ANGELUS DI PAPA FRANCESCO 6 FEBBRAIO 2022
Da Piazza San Pietro, recita della Preghiera dell’Angelus guidata da Papa Francesco
La politica palestra di dialogo fra culture
Infine lo sguardo del Papa si sofferma sulla conflittualità sociale. “C’è un compito storico che coinvolge tutti”, rimarca, “creare un tessuto comune di valori che porti a disarmare le tensioni tra le differenze culturali e sociali”, e indica ai sindaci che la politica “può essere una palestra di dialogo tra culture, prima ancora che contrattazione tra schieramenti diversi”, ma soprattutto che “la pace non è assenza di conflitto“, “ma la capacità di farlo evolvere verso una forma nuova di incontro e di convivenza con l’altro”
Per Francesco ci si può porre davanti a un conflitto anzitutto accettandolo e poi risolvendolo e trasformandolo “in un anello di collegamento di un nuovo processo”.
Il conflitto, aggiunge il Pontefice, “è pericoloso se rimane chiuso in sé stesso” e non va confuso con la crisi, che invece è buona, perché porta a risolvere e fare passi avanti. Semmai “cosa cattiva è quando la crisi si trasforma in conflitto e il conflitto è chiuso”. Il conflitto è guerra, prosegue Francesco, ed “è difficile che trovi una soluzione, per questo occorre fuggire dai conflitti ma vivere le crisi.
La pace sociale è frutto della capacità di mettere in comune vocazioni, competenze, risorse.
È fondamentale favorire l’intraprendenza e la creatività delle persone, in modo che possano tessere relazioni significative all’interno dei quartieri.
Tante piccole responsabilità sono la premessa di una pacificazione concreta e che si costruisce quotidianamente.
Ma nel contesto dei rapporti tra i diversi enti istituzionali, il Papa richiama “il principio di sussidiarietà, che dà valore agli enti intermedi e non mortifica la libera iniziativa personale”.
L’insegnamento di S. Giovanni Crisostomo: spendersi per gli altri
Terminando il suo discorso, Francesco incoraggia ancora i sindaci “a rimanere vicini alla gente”, vincendo quella tentazione di isolarsi, di fuggire le responsabilità di fronte alla quale, invece, San Giovanni Crisostomo “esortava a spendersi per gli altri, piuttosto che restare sulle montagne a guardarli con indifferenza”.
“Un insegnamento da custodire”, soprattutto nello scoraggiamento e nella delusione, conclude il Papa, impartendo ai sindaci la propria benedizione.
La riflessione del cardinale Menichelli: il sindaco “costruttore di democrazia”
Poco prima delle parole del Papa i partecipanti all’udienza hanno potuto ascoltare una riflessione del cardinale Edoardo Menichelli, vescovo emerito di Ancona, sulla figura del sindaco. “Un presidio stabile di democrazia anche quando le varie istituzioni possono patire sfilacciamenti di identità”, ha definito il porporato ogni primo cittadino, ricordando la sua “relazione particolare” con il popolo da paragonare ad una “paternità dilatata”, capace sempre, nei piccoli come nei grandi comuni, di essere “una sorta di riferimento ‘salvifico’: al padre si ricorre sempre con fiducia”. “Il sindaco è custode di una porzione di umanità”, ha aggiunto Menichelli, egli deve “custodire il passato e la sua memoria” e “renderlo fruibile senza gelosie e privatismi”. “L’identità di ogni comune deve essere anche capace di respirare una sorta di cittadinanza universale che è resa obbligata non solo dalla globalizzazione in cui siamo immersi ma da quella identità di fraternità che rende (o dovrebbe rendere) l’umanità solidale”, ha aggiunto il cardinale, denunciando l’“ipocrisia diffusa che danneggia la vocazione umana e la propria crescita con la paura dell’altro spesso pensato come un usurpatore”. In quest’ottica, il sindaco dev’essere “educatore e costruttore di democrazia”. Democrazia che “costa” perché “risultato di un impegno di fraternità e di solidarietà” e che, al pari di una persona, “perché sviluppi e cresca essa ha bisogno di cura, di amore, di protezione”.
Angelus
TRATTA PROSTITUTE È PIAGA GRAVE DELLE NOSTRE CITTÀ
Il Papa: con Gesù sul mare della vita, senza paura
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
“Dio non vuole una nave da crociera, gli basta una povera barca sgangherata, purché lo accogliamo”. Commentando il Vangelo odierno sulla pesca miracolosa, quando Gesù sale sulla barca e invita Pietro a prendere il largo e gettare le reti dopo una notte di pesca andata male, il Papa all’Angelus invita a non cedere al pessimismo e alla sfiducia, ma ad ospitare Gesù nella barca della vita senza paura.
Spesso, come Pietro, viviamo la ‘notte delle reti vuote’, la delusione di impegnarci tanto e di non vedere i risultati sperati. Quante volte anche noi restiamo con un senso di sconfitta, mentre nel cuore nascono delusione e amarezza. Due tarli pericolosissimi.
Come duemila anni fa Gesù sale sulla barca tornata a riva vuota dopo una notte di fatiche e delusione. É la barca della nostra vita – ricorda Francesco – che quotidianamente lascia le rive di casa per inoltrarsi nel mare delle attività, quando “ogni giorno cerchiamo di portare avanti progetti e vivere l’amore delle nostre relazioni, ma restiamo con un senso di sconfitta e nel cuore nascono delusione e amarezza”.
Proprio quella barca vuota, simbolo delle nostre incapacità, diventa la “cattedra” di Gesù, il pulpito da cui proclama la Parola. Questo ama fare il Signore: salire sulla barca della nostra vita quando non abbiamo nulla da offrirgli.
“Gesù – aggiunge il Papa – vuole entrare nei nostri cuori e riempirli con la sua presenza, servirsi della nostra povertà per annunciare la sua ricchezza, delle nostre miserie per proclamare la sua misericordia. É il Dio della vicinanza che vuole salire sulla barca della nostra vita, così com’è. Da qui l’invito a non cedere al perfezionismo:
A volte ci sentiamo indegni di Lui perché siamo peccatori. Ma questa è una scusa che al Signore non piace, perché lo allontana da noi!
Quella mattina sulle rive del lago di Galilea non era un ora adatta per pescare, ma Pietro si fidò di Gesù:
Se ospitiamo il Signore sulla nostra barca, possiamo prendere il largo. Con Gesù si naviga nel mare della vita senza paura, senza cedere alla delusione quando non si pesca nulla e senza arrendersi al “non c’è più niente da fare”.
“Quella barca vuota simbolo delle nostre incapacità”, prosegue, “diventa la cattedra di Gesù, il pulpito da cui proclama la Parola”. “Sempre nella vita personale come in quella della Chiesa e della società possiamo ricominciare, il Signore ci invita a rimetterci in gioco, apre nuove possibilità”:
Allora accogliamo l’invito: scacciamo il pessimismo e la sfiducia e prendiamo il largo con Gesù! Anche la nostra piccola barca vuota assisterà a una pesca miracolosa.