PAPA FRANCESCO AL TERMINE DELL’ANGELUS TORNA SULLA CRISI IN ATTO AI CONFINI DELLA UCRAINA
“Sono preoccupanti le notizie che arrivano dall’Ucraina, affido all’intercessione della Vergine Maria e alla coscienza dei responsabili politici affinché sia fatto ogni sforzo per la pace. Preghiamo in silenzio”
PAPA
Papa, Angelus: la gioia di liberarsi da egocentrismo e durezze
Fausta Speranza – Città del Vaticano
“L’egoismo gonfia e poi lascia il vuoto nel cuore”: così Papa Francesco alla preghiera mariana dell’Angelus invita a seguire la logica delle Beatitudini che – dice – definiscono l’identità del discepolo di Gesù:
Il Signore liberandoci dalla schiavitù dell’egocentrismo, scardina le nostre chiusure, scioglie la nostra durezza, e ci dischiude la felicità vera, che spesso si trova dove noi non pensiamo.
Al centro del Vangelo della Liturgia di questa Domenica ci sono proprio le Beatitudini che – sottolinea Papa Francesco – “possono suonare strane, quasi incomprensibili a chi non è discepolo; mentre, se ci chiediamo come è un discepolo di Gesù, la risposta sono proprio le Beatitudini”.
Nella logica di Dio
A partire dalla prima delle Beatitudini: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio”. Francesco ne spiega il senso parlando della logica di Dio:
Nel senso che il discepolo di Gesù non trova la sua gioia nel denaro o in altri beni materiali, ma nei doni che riceve ogni giorno da Dio: la vita, il creato, i fratelli e le sorelle, e così via. Anche i beni che possiede, è contento di condividerli, perché vive nella logica di Dio che è la gratuità.
“Il discepolo ha imparato a vivere nella gratuità”, aggiunge Francesco.
Non solo denaro o beni
Una raccomandazione: non fermarsi alle ricchezze materiali ma considerare il senso della vita.
Questa povertà è anche un atteggiamento verso il senso della vita: il discepolo di Gesù non pensa di possederlo, di sapere già tutto, ma sa di dover imparare ogni giorno. Perciò è una persona umile, aperta, aliena da pregiudizi e rigidità.
Una scoperta: chi non va oltre se stesso è triste.
Chi è troppo attaccato alle proprie idee e alle proprie sicurezze, difficilmente segue davvero Gesù. Magari lo ascolta, ma non lo segue. E così cade nella tristezza.
Se seguiamo Dio quando siamo d’accordo
Una riflessione: gli schemi mentali allontanano dalla ricerca di Dio e “i conti non tornano”. Chi “magari ascolta Gesù ma non lo segue, o forse – aggiunge il Papa – lo segue quando è d’accordo: “Lo segue un po’, soltanto nelle cose che ‘io sono d’accordo e Lui è d’accordo con me’, ma poi altri non va”. E dunque sottolinea: “questo non è un discepolo” e infatti – aggiunge – “cade nella tristezza”:
La realtà sfugge ai suoi schemi mentali e si trova insoddisfatto. Il discepolo, invece, sa mettersi in discussione, sa cercare Dio umilmente ogni giorno, e questo gli permette di addentrarsi nella realtà, cogliendone la ricchezza e la complessità.
Un pensiero al Vangelo di domenica scorsa in cui – ricorda Francesco – Simon Pietro, esperto pescatore, accoglie l’invito di Gesù a gettare le reti in un’ora insolita; e poi, pieno di stupore per la pesca prodigiosa, lascia la barca e tutti i suoi beni per seguire il Signore. E il Papa aggiunge:
Pietro si dimostra docile lasciando tutto, e così diventa discepolo.
Il discepolo, in altre parole, accetta il paradosso delle Beatitudini che – sottolinea il Papa – “dichiarano che è beato, cioè felice, chi è povero, chi manca di tante cose e lo riconosce”. Non è una logica umana avverte il Papa:
Umanamente, siamo portati a pensare in un altro modo: è felice chi è ricco, chi è sazio di beni, chi riceve applausi ed è invidiato da molti, chi ha tutte le sicurezze: e questo è un pensiero mondano, non è pensiero delle Beatitudini. Gesù, al contrario, dichiara fallimentare il successo mondano, in quanto si regge su un egoismo che gonfia e poi lascia il vuoto nel cuore.
Oltre il perimetro delle idee
Il Papa invita ad un vero e proprio salto mentale: afferma che “davanti al paradosso delle Beatitudini il discepolo si lascia mettere in crisi, consapevole che non è Dio a dover entrare nelle nostre logiche, ma noi nelle sue”. Il punto è che “richiede un cammino, a volte faticoso, ma sempre accompagnato dalla gioia” che – ribadisce – è “il sinonimo dell’essere discepoli di Gesù” perché – aggiunge – “il discepolo di Gesù è gioioso con la gioia che gli viene da Gesù.”
Dunque l’invito del Papa a porsi alcuni precisi interrogativi:
Possiamo allora chiederci: io ho la disponibilità del discepolo? O mi comporto con la rigidità di chi si sente a posto, per bene, arrivato? Mi lascio “scardinare dentro” dal paradosso delle Beatitudini, o rimango nel perimetro delle mie idee? E poi, al di là delle fatiche e delle difficoltà, sento la gioia di seguire Gesù? Questo è il tratto saliente del discepolo: la gioia del cuore.
La preghiera è che la Madonna, che il Papa definisce “prima discepola del Signore”, ci aiuti a vivere come discepoli aperti e gioiosi.
