrivati da una costola dell’indagine che ha riguardato lo scorso anno il clan Riviezzi e che ad aprile è sfociata nella cosiddetta ‘operazione Iceberg’ che portò in carcere e ai domiciliari ben diciassette sodali oltre che al sequestro preventivo di alcune attività commerciali tra cui il bar del Tribunale che era diventato luogo deputato a carpire i segreti della magistratura.

Ancora una volta la Dda potentina fa scacco matto verso un sodalizio ‘di rilievo’ che aveva il controllo del territorio e grande capacità di intimidazione che, come le estorsioni, non avvenivano con gesti eclatanti, ma semplicemente con la presenza presso attività commerciali di soggetti notoriamente appartenenti al clan.

LE ESTORSIONI TRA LA BASILICATA E IL VALLO DI DIANO

Nella stessa maniera avvenivano anche le illecite attività di ‘recupero crediti’ che hanno rappresentato la fase più allarmante e difficile da scardinare nell’intera investigazione: è emerso che chi aveva necessità di recuperare delle somme di denaro non si rivolgeva al tribunale ordinario, ma a quello della criminalità che riusciva ad imporsi e ad indurre il debitore a pagare. I settori di intervento del ‘recupero crediti’ hanno riguardato la concessionaria automobilistica di veicoli usati “Dream Cars Group Srls” operante a Tito ma con sede anche a Sala Consilina territorio di elezione del clan Riviezzi.

Estorsione anche al bar “85100” del capoluogo, all’agriturismo “Santa Venere” di Tito Scalo e alla marmeria “Universal Marmi” di Matera. Proprio nel Vallo di Diano viene speso il nome dei Riviezzi che trovano man forte in Felice Balsamo, già noto per riciclaggio, contrabbando da parte di gruppi legati ai ‘casalesi’ e insistenti nel Vallo.

Ancora una volta i sodali del clan Riviezzi si pongono in società come ‘autorità territoriale’ capace di intimidire ed ottenere crediti e credito. Emersa una reticenza delle vittime di estorsione a denunciare i loro aguzzini, le violenze, le intimidazioni facendo dell’omertà la bandiera di tutela del territorio criminoso. In un caso si è paventato anche il favoreggiamento dell’attività criminale da parte di un imprenditore zootecnico, Moscarelli, che è stato sottoposto ad arresti domiciliari anche per atteggiamenti che il Procuratore Curcio ha ritenuto «complici rispetto alle attività delittuose».

LE ESTORSIONI A TITO E A MATERA: VITTIME E COMPLICI

Emergono due episodi particolari in cui le vittime sono state anche destinatarie di provvedimenti cautelari. Per quanto riguarda l’estorsione alla marmeria materana, rientra nella vicenda il co-titolare della società, Nicola Romano che avrebbe «vantato un credito tra i 20 e i 26mila euro nei confronti di un collaboratore dell’azienda». Effettivamente il debito esisteva, ma era nell’ordine di 14mila euro.

L’uomo veniva però costretto «ad anticipare al sodalizio una somma di denaro che veniva consegnata direttamente a Romano oltre ad una parte della retribuzione percepita per le prestazioni lavorative fino al soddisfacimento del debito». Il denaro ottenuto da Romano «veniva successivamente destinato nella misura del 50% al clan mafioso pignolese».

Sull’estorsione all’imprenditore Giambattista Moscarelli, attivo nella commercializzazione del bestiame, si parlava di un debito dello stesso nei confronti dell’indagato Pierangelo Piegari per 270mila euro. Moscarelli veniva per tanto costretto sotto minaccia e percosse ad anticipare una somma di cinquemila euro di cui una parte sarebbe andata al clan.

Ascoltato dagli investigatori, Moscarelli «avrebbe taciuto sulla condotta estorsiva negando di essere stato minacciato con arma in pugno da Massimo Aldo Cassotta, ostacolando le indagini in relazione al concorso in estorsione aggravata dal metodo e dall’agevolazione mafiosa».


