BASILICATA: È TEMPO DI OSARE
L’appuntamento con le tematiche sociali che attanagliano il nostro tempo
DI ANTONIO SALERNO
Il tiepido sole primaverile rende sempre più piacevole percorrere quel tratto di strada sinuosa che si snoda nella Valle dell’Agri costeggiando le acque del lago, affiorando e scomparendo tra una infinità di sfumature di verde. La serpeggiante lingua d’asfalto divide a metà la foresta degli Appennini che mostrano fieri i fianchi boschivi e le cuspidi imbiancate sullo sfondo blu del cielo lucano che fa da cornice ad un quadro inneggiante alla potenza e alla grazia della natura. Pastori mal vestiti guidano gli armenti attraverso secolari sentieri di montagna transumando dalle valli accaldate ai freschi pascoli in altura: figure spettrali retaggio di una civiltà scomparsa.
Pittoreschi borghi medievali si rivelano, come naif, incastonati sui pendii dei monti circondati da campi fecondi e frutteti, vigneti, boschi di cerro, castagno e faggete.
Quei borghi ospitano un popolo antico dalle tradizioni semplici che ha saputo custodire in serbo i doni dell’ospitalità, dell’accoglienza, della spontaneità e della bontà d’animo.
In quei posti ogni uomo ha una storia e una identità. Scendendo verso il mare il paesaggio sfuma in quello brullo dei calanchi coperti dalla macchia e costellato di uliveti e agrumeti, piantagioni di peschi, frutta e verdure di ogni genere sapientemente coltivati che accompagnano la via ai confini della Regione. Quanta bellezza al cui cospetto mai si abitua lo sguardo e lo spirito del viandante. Eppure in alcuni tratti, per percorrere quaranta chilometri si impiegano quarantacinque minuti.
Eppure i pregiati formaggi, che conservano i profumi e gli aromi delle erbe selvatiche, prodotti dai piccoli allevatori secondo antiche e meticolose pratiche tramandate di generazione in generazione quasi sempre rimangono lì dove nascono. Eppure l’impresa turistica è di fatto inesistente così le esportazioni e questo mondo rimane sospeso nel tempo come un quadro appeso alla parate della storia.
Allora forse si potrebbe e si dovrebbe cominciare a pensare al come condurre la Basilicata nella modernità senza rinunciare al fascino della tradizione. Viene spontaneo e facile considerare ciò che lo sguardo abbraccia anche se le vere cause del ritardo che affligge i nostri territori si celano in posti ben nascosti e meno accessibili ma un inizio è pur sempre un inizio e quindi diciamo che risulta fin troppo scontata la necessità di dotare questi posti di infrastrutture moderne a partire da una viabilità veloce e sicura. Ma ciò non basta.
Per lo sviluppo economico c’è bisogno di un sistema di trasporto efficiente e di una rete ferroviaria moderna commisurata al territorio. Nello stesso tempo bisogna pensare agli scali merci: interporti su gomma, da fare subito, e su rotaia nel medio periodo. Questo consentirebbe l’accesso ai grandi mercati anche a modeste quantità di merci fornendo linfa vitale ai piccoli imprenditori agricoli, agli artigiani e ai loro prodotti di nicchia, che hanno tutte le carte in regola per diventare prodotti di eccellenza, di trovare un mercato esterno sicuro e duraturo ma anche un mercato interno legato ad una migliore economia e all’impresa turistica.
Adam Smith affermava che più lontano è il luogo di approvvigionamento delle merci più costoso sarà il suo trasporto, più alto risulterà il suo prezzo finale sul mercato risultando quindi, nel nostro caso, poco competitivo: nella nostra Lucania bisogna prendere atto del fatto che in troppi non riescono neanche a raggiungerlo il mercato.
Ma non si tratta solo di economia. Le infrastrutture sono necessarie per far transitare facilmente gli uomini e con essi le idee. Ma forse c’è più di qualche interesse a mantenere in uno stato di arretratezza un territorio, laddove è possibile. Un popolo aperto alle idee è un popolo che riesce a fare confronti, riesce a operare scelte basate su criteri differenti da quelli proposti dalla subcultura imperante nelle aree isolate. Si possono dispensare titoli di studio, posti di lavoro al baratto, un minimo di benessere ma il pensiero libero quello non può essere tollerato secondo alcune logiche.
Eppure la storia ci insegna che il benessere segue il progresso e che questi si nutre del libero pensiero che permette di superare vecchi ed obsoleti schemi a favore di nuovi e più efficienti modelli.
Allora bisogna cominciare col mondare le menti e gli spiriti dalla rassegnazione: la novella del gregge e dei pastori non dev’essere tesa ad inculcare l’idea che ci sarà sempre qualcuno che penserà per noi. Liberare le menti, liberare l’economia, liberare il mercato del lavoro, garantire la giustizia e farlo prima di tutto con una strategica rete di collegamenti: questo è il primo passo .
Ma a chi spetta questo compito? Senza dubbio spetta alla politica: unicuique suum, inteso in questo caso come assunzione di una responsabilità inderogabile. Se come abbiamo sentito troppo spesso qualche politico lo ritiene impossibile forse il limite o la mala fede si trova in quel politico e non nella visione di sviluppo del territorio.
Secondo la nostra, forzata interpretazione della terza regola del diritto romano, sulla politica grava l’onere di rendere possibile ciò che serve per raggiungere il fine e chi non riesce è perché non è capace. Il fatalismo con cui la cultura di questo popolo è stata condita sino ad oggi deve tramontare insieme ai vecchi costumi legati all’assistenzialismo, al nepotismo, alla concussione, alla corruzione, al conservatorismo e ad un manzoniano esercizio della giustizia. La nostra terra merita di più.
Dire vivrò domani è sbagliato perché domani sarai meno vivo, recitava Marziale in uno dei suoi epigrammi e lo stesso vale per la crescita, lo sviluppo e la salvaguardia di un territorio: non si dovrebbe più indugiare. Spendere 65 milioni di euro per un servizio di trasporti pubblici che non funziona. Spendere 60 milioni di euro in assistenzialismo. Finanziare progetti in assenza di una visione d’insieme e di un chiaro, condiviso e credibile piano degli investimenti significa gettare fumo negli occhi, serve ad acquietare le coscienze ad instillare false speranze e rassegnazione.
È tempo di pianificazione e soprattutto di confronti: confrontare i numeri dell’economia, dell’efficienza dei servizi, dei tempi e modi della giustizia senza remore , senza paure e senza truccare i dati con algoritmi studiati all’uopo. Questo significa uscire dall’isolamento. Il rilancio della Regione dipende dalla capacità della classe politica, di qualunque colore, di convogliare le risorse sui settori strategici che riescano a trascinare l’economia, l’occupazione e i servizi.
Nessuna provvida sventura bensì la massima di Appio Claudio Cieco “ l’uomo è artefice del proprio destino” dev’essere la guida per il nostro futuro. Se questo dovesse avviarsi vorrà dire che avremo trovato la via ma per ora rimane una utopia, molto simile a quella di Tommaso Moro: un’isola sconosciuta ove ci sono verità così scontate per chi ci vive eppure così lontane dalle coscienze del resto degli uomini del nostro piccolo mondo.