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IL PADRE DI LINDA CATALANO CONTINUA A INVOCARE «GIUSTIZIA DALLA GIUSTIZIA»

A tre mesi dalla morte della 25enne atteso ancora l’esito dei rilevamenti effettuati all’indomani dell’incidente sulla SS 658 Potenza-Melfi

«Voglio la verità su cosa sia accaduto a mia figlia», Rocco il padre di Linda Catalano, la ragazza di Potenza morta in un incidente stradale nell’aprile scorso, torna nuovamente a invoca giustizia e chiarimenti a distanza di tre mesi dal decesso della figlia 25enne. Per questo motivo ha deciso di affidarsi nuovamente alle nostre colonne per evitare che si temporeggi ulteriormente su un caso «le cui dinamiche invece sono fin troppo chiare» e che non si archivi definitivamente la morte della figlia come un «semplice incidente stradale». Sono tanti, a parere di Rocco Catalano, gli aspetti quanto meno poco manifesti in questa tragedia e occorre ripartire da quel 23 aprile quando Linda, la figlia, seduta accanto al conducente – Canio Pace – sta facendo ritorno verso casa del ragazzo, a San Nicola di Pietragalla. Poche ore prima aveva festeggiato insieme a lui ed un gruppo di amici la Laurea del ragazzo e di lì a poche ore avrebbe fatto una gita a Matera, come ci racconta il padre. Non lo farà mai, purtroppo, la sua vita viene stroncata da lì a poco. In realtà non arriva neanche a casa del fidanzato, perché, quando Canio Pace imbocca la strada statale Potenza-Melfi, nei pressi dello svincolo di San Francesco, a una decina di chilometri dal capoluogo lucano, perde il controllo del veicolo – in circostanze tutte ancora da chiarire – e Linda muore sul colpo, tranciata letteralmente dalle lamiere del guardrail. Una protezione stradale che «manco sarebbe dovuto essere lì», incalza Rocco Catalano, affermando come – fato o casualità – giustappunto poche settimane prima, passando lungo quella strada, abbia notato «l’inconsueto stato» in cui si trovasse quel guardrail in cui, neppure un mese dopo, sarebbe toccato a sua figlia imbattersi in quell’ostacolo. «Probabilmente – spiega – se non fosse stato tanto sporgente, non sarebbe stato tanto fatale». «Come mai – incalza – se c’ho fatto caso io, che non sono del “mestiere” chi invece fa questo di lavoro, percorrendo quella strada anche più volta al giorno, non vi abbia fatto caso?», alludendo agli uffici competenti. Eppure, sono trascorsi tre mesi dal tragico schianto costato la vita alla figlia 25enne, Linda Catalano, e ancora nessuna notizia pare essere giunta dai rilevamenti effettuati – il 27 maggio scorso – dall’ Ing. Cuomo per conto della Procura di Potenza per periziare il km8 della SS658 Potenza-Melfi, il luogo in cui avvenne l’incidente quel 23 aprile alle 5 del mattino, in direzione di San Nicola di Pietragalla, seguito costantemente dagli occhi vigili del padre di Linda: «C’ero anche io quel giorno, ho seguito per tutto il tempo i rilevamenti. Ho appuntato tutto, ho ripercorso per filo e per segno tutti gli spostamenti fatti da mia figlia quella sera. Fino alla sua tragica fine». «Quello che mi fa specie – evidenzia – e perché hanno aspettato di avvisarci solo un’ora dopo l’incidente, tra gli altri dubbi che mi balenano nella mente». Il padre di Linda Catalano, Rocco, continua a invocare «giustizia dalla Giustizia» per la sua morte: «Mentre mia figlia non c’è più, c’è chi, responsabile della sua morte, ora sta altrove a rifarsi una vita». A tre mesi di distanza, i familiari della giovane chiedono che non si temporeggi oltre con le indagini, col rischio anzi che si interrompano del tutto. Contestualmente, denuncia la pericolosità della statale, già teatro di numerosi incidenti, e si chiede «come mai quel fatidico guardrail non sia stato messo in sicurezza prima». È convinto che non si sia trattato di un «semplice incidente», che si sarebbe potuto evitare. A causare il terribile incidente secondo Rocco Catalano potrebbe essere stata «una distrazione causata da chi per motivi ancora poco chiari  poteva avere attenzione e riflessi compromessi, eppure avrebbe deciso  di mettersi comunque alla guida». Il padre di Linda si pone delle domande sul reato di omicidio stradale, secondo cui chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme in materia di circolazione stradale è punito con la reclusione da 2 a 7 anni. «Una sanzione base prevista per l’omicidio stradale “semplice” commesso cioè senza gravi violazioni – incalza il padre di Linda – figurarsi a pensare che venga applicata una pena ancora più elevata, quella riservata in caso di omicidio provocato guidando in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 0,8 g/l o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, oppure procedendo su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita». Cosa che il padre di Linda sospetta sia accaduto. «Non dovrei credere che sia omicidio volontario quello riservato a mia figlia?». Domande comprensibili quelle che si pone Rocco Catalano. Ma va altrettanto detto che, una volta che le Forze dell’ordine sono giunte sul posto, hanno sottoposto ai dovuti accertamenti sullo stato di ebbrezza alcolica il ragazzo, Canio Pace, e una volta avvertito l’avvocato del conducente, hanno accompagnato l’interessato al presidio ospedaliero più vicino per la sottoposizione ai test che ne verificassero anche lo stato di alterazione correlata all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope. E pare che tutti gli esiti dei test siano risultati negativi. E, ancora, a fomentare gli altri dubbi di Catalano: «Secondo la polizia dopo l’impatto con il guardrail il corpo è stato trafitto da questo. Una dinamica – afferma – che implica una certa velocità dell’auto per creare un impatto tanto disastroso. E il fatto che non vi fosse neppure una traccia di frenata sull’asfalto questo mi porta a malpensare». Sono tutte teorie che dal quel giorno non smettono di balenargli nella testa.  Il padre di Linda non punta il dito contro nessuno ma chiede soltanto risposte concrete, lumi su quale sia la dinamica dell’incidente. E perché ci voglia così tanto tempo per mettere nero su bianco, fatti chiari ed evi-denti da presentare alla Procura di Potenza. Quello che Rocco Catalano teme sono «le omissioni o i possibili tentativi di depistare le indagini». Tanti i dubbi o le dinamiche che non gli tornano: dal perché fosse stato avvisato solo un’ora dopo l’incidente, al perché la procura tenda a temporeggiare con rilevazioni già fatte. La sola cosa che, ad oggi, sembra placare un po’ il suo malessere è che «ad osservare quell’ultima volta il volto di mia figlia sereno mi fa credere che stesse dormendo e che non si sia accorta di nulla».

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