GIRO D’ITALIA, LA STORIA DI “CICCË LA SCIENZË”
Il racconto di A. Muro su quella domenica 23 maggio ‘71: “Il vero partecipante era il castelgrandese Francesco Masi”
«Quella domenica ventitré maggio del 1971, nientepopodimeno, transitava a Castelgrande il Giro d’Italia che quell’anno si correva dal 20 maggio al 10 giugno per un totale di 3567 km. Si trattava della terza tappa lunga 177 km che da Potenza portava la carovana colorata a Benevento.
Con Don Vito Troiano, stipati come non mai nella sua macchina, dopo una messa alquanto veloce raggiungemmo Palazzulo. Quando vi giungemmo, trovammo già numerosi tifosi sistematisi sul valico ad oltre 1150 metri sul livello dei mare.
Proprio sul traguardo, un ragazzino, all’incirca della nostra stessa età, alzava un cartello con su scritto “FORZA MOTTA”. “Huè! Chi è costui? -Pensammo- noi siamo tifosi di Gimondi!”
Sul finire degli anni ’70 del ‘900 tutti ci inorgoglimmo nell’apprendere che al Giro partecipava un “castelgrandese”. In verità, Francesco Masi, così si chiamava, era nato e cresciuto in Piemonte, ma il fatto che i suoi genitori fossero nati a Castelgrande fece sì che moltissimi, anche vecchi, si recassero a Potenza per applaudirlo.
La prima “partecipazione” di un Castelgrandese alla Corsa Rosa risale, però, al 1971, appunto. Proprio a Palazzulo era fissato il traguardo del gran premio della montagna di quella tappa.
La folla era tanta che qualcuno, più ardimentoso, si era spinto fin sopra i “Pëzzunë” che dominano tutta la zona del traguardo e la valle sottostante. Da quel punto di vista privilegiato, i più attenti scorsero qualcosa in lontananza.
Subito ad urlare: “Arrivano! No no! È uno solo!”
Per qualche istante rimanemmo in silenzio a chiederci, “chi sarà?” Tutti speravamo che fosse il nostro beniamino il protagonista di quella impresa. Passato il primo istante di emozione tutti ci rimettemmo a gridare ed a sventolare i cartelli col nome dei nostri eroi. Ancora il silenzio scese tra di noi quando le vedette ci avvertirono che al comando della tappa c’era un uomo solo, ma solo per davvero. Non una pattuglia della polizia stradale, non una macchina a seguire e guidare lungo i tornanti della nostra statale Appia il fuggitivo. Lo scatto doveva essere stato tanto fulmineo da aver sorpreso proprio tutti.
Manco il tempo di riflettere sulla stranezza della vicenda cui stavamo assistendo, che un’altra meraviglia, ancora più incredibile, si aggiunse alle meraviglie che già stavamo vivendo: in fuga e da sola c’era la maglia rosa.
“Roba da non credere!” La maglia rosa in fuga senza che nessuno se ne fosse accorto.
Mentre tutti commentavamo quanto stava accadendo ed ascoltavamo i più grandi e, quindi, anche più esperti, che cercavano di capire chi potesse essere il ciclista capace di cotanta impresa, il protagonista di quella domenica si avvicinava, intanto, al traguardo del Gran Premio della Montagna.
La sorpresa cominciò a lasciare spazio alla incredulità quando ci accorgemmo che in fuga c’era sì un ciclista in maglia rosa, ma, invece che il nome dello sponsor, sulla maglietta era stampata l’effigie di Felice Gimondi con la scritta “Forza Gimondi”. I pantaloncini non erano pantaloncini da ciclista, ma normali pantaloni arrotolati fin sopra le ginocchia a la zombafuosse.
Anche le forze dell’ordine in un primo momento furono sorprese da quel singolarissimo ciclista, sicuramente qualcosa non quadrava.
Non era, infatti, un corridore professionista; si trattava, invece, di quel burlone di “Ciccë la scienzë”, al secolo Gerardo De Mito che, a suo modo, aveva voluto rendere indimenticabile per noi una tappa del giro d’Italia altrimenti anonima.
Per tutti, alla fine di quella bellissima giornata, rimase un solo rammarico; i carabinieri, riconosciutolo, gli avevano impedito di tagliare il traguardo bloccandolo pochi metri prima».
Il racconto è opera di Alberto Muro, Castelgrande.