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ANGELUS DI PAPA FRANCESCO 6 FEBBRAIO 2022

Da Piazza San Pietro, recita della Preghiera dell’Angelus guidata da Papa Francesco

PAPA FRANCESCO 

Il Papa ai sindaci: i poveri sono la ricchezza di una città

Il prezioso anche se faticoso lavoro delle istituzioni comunali al fianco della gente in due anni di pandemia, è lo spunto per il Papa per rivolgere il suo incoraggiamento ai primi cittadini, rappresentati dall’Anci, Associazione nazionale dei Comuni italiani. Tre le parole chiave: paternità o maternità, periferie e pace

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

L’incontro con l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani è l’occasione, per Francesco, per ringraziare tutti i sindaci, in particolare, per il loro lavoro in questi due anni di pandemia.
Ricevendoli in udienza il Papa evidenzia quanto la loro presenza, a garanzia del rispetto delle norme, sia stata determinante per incoraggiare “le persone a continuare a guardare avanti”, e ricorda l’aiuto che i primi cittadini hanno offerto ai responsabili legislativi perché prendessero decisioni tempestive per il bene di tutti.
(Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Solidarietà e non solo finanze per risolvere i problemi

Il Pontefice non manca di riconoscere e sottolineare quanto complesso sia il compito cui i sindaci sono chiamati tra “consolazioni” e “difficoltà“: stare vicino alla gente a servizio del bene comune, ma al contempo sentire “la solitudine della responsabilità

E osserva come spesso “la democrazia si riduca a delegare col voto, dimenticando il principio della partecipazione, essenziale perché una città possa essere bene amministrata”

Francesco considera che “si pretende che i sindaci abbiano la soluzione a tutti i problemi”, che tuttavia “non si risolvono solo ricorrendo alle risorse finanziarie”, e spiega:

Quanto è importante poter contare sulla presenza di reti solidali, che mettano a disposizione competenze per affrontarle! La pandemia ha fatto emergere tante fragilità, ma anche la generosità di volontari, vicini di casa, personale sanitario e amministratori che si sono spesi per alleviare le sofferenze e le solitudini di poveri e anziani.
Questa rete di relazioni solidali è una ricchezza che va custodita e rafforzata.

Sognare una città migliore è indice di cura sociale

Tre le parole di incoraggiamento proposte all’Anci: paternità – o maternità -, periferie, pace.
Francesco evidenzia, anzitutto, che

“il servizio al bene comune è una forma alta di carità, paragonabile a quello dei genitori in una famiglia” e suggerisce che “anche in una città, a situazioni differenti si deve rispondere con attenzioni diversificate”, ascoltando i problemi delle persone e cercando di “capire le priorità”, senza concentrarsi sulla “necessità di finanziamenti adeguati”.

In realtà, occorre anche un progetto di convivenza civile e di cittadinanza: occorre investire in bellezza laddove c’è più degrado, in educazione laddove regna il disagio sociale, in luoghi di aggregazione sociale laddove si vedono reazioni violente, in formazione alla legalità laddove domina la corruzione. Saper sognare una città migliore e condividere il sogno con gli altri amministratori del territorio, con gli eletti nel consiglio comunale e con tutti i cittadini di buona volontà è un indice di cura sociale.

Dalle periferie si vede meglio la totalità

Non manca il pensiero per le periferie. Francesco ne sottolinea la centralità evangelica, rammentando che Gesù è nato in una stalla a Betlemme ed è morto fuori dalle mura di Gerusalemme sul Calvario.

E se sovente i sindaci si trovano dinanzi a “periferie degradate, dove la trascuratezza sociale genera violenza e forme di esclusione”, partire dalle periferie, da dove si vede meglio la totalità, suggerisce il Pontefice, “non vuol dire escludere qualcuno”, ma “partire dai poveri per servire il bene di tutti”:

Non c’è città senza poveri. Aggiungerei che i poveri sono la ricchezza di una città.Questo a qualcuno sembrerebbe cinico: no, non è così; ci ricordano – loro, i poveri – ci ricordano le nostre fragilità e che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ci chiamano alla solidarietà, che è un valore-cardine della dottrina sociale della Chiesa, particolarmente sviluppato da San Giovanni Paolo II.

