“PER QUANTA LUCE”: UNA STORIA DI FEMMINICIDIO IN UN PAESINO DEL SUD ITALIA NEL DOPOGUERRA
L’opera scritta da Rocco Di Bono e edita dalla casa editrice Hermaion è stata presentata nel Palazzo della Cultura di Potenza. Tra gli intervenuti la consigliera regionale di Parità Pipponzi
È stata presentata ieri pomeriggio presso il Palazzo dellla Cultura di Potenza l’ultima opera di Rocco Di Bono “Per quanta luce – una storia di femminicidio nell’Italia meridionale del secondo dopoguerra” edita dalla Casa Editrice Hermaion di Potenza, che parla di una coinvolgente storia di femminicidio. All’evento sono intervenuti, coordinati da Tonino Califano, Rocco Di Bono, autore del libro, Chiara Rizzi, docente Unibas Dicem, Anna Gloria Piccininni magistrato della Procura della Repubblica di Potenza, Ivana Pipponzi consigliera Regionale di Parità della Basilicata, e, per l’editrice Hermaion di Potenza, Bartolomeo Telesca. Durante la presentazione sono stati letti alcuni brani tratti dal libro a cura di Elda Rizzitelli. Rocco Di Bono, avvocato, vive e lavora a Genzano di Lucania. Ha già pubblicato “Cantava l’anno”, un lavo-ro che racconta come la musica e la cultura popolare abbiano profondamente influenzato i mutamenti politici e sociali della seconda metà del Novecento, e “Dal Bradano al Piave”, un’opera sulla partecipazione dei soldati lucani alla Grande Guerra, in cui i ricordi del nonno dell’autore si intrecciano con le vicende umane e belliche di un’intera generazione. “Per quanta luce” racconta di una storia ambientata in Basilicata nel 1948. La guerra è finita da poco e la democrazia compie i suoi primi passi. Michelina vive, con la sua famiglia, in un piccolo paese dove il pettegolezzo regna sovrano. Lei è una bella ragazza di vent’anni, esuberante, che coltiva il sogno di fare l’attrice. L’anno prima, a marzo del1947, aveva sposato un uomo molto più grande di lei ed era partita con il marito per il Venezuela. Torna in paese, da sola, un anno dopo, alla vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948, che vedranno la vittoria dei valori e delle forze del tradizionalismo e del conformismo sociale, culturale e religioso. In questo contesto storico, la figura di Michelina, giovane donna che non si lascia trascinare al guinzaglio delle convenzioni familiari e sociali, perché rivendica il diritto di vivere secondo la sua volontà e la sua libertà, diventa uno scandalo vivente, che manda in frantumi la serenità della sua famiglia e la quiete sonnacchiosa del piccolo paese dove vive. La sera del 30 giugno 1948, durante l’ennesimo litigio con i suoi familiari, che le chiedono di tornare in Venezuela dal marito, Michelina insulta il fratello Antonio, chiamandolo cornuto. È la goccia che fa traboccare il vaso e spezza il fragile equilibrio emotivo di Antonio, il quale ferisce a morte la sorella con un coltello e “salva” così, con un doppio sacrificio, la morte di Michelina e la propria condanna al manicomio giudiziario e al carcere, l’onore della famiglia. Ricostruita attraverso la sentenza di appello, la vicenda del femminicidio di Michelina si intreccia agli eventi locali e nazionali dell’epoca, in un quadro che ripercorre un periodo cruciale per la nostra storia locale e nazionale, a cavallo tra la caduta del fascismo, la fine della guerra e il ritorno della democrazia.