LA REPLICA DI MARIO DRAGHI IN SENATO
Consiglio europeo, le Comunicazioni del Presidente Draghi in Parlamento : CAMERA e SENATO
Comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo, la replica del Presidente Draghi al Senato della Repubblica
Mercoledì, 23 Marzo 2022
Cercherò di rispondere ai tanti punti sollevati. C’è un punto comune per cui vorrei ringraziare tutti voi ed è il sostegno che state dando all’azione di Governo alla vigilia di questo Consiglio europeo.
È sempre importante sapere che ci si siede al tavolo avendo il Parlamento dietro.
Oggi è ancora più importante e – devo dire – la coralità di questo sostegno dà una particolare forza alla mia partecipazione domani.
Un primo gruppo di domande, di punti sollevati, riguarda la risposta europea a questa crisi, la risposta economica e la risposta alla crisi energetica, con riferimento ai punti toccati dal senatore Monti, dal senatore Pittella e da vari altri.
Questa risposta si sta articolando già su tre pilastri fondamentali.
Prima di tutto c’è una sospensione generalizzata o una rivisitazione, temporanea immagino, di molte delle regole che hanno accompagnato l’Unione europea fino ad oggi.
Ad esempio quella che riguarda il bilancio con la con la clausola di salvaguardia, si dà per certa la non riattivazione di questa clausola l’anno prossimo.
Ma anche le regole che noi abbiamo avuto finora: io ormai da diversi anni continuo a dire che queste regole non hanno servito molto bene durante la crisi. Si sarebbero dovute rivedere in ogni caso. Alla luce degli sviluppi di oggi la loro revisione diventa inevitabile e sarà necessariamente molto, molto più profonda di quello che si sarebbe fatto prima delle crisi, prima degli ultimi due anni.
In merito alle regole sugli aiuti di Stato, anch’esse come sapete sono state sospese, riviste.
Ma in generale come si può pensare di attuare una transizione ecologica, una transizione energetica, una nuova politica della difesa senza intervento dello Stato?
È chiaro che sarà necessario. Certi investimenti per la loro ampiezza, per i rischi che comportano non potranno essere attuati interamente, o anche parzialmente, dal settore privato. Per cui anche queste regole andranno necessariamente riviste in profondità, alla luce di questi nuovi obiettivi che la stessa Unione europea si è data. La rivisitazione delle regole, quindi, è necessaria per essere coerenti con il raggiungimento degli obiettivi che noi stessi ci siamo dati, non è una richiesta di un Paese. Mi riferisco anche a certi regolamenti, per esempio, in campo agricolo.
È chiaro la situazione di insufficienza nella produzione costringerà a rivedere la quantità di terra che è coltivabile. Come voi sapete c’è un regolamento che impone che il 10% della terra disponibile non venga coltivato per buoni motivi.
È chiaro che questa regola andrà sospesa se vogliamo affrontare l’emergenza alimentare. In seconda battuta, se ciò non fosse sufficiente, dovremmo essere messi in grado di importare da paesi dai quali non stiamo importando perché abbiamo applicato degli standard di tipo sanitario, di tipo merceologico, che ci impediscono queste impostazioni.
Quindi il primo pilastro è una rivisitazione delle regole che ci hanno accompagnato finora.
Il secondo pilastro è quello di una risposta congiunta, nel senso che molti di questi investimenti necessari non sono finanziabili con le risorse nazionali.
Abbiamo avuto questa straordinaria esperienza del Next Generation Eu, in cui l’Europa si è dimostrata capace di creare debito congiunto.
Altrettanto occorrerà fare per finanziare questi enormi sviluppi nel clima, nell’energia, nella difesa.
Per inciso sulla difesa c’erano già piani di questo tipo, che immaginavano un possibile finanziamento congiunto dei piani della difesa, che circolavano già da vari anni.
Per cui la consapevolezza che questi obiettivi, che ci siamo di nuovo dati noi, non sarebbero raggiungibili senza questo secondo pilastro.
Il terzo punto è l’energia
Alla luce di questi sviluppi, un mercato energetico come l’abbiamo costituito noi non sembra rispondere in maniera adeguata. Anche in questo caso bisogna chiedersi quale può essere la risposta congiunta dell’Unione europea. In ogni caso tutte queste sfide possono essere lette di in due modi: in uno profondamente pessimistico, cioè l’Unione europea non ce la farà e ci aspettano anni di conflitto, situazioni in cui l’Italia è vista perdere queste partite; e un’altra, invece, è una visione più ottimistica che dice ‘guardate, noi abbiamo avuto tante di quelle crisi, finora ce l’abbiamo fatta, quindi perché non farcela anche ora?’
Questa è la mia visione.
Bisogna affrontare queste crisi non con senso di smarrimento, ma con senso positivo di voglia di costruire e costruire insieme. Anche perché da soli non ci riusciamo.