Il lavoro “unzione di dignità”

Il Papa cita poi, in particolare, nel contesto sociale emerso in tempo di pandemia: “solitudini e conflitti all’interno delle case”, “il dramma di chi ha dovuto chiudere la propria attività economica, l’isolamento degli anziani, la depressione di adolescenti e giovani, l’aumento dei suicidi, le disuguaglianze sociali che hanno favorito chi godeva già di condizioni economiche agiate, le fatiche di famiglie che non arrivano a fine mese”, il rischio di finire nelle mani degli usurai.
Ed è forte l’invito del Pontefice ad aiutare le periferie, perché si trasformino “in laboratori di un’economia e di una società diverse”. Perché, fa notare Francesco, “non basta dare un pacco alimentare”; la dignità di chi è nel bisogno chiede, invece, un lavoro,

“un progetto in cui ciascuno sia valorizzato per quello che può offrire agli altri, poiché il lavoro, “guadagnare il pane”, “è unzione di dignità”

La politica palestra di dialogo fra culture

Infine lo sguardo del Papa si sofferma sulla conflittualità sociale. “C’è un compito storico che coinvolge tutti”, rimarca, “creare un tessuto comune di valori che porti a disarmare le tensioni tra le differenze culturali e sociali”, e indica ai sindaci che la politica “può essere una palestra di dialogo tra culture, prima ancora che contrattazione tra schieramenti diversi”, ma soprattutto che “la pace non è assenza di conflitto“, “ma la capacità di farlo evolvere verso una forma nuova di incontro e di convivenza con l’altro”

Per Francesco ci si può porre davanti a un conflitto anzitutto accettandolo e poi risolvendolo e trasformandolo “in un anello di collegamento di un nuovo processo”.
Il conflitto, aggiunge il Pontefice, 
è pericoloso se rimane chiuso in sé stesso” e non va confuso con la crisi, che invece è buona, perché porta a risolvere e fare passi avanti. Semmai “cosa cattiva è quando la crisi si trasforma in conflitto e il conflitto è chiuso”. Il conflitto è guerra, prosegue Francesco, ed “è difficile che trovi una soluzione, per questo occorre fuggire dai conflitti ma vivere le crisi.

La pace sociale è frutto della capacità di mettere in comune vocazioni, competenze, risorse.
È fondamentale favorire l’intraprendenza e la creatività delle persone, in modo che possano tessere relazioni significative all’interno dei quartieri.
Tante piccole responsabilità sono la premessa di una pacificazione concreta e che si costruisce quotidianamente.

Ma nel contesto dei rapporti tra i diversi enti istituzionali, il Papa richiama “il principio di sussidiarietà, che dà valore agli enti intermedi e non mortifica la libera iniziativa personale”.

L’insegnamento di S. Giovanni Crisostomo: spendersi per gli altri

Terminando il suo discorso, Francesco incoraggia ancora i sindaci “a rimanere vicini alla gente”, vincendo quella tentazione di isolarsi, di fuggire le responsabilità di fronte alla quale, invece, San Giovanni Crisostomo “esortava a spendersi per gli altri, piuttosto che restare sulle montagne a guardarli con indifferenza”.

“Un insegnamento da custodire”, soprattutto nello scoraggiamento e nella delusione, conclude il Papa, impartendo ai sindaci la propria benedizione.

La riflessione del cardinale Menichelli: il sindaco “costruttore di democrazia”

Poco prima delle parole del Papa i partecipanti all’udienza hanno potuto ascoltare una riflessione del cardinale Edoardo Menichelli, vescovo emerito di Ancona, sulla figura del sindaco. “Un presidio stabile di democrazia anche quando le varie istituzioni possono patire sfilacciamenti di identità”, ha definito il porporato ogni primo cittadino, ricordando la sua “relazione particolare” con il popolo da paragonare ad una “paternità dilatata”, capace sempre, nei piccoli come nei grandi comuni, di essere “una sorta di riferimento ‘salvifico’: al padre si ricorre sempre con fiducia”. “Il sindaco è custode di una porzione di umanità”, ha aggiunto Menichelli, egli deve “custodire il passato e la sua memoria” e “renderlo fruibile senza gelosie e privatismi”. “L’identità di ogni comune deve essere anche capace di respirare una sorta di cittadinanza universale che è resa obbligata non solo dalla globalizzazione in cui siamo immersi ma da quella identità di fraternità che rende (o dovrebbe rendere) l’umanità solidale”, ha aggiunto il cardinale, denunciando l’“ipocrisia diffusa che danneggia la vocazione umana e la propria crescita con la paura dell’altro spesso pensato come un usurpatore”. In quest’ottica, il sindaco dev’essere “educatore e costruttore di democrazia”. Democrazia che “costa” perché “risultato di un impegno di fraternità e di solidarietà” e che, al pari di una persona, “perché sviluppi e cresca essa ha bisogno di cura, di amore, di protezione”.

