EDIFICI ABBANDONATI IN CITTÀ: UNA RICCHEZZA DA RIVALUTARE
Parte dall’ex Centro di riabilitazione “don Uva” il viaggio di Cronache tra i vecchi relitti di Potenza: un patrimonio che dovrebbe essere strappato dall’oblio e riqualificato
Non ci sono solo le città fantasma, ci sono anche tanti fantasmi e in tutte le città. E non vagano, ma occupano inutilmente spazi che potrebbero invece trovare altri usi magari importanti. Sono i tanti edifici vuoti che si sono accumulati un po’ ovunque, anche nel capoluogo lucano. Di fatto in città, mentre l’edificazione avanza mordendo porzioni sempre più vaste di campagna, strutture abbandonate ed edifici fatiscenti diventano un vero e proprio pugno nell’occhio. A Potenza è lungo l’elenco degli edifici pubblici e privati che attendono da tempo una riqualificazione che non arriva. Vuoi perché mancano i fondi per ristrutturarli, vuoi perché dichiarati inagibili o incatenati in una destinazione d’uso che li rende di fatto inutilizzabili o poco appetibili per un eventuale acquirente. A onor di cronaca, il Comune di Potenza lo scorso marzo ha presentato un Bando d’interesse per tentare di strappare dall’oblio alcuni degli edifici tutt’oggi in stato di abbandono, tipo l’ex scuola media statale di via Leoncavallo, l’ex centro per l’infanzia “Natascia” di Rione Lucania e l’ex caserma dei Vigili del fuoco di Rione San Rocco. Un intervento denominato “Potenza Riusa” – promosso dall’assessore comunale con delega all’Urbanistica, Antonio Vigilante – mirato, almeno sulla carta, alla semplificazione delle procedure per il cambiamento di destinazione d’uso dei sopracitati edifici. Un patrimonio pubblico, ad oggi, in dismissione che ha visto diverse procedure di Gara andate deserte, con l’auspicio che possano invece ora ottenere l’interesse da parte del mercato immobiliare. Sta di fatto che vi sono ancora ruderi in attesa di essere salvati, e il cui patrimonio da reinventare salverebbe a sua volta la città dal cemento. Come l’ex Istituto ortofrenico di Potenza, noto ai più come Ospedale psichiatrico “Centro di riabilitazione Don Uva”. E proprio da qui parte il viaggio di Cronache sugli edifici abbandonati nel e dal Comune di Potenza. Sorto per volontà di don Pasquale Uva, il quale aveva dato vita ad una serie di Istituti di ricovero per alienati, denominandoli “Casa della Divina Provvidenza” – la struttura venne inaugurata ufficialmente nel capoluogo lucano nell’anno 1972. L’Istituto ortofrenico è poi divenuto nel corso degli anni non più funzionale al complesso sanitario di cui faceva parte, anche in conseguenza della Legge Basaglia del 1978 che, di fatto, ha decretato il superamento delle istituzioni manicomiali. Di qui, nel 1981, il passaggio delle competenze in materia psichiatrica dalle province alle Usl: così nel 1985 la struttura “don Uva” divenne un presidio del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda sanitaria n. 2 di Potenza. In tale periodo, l’Istituto si pose all’avanguardia nel campo della riabilitazione psicosociale, attivando oltre venti laboratori di attività occupazionale – musicoterapica, atelier per attività espressive; lavorazione della ceramica, cartapesta, legno e ferro; laboratorio di maglieria e ricamo -frequentati da oltre 300 ricoverati; venne anche creata una Polisportiva che per diversi anni è stata ai vertici nazionali delle attività sportive dei portatori di handicap. Questo fino al 1996, anno che segna la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici, ma che è anche l’anno d’avvio del processo di riconversione dell’ente in Centro di Riabilitazione, con l’attivazione di nuovi ed importanti servizi. Tre anni dopo, con delibera della Giunta Regionale della Basilicata vengono attribuite al Centro don Uva di Potenza le funzioni di: Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) per anziani disabili – nuova utenza; Modulo Residenziale per utenti affetti dal morbo di Alzheimer; Centro Socio- sanitario riabilitativo; Moduli di riabilitazione intensiva ed estensiva. Dopodiché, pur dopo una parziale ristrutturazione nei primi anni ’90, l’edificio è stato quasi del tutto lasciato in disuso ed è stato messo in vendita nel 2020. Nello stesso anno è stato proposto il riutilizzo della struttura come sede del nascente corso di laurea in medicina dell’Università della Basilicata. Ma, ad oggi, nulla si sa del suo futuro. A vagare all’interno di quelle mura, tutto sembra essere rimasto cristallizzato. Sulle pareti alcuni calendari risalenti al 2012 sono l’unico elemento che lasciano trasparire lo scorrere del tempo. Ancora vi sono all’interno delle cassettiere e dei comodini oggetti, molto probabilmente, appartenenti ai vecchi pazienti. Lavagne che ancora segnano sbiadite cure giornaliere da dispensare ai ricoverati. Ogni cosa lasciata all’incuria e al degrado. Vite cristallizzate, appunto. Come fantasmi che continuano a vagare tra quelle mura. Perché, come gli esseri viventi, anche gli edifici hanno un ciclo vitale che, una volta terminato, li porta all’abbandono e alla demolizione. Il loro destino, però, non deve per forza essere sempre segnato.