IL RUOLO CHIAVE DEL ‘COLLABORATORE DI GIUSTIZIA’

Le indagini che hanno portato agli arresti delle scorse ore hanno avuto una svolta anche grazie alla collaborazione di Lorenzo Bruzzese, pentito calabrese gravitante nella ‘ndrina di Cinquefrondi e sulle cui dichiarazioni si è detto sorpreso anche lo stesso Procuratore che lo ha definito “la chiave investigativa” utile a delineare un quadro completo da cui è emerso il teorema accusatorio. «Se utilizzati bene e riscontrati in modo puntuale- ha detto Curcio- i ‘collaboratori di giustizia’ sono utili e necessari alle indagini».

Nel caso di specie, dall’escussione del collaboratore a cui erano stati revocati i termini di protezione e che ora è rientrato negli stessi, sono emersi gravi indizi di colpevolezza in quello che è stato definito «un livello indiziario particolarmente significativo che dimostra la sussistenza di concreti elementi di allarme». Le dichiarazioni dello stesso collaboratore di giustizia «hanno aperto uno squarcio particolarmente significativo in merito all’operatività del sodalizio mafioso dei pignolesi in quello che è risultato essere un settore elettivo di primario interesse, ovvero quello del recupero crediti con modalità estorsive».

Le dichiarazioni del ‘pentito’ sono apparse alla magistratura potentina «coerenti, logiche, spontanee e plausibili» giungendo anche alla determinazione che nella sua esperienza lucana, lo stesso Bruzzese abbia «compreso le logiche degli scenari criminosi con cui è entrato in relazione, introducendosi negli ambienti della criminalità organizzata lucana anche grazie al suo rilevante background delinquenziale che gli ha permesso di porsi in una posizione di osservatore privilegiato delle dinamiche interne al sodalizio dei Riviezzi».

I CONTATTI CON IL VULTURE E I SODALI DEI ‘CASALESI’

Elementi di spicco in questa fase investigativa sono risultati essere essere Domenico Lamaina, Francesco Michele Riviezzi e Vito Riviezzi, reggenti del clan mentre il capostipite Saverio Riviezzi era in carcere. Ancora una volta emerge anche la capacità del clan di collegarsi alla criminalità non solo regionale ma anche a quella delle aree limitrofe. In particolare spicca la figura di Felice Balsamo che è stato già attenzionato dalla magistratura potentina per attività di riciclaggio nell’area del lagonegrese diventata chiave degli interessi dei clan di Casal di Principe.

Il sodalizio pignolese si è avvalso anche del ruolo di Massimo Aldo Cassotta che per Curcio «rappresenta un’ulteriore presenza del costrutto accusatorio che era stato elaborato già nella prima indagine di aprile e che era sfociato anche nell’esecuzione di un omicidio negli anni scorsi».

Il collegamento con i gruppi criminali contermini era un ‘affair’ di competenza principale di Vito Riviezzi, figlio del presunto boss Saverio ed a cui arrivavano le direttive del padre anche in merito «ai i rapporti e ai collegamenti con le cosche della ‘ndrangheta calabrese, il clan Cassotta di Melfi e gli ambienti della criminalità organizzata della Campania».

A Francesco Michele Riviezzi invece era assegnato anche il ruolo di coordinamento nel ‘recupero crediti’ «ricevendo una parte dei proventi da destinare alla ‘bacinella’, ovvero alla cassa comune del sodalizio».

CURCIO: «CLIMA OMERTOSO SUL TERRITORIO»

Il Procuratore Francesco Curcio, ha sottolineato l’esistenza di un «clima omertoso sul territorio» e l’assenza di denunce da parte delle vittime delle estorsioni, rimarcando anche il fatto che il «recupero crediti» avveniva senza neanche la necessità di minacciare concretamente gli obiettivi di azioni delittuose tipiche dei clan mafiosi, come gli incendi. Il magistrato ha definito proprio il fenomeno del recupero crediti «ancora più allarmante perché dimostra la capacità del mafioso di imporsi e di indurre il debitore a pagare, laddove la legge non ha portato ad alcunché».

«Ciò dimostra – ha aggiunto Curcio – che il mafioso si pone come autorità sul territorio e dimostra che in misura più allarmante è riconosciuta anche dal soggetto creditore la capacità dell’associazione di riscuotere i crediti». Oltretutto, il clan Riviezzi avrebbe sfruttato, in almeno due circostanze – nel Materano e nel Vallo di Diano – il “peso2 del suo nome per raggiungere i suoi scopi.


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