Angelus
Da Piazza San Pietro, recita della Preghiera dell’Angelus guidata da Papa Francesco

https://youtu.be/jg_UXPP8wh8

TRATTA PROSTITUTE È PIAGA GRAVE DELLE NOSTRE CITTÀ 


Il Papa: con Gesù sul mare della vita, senza paura
Dio vuole salire sulla barca della nostra vita, anche quando non abbiamo nulla da offrirgli, e aprire nuove possibilità. Così il Papa all’Angelus questa mattina in piazza San Pietro. Quando viviamo la “notte delle reti vuote” e la delusione di non vedere i risultati sperati il Signore ci chiede di salire sulla nostra barca per annunciare il Vangelo al mondo.

Paolo Ondarza – Città del Vaticano

“Dio non vuole una nave da crociera, gli basta una povera barca sgangherata, purché lo accogliamo”. Commentando il Vangelo odierno sulla pesca miracolosa, quando Gesù sale sulla barca e invita Pietro a prendere il largo e gettare le reti dopo una notte di pesca andata male, il Papa all’Angelus invita a non cedere al pessimismo e alla sfiducia, ma ad ospitare Gesù nella barca della vita senza paura.

Spesso, come Pietro, viviamo la ‘notte delle reti vuote’, la delusione di impegnarci tanto e di non vedere i risultati sperati. Quante volte anche noi restiamo con un senso di sconfitta, mentre nel cuore nascono delusione e amarezza. Due tarli pericolosissimi.

Come duemila anni fa Gesù sale sulla barca tornata a riva vuota dopo una notte di fatiche e delusione. É la barca della nostra vita – ricorda Francesco – che quotidianamente lascia le rive di casa per inoltrarsi nel mare delle attività, quando “ogni giorno cerchiamo di portare avanti progetti e vivere l’amore delle nostre relazioni, ma restiamo con un senso di sconfitta e nel cuore nascono delusione e amarezza”.

Proprio quella barca vuota, simbolo delle nostre incapacità, diventa la “cattedra” di Gesù, il pulpito da cui proclama la Parola. Questo ama fare il Signore: salire sulla barca della nostra vita quando non abbiamo nulla da offrirgli.

“Gesù – aggiunge il Papa – vuole entrare nei nostri cuori e riempirli con la sua presenza, servirsi della nostra povertà per annunciare la sua ricchezza, delle nostre miserie per proclamare la sua misericordia. É il Dio della vicinanza che vuole salire sulla barca della nostra vita, così com’è. Da qui l’invito a non cedere al perfezionismo:

A volte ci sentiamo indegni di Lui perché siamo peccatori. Ma questa è una scusa che al Signore non piace, perché lo allontana da noi!

Quella mattina sulle rive del lago di Galilea non era un ora adatta per pescare, ma Pietro si fidò di Gesù:

Se ospitiamo il Signore sulla nostra barca, possiamo prendere il largo. Con Gesù si naviga nel mare della vita senza paura, senza cedere alla delusione quando non si pesca nulla e senza arrendersi al “non c’è più niente da fare”.

“Quella barca vuota simbolo delle nostre incapacità”, prosegue, “diventa la cattedra di Gesù, il pulpito da cui proclama la Parola”. “Sempre nella vita personale come in quella della Chiesa e della società possiamo ricominciare, il Signore ci invita a rimetterci in gioco, apre nuove possibilità”:

Allora accogliamo l’invito: scacciamo il pessimismo e la sfiducia e prendiamo il largo con Gesù! Anche la nostra piccola barca vuota assisterà a una pesca miracolosa.


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