Francesco preghiamo in silenzio per l’Ucraina. Si faccia ogni sforzo per la pace
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
“Sono preoccupanti le notizie che arrivano dall’Ucraina, affido all’intercessione della Vergine Maria e alla coscienza dei responsabili politici affinché sia fatto ogni sforzo per la pace. Preghiamo in silenzio”.
Francesco, al termine dell’Angelus domenicale, torna sulla crisi in atto nel Paese dell’Est Europa per mostrare i suoi timori su una crisi che sembra sempre più volgere al peggio.
Il colloquio tra Biden e Putin
L’intensa attività diplomatica, così come le telefonate ad altissimo livello tra i leader occidentali e Mosca, non riescono ad abbassare il livello di rischio di una imminente invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che denuncia “l’isteria” degli Stati Uniti, i quali, a loro volta, così come fatto dal presidente Joe Biden in una telefonata con l’omologo russo Vladimir Putin, minacciano i russi, di “gravi e rapide ripercussioni” in caso di attacco. Biden e Putin, però, hanno anche garantito che continueranno i contatti e resteranno impegnati nella diplomazia.
Gli avvertimenti di Blinken
In un incontro con il ministro degli esteri russo Lavrov, il segretario di Stato americano Blinken, ha messo in guardia i russi parlando di una risposta “transatlantica risoluta e massiccia” in caso di ulteriore aggressione russa. Le stesse minacce Blinken le ha ripetuto a conclusione di un vertice trilaterale con gli omologhi di Giappone e Corea del Sud: in caso di invasione, la risposta sarà rapida, unita e pesante. Il segretario di Stato ha anche avvertito che Mosca potrebbe utilizzare una provocazione o un incidente prefabbricato per giustificare una aggressione contro Kiev.
Le manovre di Russia e Usa
Il Cremlino, intanto, continua ad ammassare i suoi uomini, si parla di oltre 100mila unità, nei pressi del confine ed ha avviato manovre militari nel Mar Nero e in Bielorussia, mentre gli Stati Uniti hanno ritirato quasi tutti i militari presenti in Ucraina, e rafforzato il fronte polacco con l’invio di nuove truppe. Washington ha intanto smentito la presenza di un suo sottomarino in acque territoriali russe, come invece denunciato dai russi.
La crisi più pericolosa dalla guerra fredda
Per molti osservatori, si tratta della crisi più pericolosa in Europa dalla fine della guerra fredda. I russi tornano a chiedere di fermare quella che definiscono l’espansione della Nato così come il sostegno occidentale all’Ucraina, che Mosca non ha mai smesso di vedere come parte della sua sfera di influenza. Nell’ultima telefonata con l’omologo francese Macron, il presidente russo Putin ha criticato il rifornimento di armi a Kiev, possibile condizione per azioni “aggressive da pare delle forze ucraine”, nell’area orientale, dove la Russia sostiene i separatisti armati, zona dalla quale l’Osce sta facendo uscire tutti i suoi osservatori. E l’evacuazione continua anche da parte di tanti Paesi, che stanno richiamando dall’Ucraina i loro connazionali, così come fatto anche da Mosca, che ha ritirato parte del suo personale diplomatico. Oltre a Stati Uniti, Germania, Italia, Regno Unito, Pasi bassi Canada, Norvegia, Australia, Giappone e Israele, ci sono anche i Paesi del Golfo Persico, tra i quali Arabia Saudita, Qatar, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, poiché, hanno avvertito gli Stati Uniti, l’offensiva russa potrebbe iniziare in qualunque momento e senza preavviso. A smorzare i toni è il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per il quale le “allarmistiche dichiarazioni americane non aiutano e causano solo panico”.
Guerra mondiale, fa paura solo parlarne
Sergio Centofanti
Qualche grande leader ne ha cominciato a parlare. È preoccupante soltanto sentire queste parole: “guerra mondiale”. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha esortato ieri i cittadini americani a lasciare subito l’Ucraina perché “le cose potrebbero impazzire velocemente”. “È una guerra mondiale – ha aggiunto – quando gli americani e la Russia cominciano a spararsi”.
Fa paura sentir parlare di “guerra mondiale”. Colpisce un verbo che è stato usato: “impazzire”. Papa Francesco all’udienza generale di mercoledì scorso, invitando con forza a continuare a pregare per la pace di fronte alle tensioni crescenti per la crisi ucraina, ha detto: “Non dimentichiamo: la guerra è una pazzia!”.
Lo aveva già detto altre volte, come all’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” a Bari, il 23 febbraio 2020:
La guerra (…) è contraria alla ragione (…) è una follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare.
Il 13 settembre del 2014, nella Messa presieduta al Sacrario militare di Redipuglia nel centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, Francesco lo aveva detto con altrettanta forza:
La guerra è una follia. Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione! La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto. L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?”. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… “A me che importa?”. Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”. Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni…, ma le loro vite sono state spezzate. Perché? Perché l’umanità ha detto: “A me che importa?”. Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni (…) Come è possibile questo? È possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”. È proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere.
Nel secolo scorso, dopo le parole di Benedetto XV sull’inutile strage della prima guerra mondiale e quelle di Pio XII sulla seconda, “Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra”, Giovanni XXIII, nel 1963, di fronte alle minacce di un conflitto nucleare, scriveva la Pacem in terris:
Gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico.
Nella storia abbiamo visto tante scintille trasformarsi in incendi devastanti. Oggi fa paura solo il fatto che si parli di “guerra mondiale”. Nella guerra in Bosnia ed Erzegovina degli anni ’90 del secolo scorso, molti sopravvissuti hanno ripetuto una frase che suonava simile, pur essendo su fronti contrapposti: “Mai avrei immaginato che sarebbe potuto succedere di nuovo qui”.