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STORIE DI AMORE E RIVOLUZIONE, LETTERA A THEO

Dino De Angelis racconta Vincent van Gogh


Il forte legame tra Theo e Vincent è anche ciò che permette al fratello minore di vedere l’enorme talento artistico di Vincent.


Nel fitto epistolario, Theo si arrischia anche a dare consigli sulla pittura, dato che è riuscito a costruirsi una carriera come mercante d’arte a Parigi. Quindi è nella posizione di poter dare al più famoso dei Van Gogh un’idea dei gusti del tempo e delle tendenze dell’arte impressionista.

Nelle lettere i due fratelli parlavano di tutto ciò che li appassionava: i due non avevano segreti, ma gusti differenti sì. Questo alimentava spesso grandi dibattiti, soprattutto sull’arte, il tema centrale delle loro lettere.

Tra le righe emergono anche le questioni familiari come i dissidi con il padre, le incomprensioni di Vincent con i professionisti del tempo, i libri amati, l’amarezza dei rifiuti dalle donne amate.

Le lettere di Vincent erano anche un mezzo per dipingere il tormento interiore, primo tra tutti quello causato dall’insuccesso artistico.

«Non posso cambiare il fatto che i miei quadri non vendano. Ma verrà il giorno in cui la gente riconoscerà che valgono più del valore dei colori usati nel quadro».

Vincent ebbe un rapporto molto particolare con la solitudine: la ricercava, ma al tempo stesso ne soffriva. Questo e altro era contenuto nelle missive spedite dal pittore fiammingo al fratello, al quale non risparmiava alcun aspetto del suo carattere, dalla sua malattia alle sue frustrazioni sia come uomo che come artista.

Dal 1872, data di inizio dell’epistolario, al 1890, i due si sono scambiati circa novecento lettere. L’ultima lettera di Vincent Van Gogh a Theo è datata 27 luglio 1890, ovvero appena due giorni prima del suo suicidio avvenuto in circostanze non del tutto chiarite. Una lettera che non fu mai spedita, che venne trovata nella tasca della giacca del pittore, ormai senza vita e dalla quale non si evince in alcun modo la sua volontà di porre termine al suo cammino terreno, e di consegnarsi, inconsapevolmente, all’eternità.

Mio caro fratello,

grazie della buona lettera e dei 50 franchi.

La cosa più importante è che tutto vada bene; perché allora insistere sui dettagli di minore importanza? Del resto, c’è tempo prima che ci si presenti la possibilità di parlare d’affari a mente calma.

Gli altri pittori, di qualsiasi opinione siano, si tengono istintivamente lontani dalle discussioni sul commercio attuale.

E infatti non possiamo far parlare che i nostri quadri.

Pure, caro fratello, c’è qualcosa che ti ho sempre detto e ti ripeto ancora una volta con tutta la gravità che possono dare gli sforzi di una preoccupazione constante a fare più bene possibile ti ripeto ancora: io ti considero ben altra cosa da un semplice venditore di Corot; per conto mio, tu hai la tua parte nella stessa produzione di certe tele, che anche nello sfacelo conservano la loro calma.

Siamo infatti a questo punto ed è la cosa migliore che posso dirti in un momento di relativa crisi. In un momento in cui i rapporti tra negozianti di quadri di artisti morti e di artisti viventi, sono molto tesi.

Ebbene: per il mio lavoro rischio ogni giorno la vita, e vi ho perduto metà della mia ragione – va bene – ma tu non sei tra i mercanti d’uomini per quanto sappia io, e puoi assumere una tua posizione, agendo realmente con umanità.

Ma che cosa vuoi tu infine?

Tuo Vincent


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