Quindi occorre negoziare, essere pazienti, occorre certe volte far marcia indietro e poi tornare avanti. Questo è il futuro che noi abbiamo e con cui dovremmo confrontarci.
Il secondo argomento è stata la difesa, che è stato toccato negli interventi dei senatori Cioffi, Bossi, Vattuone e Rauti.
In particolare la senatrice Rauti ha dato una rappresentazione puntuale di quello che è la Bussola strategica e ha descritto bene come sia un disegno importante per il futuro della difesa europea.
Sul piano progettuale è uno sforzo, e sarà accettato da tutti i paesi membri, è un passo straordinario perché disegna i contorni principali di quella che sarà la difesa nel futuro.
Sul piano dell’azione però è un primo piccolo passo, perché la cifra di 5000 soldati è una cifra che – come è stato ricordato – è stata definita in altre epoche che oggi appare veramente piccola. Ma non è solo oggi.
Stamattina ho ricordato che il presidente della Repubblica Mattarella, quando era ministro della Difesa cioè all’inizio degli anni 2000, ha discusso questo tema della costruzione di una difesa comune e all’epoca si parlava di 150.000 soldati. Insomma questa è una cifra di prima approssimazione su cui poi occorrerà andare avanti.
Terzo punto della bussola europea ed è quello più difficile: il coordinamento. Coordinamento che inizia dalla produzione militare, è una produzione che deve giustamente avere una ricaduta sul tessuto economico italiano ma anche quello di altri paesi, sulle piccole e medie imprese.
È un coordinamento che richiede una dislocazione industriale degli impianti di produzione nell’intero territorio dell’Unione europea. Ed è un coordinamento che poi deve espandersi nelle fasi successive, nelle decisioni strategiche.
E allora si dice: perché cominciare dal tetto? Occorre una politica estera comune. Secondo me le cose devono andare avanti insieme, bisogna attrezzarsi, bisogna iniziare a costruire quella che sarà l’attrezzatura e allo stesso tempo bisogna far passi avanti sulla politica estera comune.
Le ultime prove hanno mostrato la capacità dell’Unione europea di definire una politica estera comune.
La senatrice Bonino ha prima detto che il presidente Putin contava sulla nostra divisione, sulla nostra incapacità di essere uniti. Eppure la risposta è stata straordinaria, un’unione straordinaria.
Questo è un test che la politica estera comune è possibile, deve essere possibile sul piano strutturale e non solo eccezionale e lì, indubbiamente, c’è molto da fare. In ogni caso, però, bisogna andare avanti con entrambi.
Un ultimo aspetto riguarda la bussola strategica: sì, ci vuole fare dignità con la NATO, perché noi siamo parte della NATO.
Ci vuole complementarietà, questo è qualcosa di importante da dire ma è anche molto difficile, perché il coordinamento non si deve intendere soltanto all’interno dell’Unione europea – che è già è complesso – ma anche coordinamento fra le forze Nato e le forze dell’Unione europea.
Però una cosa importante è che, in questo periodo in cui tutti parlano di aumento delle spese militari e alcuni paesi hanno deciso di aumentare le spese militari in maniera straordinariamente significativa, è importante che questi aumenti vengano annunciati all’interno di una strategia europea e non all’interno di una strategia nazionale. Capite bene che il rischio di andare avanti con strategie nazionali è piuttosto serio, specialmente in prospettiva.
Sull’energia i problemi sono tanti, come sono stati sottolineati in molti interventi, dal senatore Girotto, dal senatore Saccone, dal senatore Stefano, dal senatore Pellegrini ed altri.
C’è un problema di formazione del prezzo, certamente il TTF è un mercato che sta dando prezzi che non hanno nessuna connessione con i costi di produzione.
Su questo, però, le posizioni sono molto divise tra i paesi del Nord e le società petrolifere del Nord e gli altri paesi. Lo schieramento è molto diviso, occorrerà arrivare a una soluzione, a un accordo. Io spero veramente che ci si arrivi e, in ogni caso, è importante che ci sia una strada verso questo accordo.
Perché qui occorre ricordare che il TTF fu una struttura creata quando le energie fossili, in particolare il gas e anche il petrolio, erano dominanti e le rinnovabili erano una minima percentuale. Noi stiamo andando verso un mondo dove le rinnovabili saranno dominati e il gas e il petrolio saranno invece residuali, per non parlare del carbone.
Questo mercato, quindi, creato in questo modo risponde sempre meno alla realtà.
L’altra questione è vedere come riuscire a separare la formazione del prezzo sul mercato del gas.
Tenete presente che all’interno del mercato del gas ci sono due realtà profondamente diverse: uno è il gas che arriva attraverso i tubi e uno è il gas liquido.
Il gas che arriva attraverso i tubi, arriva qui e quindi l’Unione europea avrebbe un forte potere di mercato nell’imporre condizioni, tra cui quelle di prezzo, perché questo gas non può andare in altre parti, non ci sono i tubi e, almeno per un po’ di anni, non ci saranno. Mentre il gas liquido è facilmente vendibile nel resto del mondo, per cui il potere di mercato dell’Unione europea è indubbiamente ridotto.
Per quanto riguarda le rinnovabili, ho detto spesso che dobbiamo investire e accelerare i piani di investimento.
A proposito del fatto che abbiamo fissato un tetto, bisogna pensarla non come ad una cosa che scoraggia gli investimenti nelle rinnovabili, perché non è vero: il tetto fissato è fantastico.
Permette un profitto straordinario ai produttori di rinnovabili. La verità è che le società che fanno rinnovabili, e fanno anche energia termoelettrica con il gas, hanno fatto dei profitti colossali che derivano non solo dalla formazione del prezzo del gas, ma anche dal fatto che il prezzo dell’elettricità, e quindi quello prodotto dalle rinnovabili, è collegato -anzi – si forma sulla base di quello del gas.
Quindi non ho francamente nessun rimorso ad aver fissato quel prezzo: è un prezzo ampiamente remunerativo.
L’Italia si sta muovendo rapidamente sul fronte della diversificazione, con avviati contatti e facendo contratti perché c’è anche un elemento di tempo e occorre muoversi con molta rapidità.
Perché gli stessi fornitori che contattiamo noi sono contattati da tanti altri paesi in situazioni di bisogno come noi.
Tant’è che la Commissione, alla riunione del Consiglio europeo di domani, proporrà anche un piano per coordinare questi acquisti. E’ importante che questo coordinamento avvenga soprattutto per il gas liquido perché lì effettivamente c’è la possibilità di portar su il prezzo se tutti i paesi vanno per conto loro.
Volevo rispondere al senatore Candiani.
No, non c’è nessun pericolo di cadere dalle braccia di un gigantesco monopolio, nel quale ci siamo con convinzione adagiati per circa vent’anni, in quelle di un altro monopolio altrettanto grande, perché avremo una pluralità di fornitori. Quindi, in questo senso, non ci sarà questo potere straordinario di cui oggi noi ci troviamo a pagare i costi.
Ci sono due punti specifici che prima ho osservato. Il primo: non vogliamo e non dobbiamo incoraggiare scontri di civiltà. Questa è una frase che in realtà è stata creata tantissimi anni fa, e parlava di scontri tra l’Occidente e l’islam, quindi di per sé descrive il rischio che si ripeta lo stesso errore e non vogliamo assolutamente.
A questo proposito voglio citare un episodio.
È stata approvata una legge che riguarda i profughi, non solo ucraini ma tutti i profughi, e qui ringrazio il Parlamento per non averla ristretta ai soli profughi ucraini.
Profughi che sono scienziati, professori universitari, che potrebbero venire in Italia e potrebbero, se vengono, godere di borse di studio, di fondi, finanziamenti per la ricerca, di visiting professorship e di altri modi di integrazione nella nostra realtà accademica. Ci sono, tra questi, diversi scienziati russi che chiedono di uscire.
Noi dobbiamo accogliere questi scienziati e ho chiesto alla ministra Messa di farlo sapere e di mettere addirittura un numero di telefono che possano chiamare perché si possano favorire procedure di accoglienza di questi scienziati.
Il secondo punto specifico riguarda il lungo processo che sarà necessario per far entrare l’Ucraina nell’Unione europea.
Ho anche detto che questo processo sarà lungo perché occorre che questa integrazione funzioni.
Nessuno vuole suggerire procedure accelerate che poi si rivoltano contro gli altri membri dell’Unione europea.
Ma la differenza tra l’avere l’Italia, uno dei paesi fondatori dell’Unione europea, accanto all’Ucraina aiutandola e non averla, è grande.
Ho già risposto al senatore Pellegrini dicendo che sono d’accordo con il fatto che ci sono fenomeni speculativi insopportabili e che occorra intervenire.
Per inciso, il governo nell’ultimo Consiglio dei ministr, ha introdotto un’imposta sui profitti che fino ad allora, tranne il fatto che io stesso avessi indicato quella strada in più occasioni, nessuno ha introdotto.
Il governo l’ha fissata al 10% e ha aiutato a finanziare tutte queste iniziative. Ora, si dice da molti, che non basta: vedremo il Parlamento, che ha in mano il provvedimento, che deciderà.
È evidentemente chiaro che i profitti- come ha detto il senatore Pellegrini– prima sono molto più grandi e quindi occorre tenerne conto.
Ho anche risposto al senatore Gasparri che mi ha richiamato giustamente al fatto che ci sono delle realtà economiche nazionali di cui occorre tener conto, anche in un periodo di guerra.